Thomasius con i Fundamenta iuris naturae et gentium, del 1705, presenta il giusnaturalismo come presa di coscienza dell’ esistenza di uno ius naturae, un diritto inscritto nella natura stessa delle cose, contrapposto allo ius positum (diritto positivo, nel senso di posto, stabilito dai singoli Stati). Sulle orme di Cicerone egli distingue tra 3 valori fondamentali : l’honestum , lo iustum e il decorum, cui corrispondono le tre attività umane della morale , del diritto e della politica.
1. Christian Thomasius (1 gennaio 1655 – 23 settembre 1728) è stato un giurista e filosofo tedesco .
Nato a Lipsia ed educato dal padre, Jakob Thomasius (1622–1684), a quel tempo docente all’Università di Lipsia (in seguito decano e rettore, nonché capo maestro della Thomasschule zu Leipzig), attraverso le lezioni di costui risente dell’influenza della filosofia politica di Hugo Grotius e Samuel Pufendorf. Prosegue gli studi di diritto all’Università di Francoforte (Oder) nel 1675, completando il dottorato nel 1679. Nel 1680 sposa Anna Christine Heyland e avvia uno studio legale a Lipsia; l’anno successivo inizia a insegnare anche alla facoltà di giurisprudenza dell’università. Nel 1684 divenne professore di diritto naturale, attirando ben presto l’attenzione.
Nel 1685 pubblica una dissertazione provocatoria, De crimine bigamiae (Il crimine di bigamia), in cui sostiene che la bigamia è ammissibile dalla legge naturale . Nel 1687 fa l’audace innovazione di tenere lezioni in tedesco invece che in latino e tiene una conferenza sul tema “Come si dovrebbe emulare lo stile di vita francese”, riferendosi all’uso francese della lingua madre non solo nella vita quotidiana ma pure nel mondo accademico; secondo lo studioso Klaus Luig, questo evento segna il vero inizio dell’Illuminismo in Germania.
2. Nel 1688 inizia a pubblicare un periodico mensile (Scherzhafte und ernsthafte, vernüftige [sic] und einfältige Gedanken über allerhand lustige und nutzliche Bücher und Fragen ) in cui ridicolizza le debolezze pedantiche dei dotti, e si schiera dalla parte dei pietisti nella controversia con gli ortodossi e difesa dei matrimoni misti di luterani e calvinisti; pubblica un volume sulla legge naturale che enfatizza la ragione naturale e un documento in difesa del matrimonio tra luterani e membri della chiesa riformata. In conseguenza di queste e altre opinioni, il 10 maggio 1690 gli viene vietato di tenere conferenze o di scrivere, e viene emesso ordine di arresto nei suoi confronti.
Fugge a Berlino e l’elettore Federico III gli offre un rifugio ad Halle, con uno stipendio di 500 talleri e il permesso di tenere conferenze. Contribuisce a fondare l’Università di Halle (1694), dove diviene secondo e poi primo professore di diritto e (nel 1710) rettore dell’università. È stato uno dei più stimati insegnanti universitari e scrittori influenti del suo tempo, e nel 1709 viene nominato nel consiglio privato. Muore ad Halle nel 1728.
3. Thomasius è autore complesso, il cui pensiero – lungi dallo svilupparsi in progressione omogenea – attraversa varie fasi, esperendo crisi e rotture anche radicali. Nella sua fase giovanile, espressa dalle Institutiones jurisprudentiae divinae del 1687-1688, egli si mostra ancora in linea con la prevalente ‘corrente razionalistica’ del giusnaturalismo tedesco. In tale opera l’antropologia di Thomasius – di palese ispirazione pufendorfiana – si incentra su un’immagine dell’uomo, quale essere creato da Dio in forma di animale razionale[1], dotato di volontà libera[2] .
In quanto razionale, l’uomo è anche necessariamente sociale[3] , poiché la sua ragione non può svilupparsi al di fuori di un contesto sociale, il quale costituisce, di per sé, una dimensione comunicativa, ossia caratterizzata dallo svolgersi di un «discorso» (sermo) interindividuale[4]. In sostanza, il Thomasius delle Institutiones «po[n]e a frutto la lezione pufendorfiana», anche con riferimento «all’elaborazione del principio di socialità (ora basato sull’idea dell’”essenza comunicativa dell’uomo”: prima vera fonte per l’origine della società)»[5] .
Il giurista distingue tra legge divina e legge umana; la legge divina, a sua volta, si suddivide in naturale e positiva ed il fondamento di tale suddivisione è desunto dal “principium cognoscendi”, il principio mediante il quale si conosce tale legge, e dal suo oggetto reale[6].
Il principio in base al quale si conosce la legge naturale, scritta nel cuore degli uomini, è la “recta ratio”, mentre il suo oggetto è costituito dalle azioni conformi o ripugnanti alla comune natura razionale e sociale dell’uomo (“…convenientes aut eidem repugnantes”): le prime vengono comandate e le seconde proibite dalla lex naturalis.
4. Il principio secondo il quale si conosce la legge divina positiva è invece rappresentato dalla Rivelazione (“promulgatio divina”) e il suo oggetto è formato dalle azioni che non ripugnano alla natura dell’uomo razionale e sociale, ma che non sono nemmeno necessariamente conformi ad essa.[7]
Mentre il diritto naturale non può essere modificato né può sopportare dispense, il diritto divino positivo può ricevere una modificazione o una dispensa, ma soltanto da Dio. A questo proposito si precisa però che, nonostante la legge positiva sia soggetta a cambiamenti e dispense, tuttavia la volontà divina non è mutevole “cum in Deo omnia ejus attributa sint aeterna”: pertanto, Dio ha stabilito “ab aeterno” tali modifiche o dispense, conoscendo da sempre la loro causa. Il diritto naturale, impresso nell’animo degli esseri umani, li obbliga tutti indistintamente e non ammette divisioni al suo interno, ad eccezione di quella tra diritto naturale in senso specifico e diritto delle genti (“jus gentium”).
Il diritto divino positivo si distingue invece in diritto promulgato per tutto il genere umano e in diritto dato al solo popolo ebraico, secondo la distinzione fatta da Grozio[8]. Il primo è chiamato “jus divinum positivum universale” e ha conosciuto due fasi di sviluppo, all’epoca della creazione del genere umano e dopo il diluvio universale. La legge divina positiva data ai Giudei riguarda invece il culto divino o l’‘utilità’ specifica di quel popolo (“utilitatem populi Judaici”). Infine Thomasius chiarisce la non coincidenza tra legge morale e naturale, in quanto la prima costituisce un ‘serbatoio’ legislativo più ampio, che ricomprende la legge divina positiva universale. Il Decalogo, ad esempio, non prevede soltanto precetti naturali, ma anche precetti positivi universali, come pure al di fuori del Decalogo vi sono dei precetti morali.
5. La sua opera più importante Fundamenta iuris naturae et gentium del 1706 lo consegna alla storia come Praeceptor Germaniae, pioniere del nascente illuminismo tedesco. E difatti Thomasius fu certamente capace di partire dalle premesse pufendorfiane per portare a pieno compimento l’operazione di laicizzazione del diritto e di difesa della tolleranza religiosa.
Per Thomasius è assolutamente preliminare distinguere tra diritto e morale, tra pace interna e pace esterna. La prima, quella interna, riguarda la coscienza individuale dell’uomo; la seconda, quella esterna, riguarda il rapporto tra gli individui. Sulla base di questa distinzione, Thomasius classifica i comportamenti degli individui in tre categorie. La sfera dell’honestum riguarda le regole puramente morali finalizzate ad assicurare la pace interna e la perfezione interiore dell’uomo. Appartengono invece alla sfera del decorum, tutti gli atteggiamenti umani capaci di suscitare la benevolenza e la simpatia reciproca tra gli uomini (es. la pietà, la carità, la generosità verso il prossimo etc.).
Secondo Thomasius queste azioni sono indifferenti sia per la pace interna dell’individuo, sia per la pace esterna. Sono certamente raccomandabili ma non possono costituire oggetto di comando coattivo e pertanto non possono rientrare nell’ambito giuridico. All’ambito giuridico del justum, appartengono invece tutte le azioni rilevanti per la pace sociale. Sono rilevanti per il diritto, infatti, tutte le azioni che garantiscono lo stato di non conflittualità intersoggettiva ed evitano quel male massimo che è la guerra tra gli uomini. In quanto tali, queste regole non possono essere semplicemente raccomandabili, né possono essere qualificate come norme etiche finalizzate al perseguimento della pace interna: si tratta, invece, di norme munite di sanzione e riferibili ad azioni coercibili, quindi norma giuridiche.
6. Per Thomasius le regole dell’honestum sono certamente le più nobili perché tendono alla pace interna dell’uomo, alla pace della coscienza. Rispetto al bene della coscienza, la benevolenza cui tendono le azioni ‘decorose’ è un bene di minore importanza. A livello ancor più basso vi sono i precetti giuridici, perché la pace esterna, intesa come mera non conflittualità tra gli individui è certamente il bene minimo cui la società doveva tendere. Eppure, proprio per questa ragione, lo Stato deve ben occuparsi di quest’ambito perché, a giudizio di Thomasius, il più grande dei mali per la società è la guerra. Corollario obbligato di questa premessa è che lo Stato può legittimamente intervenire solo nell’ambito del justum.
Nessuna azione rientrante nella categoria del decorum e dell’honestum può costituire oggetto di costrizione da parte dello Stato. E’ così sancita la piena separazione tra diritto e morale, escludendo ogni possibile e reciproca interferenza.
Daniele Onori
[1] C. Thomasius, Institutiones jurisprudentiae divinae, Neudruck der 7. Auflage, Halle, 1730, Darmstadt, Scientia Verlag Aalen, 1963, liber I, caput III, par. 74, p. 70: «Voluit ergo Deus, ut homo sit animal rationale». Sul giusnaturalismo thomasiano delle Institutiones si rinvia per tutti alle osservazioni di W. Röd, Geometrischer Geist und Naturrecht. Methodengeschichtliche Untersuchungen zur Staatsphilosophie im 17. und 18. Jahrhundert, München, Verlag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 1970, pp. 167-171.
[2] 5 Cfr. Institutiones, cit., liber I, caput III, par. 82, p. 70: «Eo ipso vero, quo homo libertate voluntatis suae gaudet, […]»
[3] Riprendendo l’idea di custodia socialitatis dal suo maestro Pufendorf, Thomasius pone, infatti, come prima legge di natura il principio, che recita: «Fac ea, quae necessario conveniunt cum vita hominis sociali, et, quae eidem repugnant, omitte»: ivi, caput IV, par. 64, p. 85.
[4] Cfr. ivi, par. 54, p. 83: «ratio absque sermone non est, sermonis extra societatem nullus est usus, nec ratio citra societatem se exerit». La stretta connessione tra socialitas e sermo costituisce uno dei punti teorici che il giovane Thomasius mutua da Pufendorf, per il quale l’uso della parola da parte dell’uomo costituiva argomento sufficiente per provare che questi fosse «ad socialem vitam a natura destinatum»: S. Pufendorf, De Jure Naturae et Gentium, libri octo, Lausannae et Genevae, 1744, liber IV, caput I, par. I, p. 433. Del resto, questa posizione rappresenta una costante del pensiero di Pufendorf, il quale già negli Elementa giovanili aveva individuato nella parola lo strumento più adeguato per istituire e conservare la società fra gli uomini. Cfr. S. Pufendorf, Elementorum Jurisprudentiae Universalis, libri duo, Jenae, 1669, liber II, observatio III, par. 2, p. 398: «Soli inter animantia datum articulato sono animi sensa aliis posse exponere, quo nullum aptius instrumentum societati contrahendae aut servandae».
[5] C. De Pascale, Giustizia, Bologna, il Mulino, 2010, p. 92. A proposito del linguaggio e della comunicazione in Thomasius è qui da ricordare, sulla scorta del recente studio di Michael Kahlo, l’annunzio, che il pensatore fece nel 1687 all’Università di Lipsia di voler tenere una lezione di filosofia in lingua tedesca, anziché nel tradizionale latino. Con ciò Thomasius mostrava, infatti, di considerare «la propria lingua madre, in quanto elemento dell’identità secolare di [ogni] persona, non più soltanto come mezzo di comunicazione nella vita quotidiana», ma anche come strumento adeguato «a mediare e a dibattere problemi scientifici, anche pretenziosi, in questa lingua»: M. Kahlo, Deutsch als Rechtssprache. Überlegungen im Rückblick auf Christian Thomasius’ Ankündigung einer deutschsprachigen Philosophievorlesung in Leipzig, in Festschrift der Juristenfakultät zum 600jährigen Bestehen der Universität Leipzig, hrsg. von Mitgliedern der Juristenfakultät, Berlin, Duncker & Humblot, 2009, p. 37.
[6] Per un inquadramento generale del pensiero di Thomasius ci si limita qui a richiamare, senza pretesa di esaustività, il sempre utile, benché datato, G. Solari, La scuola del diritto naturale nelle dottrine eticogiuridiche dei secoli XVII e XVIII, Torino 1904, pp. 41-46; Id., Cristiano Thomasio, in “Rivista di filosofia”,XXX (1939), pp. 39-65, altresì in Id., Studi storici di filosofia del diritto, con prefazione di L. Einaudi,Torino 1949, pp. 157-178; Id., Filosofia del diritto privato, I, Individualismo e diritto privato, Torino 1959,specialmente pp. 74-78; F. Battaglia, Cristiano Thomasio. Filosofo e Giurista, Roma 1936, rist. anast. Bologna 1982; G. Schubart-Fikentscher, Unbekannter Thomasius, Weimar 1954; M.A. Cattaneo, Delitto epena nel pensiero di Christian Thomasius, Milano 1976
[7] F. Pintacuda De Michelis, Christian Thomasius riformatore dell’insegnamento universitario, in “ACME.Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano”, 22 (1969), p.10
[8] “Hoc autem jus aut datum est humano generi, aut populo uni” (U. Grozio, De jure belli ac pacis libri tres, In quibus Jus Naturae et Gentium, item juris publici praecipua explicantur, Amstelaedami, Apud JanssonioWaesbergios, 1680, Liber I, Caput I, § XV, n. 2, p. 12).