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Il CDB nella tabella degli stupefacenti, revocata la sospensione del decreto del 2020

Il CDB nella tabella degli stupefacenti, revocata la sospensione del decreto del 2020

Il Ministero della Salute, con un decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, ha revocato la sospensione del decreto del primo ottobre 2020, che inseriva le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (cbd) ottenuto da estratti di cannabis” nella tabella dei medicinali allegata al testo unico sugli stupefacenti. La sospensione è stata disposta in considerazione della necessità di ulteriori approfondimenti di natura tecnico-scientifica richiesti all’Istituto superiore di sanità e al Consiglio superiore di sanità. Il CBD resta comunque un medicinale a tutti gli effetti, e quindi si potrà acquistare in farmacia, ma solo su prescrizione medica e per determinate patologie.

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Il lato oscuro dell’ecommerce: il mondo sommerso dello spaccio di droga online – Parte II

Il lato oscuro dell’ecommerce: il mondo sommerso dello spaccio di droga online – Parte II

Leggi la prima parte.

Il testo del Dl 130 del 2020sin dalle prime bozze, è stato criticato perché prevede l’impiego di procedure già impostate nel 1998 e, quindi, obsolete. Per quanto datate, tuttavia, non si può dire che le misure previste dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 non siano efficaci; si può quindi dire che, semmai, il decreto pone un rimedio tardivo ad una situazione di fatto già consolidata nel tempo in via di fatto.

In altre parole, non si tratta né di uno strumento normativo o tecnico inidoneo perché obsoleto, né di una scelta al ribasso: si può dire, piuttosto e con ragionevole certezza, che la previsione dell’ottobre 2020 poteva essere adottata già anni fa. 

Il mercato delle sostanze stupefacenti è, per sua natura, estremamente dinamico e caratterizzato, da quando vengono utilizzati i telefoni, dal primo, rudimentale, strumento di crittografia che si conosca: il linguaggio cosiddetto “criptico”, ossia quello in cui si usano metafore per comunicare all’interlocutore, luoghi, quantità, prezzi della “transazione”. È quindi del tutto evidente che “le piazze di spaccio virtuali”, contro cui è stato posto questo presidio, si evolveranno di conseguenza.

La vendita di droga online non è un fenomeno nuovo, anche se fino a poco tempo fa era limitata al dark web, la parte di internet “nascosta” ai motori di ricerca tradizionali. Di recente, i black market online, ma anche le piazze di strada, stanno lasciando il posto alle chat dei social network. Il motivo principale è uno: la crittografia, vera o presunta. In pratica, certe conversazioni su queste piattaforme sono visibili solo dai due interlocutori e protette da qualunque occhio indiscreto: un vero e proprio strumento anti-intercettazione.

Telegram è un’app nota per la tutela della privacy dei suoi utenti. La sua riservatezza permette a chi vi crea e gestisce un canale (gli amministratori) di conservare l’anonimato. In questo modo chiunque – l’organizzazione criminale ma anche il “coltivatore diretto” – può potenzialmente spacciare online, rendendo il suo canale una vera e propria vetrina virtuale di ciò che vende.

Si possono trovare hashish, marijuana e droghe più pesanti, ma anche documenti falsi e banconote contraffatte, con tanto di foto e listino prezzi. Il pagamento può avvenire in bitcoin, oltre che tramite ricarica e bonifico bancario, e si svolge in una chat privata con il venditore. Si ordina, si paga e si riceve il pacco dove si desidera. La maggior parte dei canali hanno anche una parte dedicata all’utente, che di solito si trova nella descrizione e funziona come garanzia per chi acquista: una sorta di “diffidate delle imitazioni”, meccanismo già adottato dai black market del dark web per acquisire credibilità.

In questo canale Telegram si vendono hashish, marijuana, monete false e, per i più golosi, cibo e liquidi per la sigaretta elettronica con thc. Ogni cosa proviene dal Regno Unito, dalla Spagna o dall’Italia, e ha una sua descrizione. Le monete false, si legge, sono di «qualità paragonabile alle reali, scambiabili facilmente ma – si specifica – non vengono accettate dai distributori», e l’erba e il fumo sono di «qualità coffee shop»; i gusti dei liquidi svapabili fanno invece riferimento alle varie qualità di marijuana. Il tutto è accompagnato da prezzi e foto.[1]

Nella chat, l’amministratore ha fissato anche una serie di messaggi “di servizio”. Vengono denunciate pagine fake o fatte comunicazioni importanti. Ci sono anche gli auguri di buon Natale. Il canale ha anche la sua “area clienti”, nella descrizione, dove ci sono ad esempio i link alle pagine dei feedback e delle domande più frequenti, che inevitabilmente riguardano rimborsi e pagamenti.

Pagamenti che avvengono in privato con il venditore – definito nei feedback “minuzioso” – che resta poi a disposizione per eventuali chiarimenti. La spedizione è tracciabile (pagando un sovrapprezzo) e il canale appare tutto sommato affidabile.

Lo spaccio via social network è aumentato soprattutto durante la pandemia, quando il covid ha reso meno sicure le piazze in strada sia per i pusher sia per i consumatori. Serviva uno strumento che potesse raggiungere tutti, e Telegram viene prediletto anche per questo dai criminali: non ha limitazioni d’età per i minorenni, che si traduce in più clientela.

Per contrastare questo fenomeno, le autorità di contrasto alla criminalità organizzata stanno sviluppando nuove strategie e tecnologie per individuare e interrompere le attività criminali online. Tuttavia, la lotta contro il traffico di droga rimane una sfida complessa che richiede una collaborazione internazionale tra le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence.

‘International Narcotics Control Board (INCB) [2], un organismo indipendente sostenuto dalle Nazioni Unite, invita i governi a fare di più per regolamentare le piattaforme di social media che promuovono comportamenti negativi legati alla droga e promuovono la vendita di sostanze.

Nel suo rapporto annuale, pubblicato il 10 marzo 2023, l’INCB rileva prove crescenti di un legame tra l’esposizione ai social media e l’uso di droghe, che colpisce in modo sproporzionato i giovani, i principali utenti delle piattaforme social, e una fascia di età con alti tassi di utilicco di droghe illegali.

 “Stiamo assistendo sui social network a una valutazione dell’uso di droghe e in particolare di cannabis, una facilitazione dell’acquisizione in vista di un uso addictive, non medico. E vediamo che c’è un legame tra l’esposizione dei giovani ai media e il loro livello di consumo di droga“, ha affermato Bernard Leroy, membro dell’INCB in un’intervista a UN News[2]. Il rapporto invita inoltre il settore privato a moderare e autoregolamentare le proprie piattaforme e limitare la pubblicità e la promozione del consumo di droghe non mediche.

Oltre alle piattaforme di social media, i criminali sfruttano molti altri strumenti digitali, come valute digitali, pagamenti mobili e servizi di portafoglio elettronico, che facilitano e velocizzano il trasferimento internazionale di fondi e consentono loro di nascondere l’origine dei fondi illegali e di massimizzare profitti.

Le reti della criminalità organizzata continuano a raccogliere milioni dal traffico di droga, avverte il rapporto INCB, con conseguenze negative per le società e lo sviluppo economico, che vanno dalla corruzione all’aumento della criminalità organizzata, alla violenza, alla povertà e alla disuguaglianza. “L’INCB ha ritenuto che i flussi finanziari illegali meritassero un’attenzione e una considerazione speciali poiché il traffico di droga è un’industria altamente redditizia per i gruppi criminali organizzati“, ha affermato il presidente dell’INCB Jagjit Pavadia. “Questi gruppi fanno affidamento su flussi finanziari illegali per espandere e sostenere le loro attività criminali“.

 “Dovete sapere che i soldi della criminalità rappresentano globalmente dai 1.600 ai 2.200 miliardi di dollari, e la droga tra i 426 ei 652 miliardi di dollari, quindi somme considerevoli”, ha indicato Bernard Leroy. “I flussi finanziari rappresentano denaro che viene guadagnato, trasferito e utilizzato illegalmente dalla criminalità organizzata transnazionale. E lo usano per massimizzare i loro profitti complessivi della loro attività”.

La criminalità organizzata in generale è multi-carta, spiega Leroy. “Cioè si drogano ma praticano anche sfruttamento, prostituzione, delinquenza. E quindi questo denaro, la grande preoccupazione, è che venga utilizzato per rafforzare il loro potere e in particolare per corrompere”.

Per contrastare gli effetti negativi e il costo umano di questo commercio, l’INCB raccomanda ai governi di affrontare tutte le fasi del traffico di droga – dalla produzione e coltivazione alla vendita e all’occultamento di profitti illegali – e condividere informazioni sulla criminalità organizzata a livello internazionale.
I paesi in via di sviluppo sono i più colpiti.

Questi flussi distolgono risorse da iniziative volte a ridurre la povertà e a promuovere lo sviluppo sociale ed economico, con un effetto sproporzionato sui paesi in via di sviluppo, dove è più importante la necessità di fondi per promuovere la crescita economica e ridurre le disuguaglianze.

Nei paesi africani, ad esempio, il costo della criminalità organizzata è particolarmente elevato: circa 88,6 miliardi di dollari, pari a circa il 3,7% del prodotto interno lordo del continente – e quasi lo stesso importo dei flussi annuali combinati dell’assistenza pubblica allo sviluppo e degli investimenti diretti esteri – vengono persi ogni anno a causa di flussi finanziari illeciti.

Per Bernard Leroy, la criminalità organizzata non è solo un problema di ordine pubblico, è anche un problema per lo Stato di diritto. Egli stesso ne è stato testimone in Africa. “Sono in grado di comprare le elezioni presidenziali. E quindi occorre sapere che lì c’è un potere della criminalità organizzata che è formidabile perché i flussi finanziari illegali, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sono una minaccia per la stabilità e la sicurezza di questi paesi”. “Questo si traduce in un deflusso di capitali, un’alimentazione delle banche nei paesi sviluppati, meccanismi offshore molto dannosi e nel complesso un indebolimento del sistema finanziario internazionale. E questo ha implicazioni per lo sviluppo sostenibile”, afferma. “C’è un drenaggio delle finanze pubbliche in questi Stati che quindi hanno meno risorse e il buon governo è indebolito dalla corruzione”, spiega.

La depenalizzazione e la legalizzazione della cannabis in molti paesi è vista dall’INCB come motivo di preoccupazione, con Pavadia che insiste sul fatto che “legalizzare l’uso non medico della cannabis viola le convenzioni sul controllo della droga“.

Nella sua relazione, l’INCB sottolinea la necessità di una comprensione collettiva dei concetti di legalizzazione e depenalizzazione in conformità con le convenzioni sul controllo della droga e sottolinea l’importanza di una risposta equilibrata e proporzionata ai reati connessi alla droga come principio guida nella giustizia penale, nel rispetto dei diritti umani e del benessere pubblico. I criminali continuano ad avere facile accesso, sul mercato legale, ai precursori, le sostanze chimiche necessarie per produrre droghe illegali.
L’INCB sollecita il miglioramento dei controlli e delle normative che regolano la vendita dei precursori, citando un’indagine condotta dall’organizzazione nel 2021, che ha rilevato lacune significative nei controlli sulla produzione, sul commercio e sulla distribuzione di queste sostanze chimiche a livello nazionale.

Daniele Onori


[1] Cfr. La droga a portata di smartphone in https://www.quattrocolonne- news.it/

[2] L’INCB è l’organismo indipendente, quasi giudiziario, responsabile della promozione e del monitoraggio del rispetto da parte dei governi delle tre convenzioni internazionali sul controllo degli stupefacenti: la Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, la Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971 e la Convenzione contro il traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope del 1988. – Istituito dalla Convenzione Unica sugli stupefacenti del 1961, i tredici membri del Consiglio sono eletti a titolo personale dal Consiglio Economico e Sociale per un mandato di cinque anni.

[3] Cfr. https://www.aduc.it/articolo/rompere+legame+droghe+illegali+social+media+incb_34157.php

 

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La lotta alla droga online, una nuova sfida per tutti i governi: politiche pubbliche e strategie d’intervento

La lotta alla droga online, una nuova sfida per tutti i governi: politiche pubbliche e strategie d’intervento

1. IL LATO OSCURO DELL’ECOMMERCE: IL MONDO SOMMERSO DELLO SPACCIO DI DROGA ONLINE (PARTE I)

Nell’arco degli ultimi dieci anni, l’enorme sviluppo dell’elettronica di consumo (l’uso degli smartphones) il network computing, l’anonimato in rete, le nuove piattaforme e-commerce, i bitcoin, le chat e i social rendono l’interazione con le tecnologie digitali parte integrante del modo di vivere le azioni quotidiane. Le organizzazioni criminali, al passo con gli sviluppi sociali, sono andate a rinnovare metodi e tecniche attraverso le quali perpetrare i propri interessi. Tra i diversi usi impropri delle tecnologie informatiche, le organizzazioni criminali tradizionali e i nuovi gruppi organizzati online, si impegnano negli spazi anonimi della rete per dar vita a vere e proprie attività commerciali dedite alla compravendita di droga, armi, malware, falso documentale e altri servizi illeciti. Inoltre, le cripto-valute, quali nuovi asset class, sono stati sfruttati non solo come mezzo di pagamento per i mercati occulti della rete, ma come nuovo strumento adatto per riciclare i proventi illeciti.

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Droga: i dati della relazione annuale 2023

Droga: i dati della relazione annuale 2023

La Relazione Annuale sul fenomeno delle tossicodipendenze 2023 è stata inviata al Parlamento dal Sottosegretario Alfredo Mantovano. Questa relazione è la principale fonte informativa nazionale del Dipartimento per le Politiche Antidroga ed è prevista dal DPR 309/90. I dati utilizzati per la relazione provengono da diverse fonti, tra cui amministrazioni centrali, periferiche, centri di ricerca e enti del privato sociale competenti in materia. Lo scopo principale della Relazione è fornire un quadro il più accurato possibile del fenomeno delle tossicodipendenze al fine di guidare gli interventi pubblici in questo settore. Il rapporto mira a rappresentare in modo completo e aderente alla situazione attuale il problema delle tossicodipendenze. Inoltre, si prevede un adeguamento nella raccolta dei dati per renderne l’aggiornamento ancora più puntuale dal prossimo anno. Questo adeguamento comprenderà anche altre forme di dipendenze, come quelle comportamentali, al fine di fornire una visione più completa e aggiornata della situazione delle dipendenze nel paese.

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Un governo non può gestire il male, ma deve invertire la rotta convegno “Giornata mondiale contro le droghe”

Un governo non può gestire il male, ma deve invertire la rotta convegno “Giornata mondiale contro le droghe”

Dal 1989 il 26 giugno è presentato dalle Nazioni unite come la “Giornata internazionale contro l’abuso di droga e il traffico illecito”. A Roma lunedì 26 giugno 2023 alle 15:00 per il convegno tenutosi per la Giornata mondiale contro le droghe sono intervenuti: il Presidente della Camera Lorenzo Fontana, Andrea Abodi, Ministro per lo Sport e i Giovani, Maurizio Gasparri, Vicepresidente del Senato, Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la conclusione dei lavori del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. ll messaggio che parte dal convegno è che c’è un mondo che non si rassegna, un mondo fatto di Giovani, di famiglie, di personaggi del mondo dello spettacolo. un mondo che vede al suo fianco le istituzioni che mette in comune le esperienze maturate sul campo per circoscrivere il più possibile questa deriva e per invertire la rotta: comunità, sert, regioni, professioni a vario titolo coinvolte (psichiatri, psicologi, medici di ogni specializzazione). Prevenzione informazione, educazione vicinanza prima dei pure importanti articoli di legge sono il terreno di confronto.

Vedi il video completo dell’evento: https://www.youtube.com/watch?v=8sqTUKzxRLI

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L’Italia, la lotta al narcotraffico e la legislazione contro il consumo di droga nell’immediato dopoguerra

L’Italia, la lotta al narcotraffico e la legislazione contro il consumo di droga nell’immediato dopoguerra

Se l’Italia degli anni cinquanta non era ancora un mercato appetibile per il commercio di stupefacenti, esprimeva però buone potenzialità per il traffico delle medesime sostanze dai paesi produttori verso i paesi dell’occidente sviluppato. Soprattutto la Sicilia era divenuta, grazie alla presenza delle strutture logistiche e ai contatti internazionali della mafia, una vera e propria “portaerei della droga” e saranno proprio gli Stati Uniti a premere sul Governo italiano per una modificazione in senso maggiormente repressivo della legislazione. La legge 22 ottobre 1954 n. 1041, “Disciplina della produzione, del commercio e dell’impiego di stupefacenti” nasce con queste premesse di carattere politico: ha un carattere fortemente repressivo ed è indirizzata quasi esclusivamente a colpire chiunque abbia a che fare, a vario titolo, con qualsiasi sostanza ritenuta stupefacente, senza alcuna distinzione tra consumatore e spacciatore.

Terzo di tre articoli. Leggi l’articolo 1 e l’articolo 2.

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La legislazione sugli stupefacenti nell’Italia unita: una prima panoramica

La legislazione sugli stupefacenti nell’Italia unita: una prima panoramica

Il consumo di stupefacenti in Italia assunse le dimensioni di fenomeno di massa a partire dagli anni Settanta. Prima di analizzarne le caratteristiche e gli interventi delle istituzioni, è necessario ricostruire un quadro generale del periodo precedente, evidenziando la graduale espansione del consumo interno, le legislazioni adottate a contrastarne la diffusione e le rappresentazioni pubbliche dei consumatori.

Secondo di tre articoli. Leggi l’articolo 1.

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Droga: la storia delle sostanze tra legislazione, istituzioni e consumo di massa

Droga: la storia delle sostanze tra legislazione, istituzioni e consumo di massa

Introduzione

Negli anni Ottanta, in Italia, l’abuso di eroina è stata una piaga sociale che ha devastato un’intera generazione. In quegli anni il dibattito pubblico sull’argomento era molto acceso. Attualmente, invece, sembra un tema quasi dimenticato: si parla di sostanze stupefacenti troppo spesso declinando il concetto al singolare, inserendolo nella vaga categoria droga. Anche grazie alle campagne di depenalizzazione, che sono state portate avanti in diversi Paesi del mondo, si sente parlare della cannabis, dei suoi possibili impieghi benefici e della possibilità di aprire negozi che la vendano per il consumo ricreativo.

Difficilmente, invece, si analizza il tema delle droghe pesanti, in particolare degli oppioidi, e le conseguenze terribili legate al consumo di queste sostanze.

Al fine di comprendere i meccanismi di questo fenomeno è necessaria una analisi storica che tenga conto dell’evoluzione del consumo di questa sostanza, della risposta delle istituzioni a livello legislativo e la ricaduta del fenomeno a livello sociale.

Ora, la mia prima tesi è che l’esperienza della droga sia riconoscibile come una delle esemplificazioni realizzate dell’erosione del valore condiviso dell’eguale autonomia individuale. In questo senso, essa costituisce un genuino costo morale per istituzioni giuste.” (Salvatore Veca, “I costi sociali della droga“, atti della Prima Conferenza Nazionale sulla droga, Palermo, Giugno 93).

La presenza della droga nella storia umana

La presenza continuata delle droghe nella storia serve non tanto a ricordare una coesistenza pacifica, oggi non più possibile, quanto a comprendere un altro aspetto: la regolarità e la frequenza con la quale il bisogno umano di trascendere gli stati di coscienza, di potenziare le capacità sensoriali, o di annientare il dolore e raggiungere la pacificazione catartica, si manifesta cercando sbocchi in direzioni diverse ma sempre riconducibile all’auto-distruzione.

Alla parola droga corrisponde fino agli anni ’50 un significato del tutto innocente nei dizionari della lingua italiana. Lo si usa per parlare di spezie e di aromi. Poi con il tempo il termine perde la sua innocenza originaria ma la descrizione resta ampia e poco centrata, con il solo distinguo fra prodotti naturali e prodotti chimici.

Nel 1967 l’Organizzazione mondiale della sanità elabora una definizione, che rimane ancora in uso: droga è ogni sostanza naturale o artificiale in grado di modificare la psicologia e l’attività mentale degli esseri umani. Questi effetti vengono denominati «psicoattivi». È ancora una definizione sommaria, ma ha il pregio di evidenziare l’unico denominatore comune a tutte, cioè la capacità di alterare gli stati di coscienza e il sistema nervoso.

Da questo ombrello comune si possono estrarre e distinguere tutte le famiglie delle droghe. Ognuna è diversa dall’altra per gli effetti che produce in primo luogo, e per la considerazione nella quale è tenuta dalla società, subito dopo. Quanto modificano l’umore e l’attività mentale degli esseri umani le droghe – poco, molto – e con quali conseguenze – irrisorie, leggere, profonde?

Bisogna cominciare prima col prendere atto che il sapere umano ha individuato la natura e le capacità delle sostanze psicoattive moltissimo tempo fa e che numerosi popoli le hanno conosciute e usate: ma l’esperienza diretta della droga nel passato storico si è configurata in maniera assai diversa da quella di cui ci occupiamo nei nostri giorni.

Le testimonianze sono numerose e ne citerò solo alcune. Si tratta delle droghe naturali più importanti: l’alcol, la coca, l’hascisc, l’oppio, tutte con radici molto lontane nel tempo. Ho nominato l’alcol – Alceo nel distico celebra la bontà del vino – perché come sostanza psicoattiva è la più antica e diffusa tra le popolazioni mediterranee che l’hanno distillata, preferendola a lungo all’altrettanto antica canapa indiana e destinandole un posto di rilievo nella farmacopea. Le sostanze di origine asiatica e orientale vantano gli autori classici più celebri tra i loro osservatori.

È Erodoto che descrive l’hascisc nel quarto libro delle Storie, ma l’abitudine di respirarne l’effluvio non è dei greci, popolo mediterraneo che appunto favoriva le bevande alcoliche, bensì degli sciti: «il seme gettato fa fumo ed emana un vapore tale che nessun bagno a vapore greco potrebbe vincerlo: gli sciti mandano urla di gioia…». [1]

Siamo nella famiglia della canapa indiana, che fioriva allora sull’Himalaya settentrionale e l’hascisc, ricavato dalla sua resina, è al centro di uno dei racconti di Marco Polo. A seconda delle diverse redazioni de Il Milione, Marco Polo parla di hascisc o di oppio (che invece si ricava dal papavero). I seguaci del Vecchio sulla montagna, nel quarantesimo capitolo, vengono circuiti e addormentati da una bevanda meravigliosa che evoca in loro visioni di paradiso, poi, soggiogati e indotti a ubbidire, eseguono i delitti commissionati dal vecchio capo: nel loro nome – assassini – si conserva la radice dell’hascisc. Nei testi storici affiorano sia usi rituali e religiosi delle piante da cui provengono le sostanze (considerate piante sacre) -e in questo caso il fine è di trascendere lo stato normale della mente in vista della comunicazione con gli esseri soprannaturali o con gli dei-, sia usi puramente voluttuari, legati al piacere dei sensi, o una combinazione di entrambi. Le occasioni sono circoscritte, intermittenti, confinate a momenti o a eventi simbolici, incorporate entro relazioni sociali di fiducia e di sicurezza. I due esempi più chiari di un uso soprattutto voluttuario riguardano la coca e l’oppio, due sostanze assai diverse tra loro.

Non sono gli autori classici a descrivere gli effetti che le foglie di coca generavano tra gli indiani americani sconfitti dagli europei; lo fanno soltanto le testimonianze dei conquistatori stessi nel Perù, in Columbia, in Ecuador (così il segretario di Pizarro, nel 1533). Anche la coca era considerata una pianta sacra, al pari del peyotl diffuso in Messico, ma la masticavano sia i sacerdoti sia i contadini che i pastori, si dice per tollerare la fatica del lavoro sulle Ande ad altitudini elevate: è effetto proprio di questa sostanza l’abbassamento della soglia della fatica fisica. Un congresso ecclesiastico a Lima, dopo la conquista, provò a proibirne l’uso tra i contadini, definendo la coca pianta idolatrica, ma ottenne pochissima ubbidienza. All’interno di alcune tribù indiane americane, sia nel nord sia nel centro del continente, il legame con le foglie di coca non si è mai spezzato, neanche in epoca moderna, come testimonia tutta l’opera di Carlos Castaneda. La vicenda dell’oppio appare più complicata anche se nasce con analoghe caratteristiche di naturalezza e di normalità. [2]

I farmaci derivati dall’oppio sono i più antichi rimedi in uso ancora oggi. I Sumeri definivano il papavero la “pianta della felicità”: questo permette di intuire che ne avessero appreso le proprietà. Gli effetti psicotropi del succo di papavero erano ben conosciuti ai medici dell’antica Grecia, come riportato dal filosofo e botanico Teofrasto nel III secolo a.C.. L’oppio e la carne di vipera erano i principali ingredienti della terriaca, inventata dal medico personale di Nerone, Andromaco, che attraverso i perfezionamenti introdotti da Galeno è rimasta in uso fino al XVIII secolo.

Il medico alchimista Paracelso (1499-1541) ha ideato il laudano, la cui etimologia deriva dal verbo latino laudare: per la prima volta viene associato ad un oppiaceo il concetto di eroico.  Il laudano è un preparato farmaceutico a base di oppio. Si produce macerando l’oppio nel vino o in una soluzione alcolica per diversi giorni, con l’aggiunta di alcune spezie quali zafferano, cannella e chiodi di garofano che mascherano il gusto dell’oppio e lo rendono più gradevole. Si ottiene così un liquido brunastro, che, grazie al suo contenuto di morfina (1%), ha proprietà analgesiche e antispastiche.

Nel 1680 Thomas Sydenham ideò la tintura d’oppio, che poteva essere impiegata, in base alla sua composizione, come analgesico, sedativo o stimolate. Fu spesso utilizzata nel corso della guerra civile americana, con il duplice scopo di alleviare la sofferenza dei soldati feriti e di curare i disagi psicologici provocati dalla battaglia. Fu soprattutto il secondo impiego a degenerare nelle prime vere tossicodipendenze da oppio. A partire dal XVIII secolo, in Germania ebbero inizio le prime sperimentazioni che condussero all’isolamento dell’alcaloide più potente contenuto nell’oppio: la morfina. Nel 1804 il farmacista tedesco Friedrich Wilhelm Adam Serturner (1785- 1841) riuscì per la prima volta ad estrarre la morfina, per commercializzarla, a partire dal 1817, come farmaco contro la dipendenza da laudano, oppio e alcol. Rispetto al laudano che veniva prodotto diluendo l’oppio con alcol e spezie, la morfina è un vero e proprio farmaco moderno: può essere somministrato in quantità esatte ed è possibile un maggiore controllo degli effetti collaterali. Venne però sottovalutato da parte di medici e farmacisti il fatto che si trattasse di una sostanza raffinata e di conseguenza molto potente.

Un caso emblematico è rappresentato dallo Sciroppo lenitivo di Mrs Winslow (Mrs Winslow’s soothing syrup), uno sciroppo ad uso pediatrico messo sul mercato a partire dal 1849. Venduto come l’amico delle mamme, veniva utilizzato per gli scopi più svariati, dalle eruzioni dentarie ai problemi intestinali, e si può ipotizzare che venisse somministrato per sedare qualsiasi stato di agitazione o pianto. L’indiscutibile efficacia del prodotto, unita alla considerazione che si aveva dello stesso, concepito come naturale e sicuro, contribuì all’enorme successo dello sciroppo.

Solo nel 1911 l’American Medical Association denunciò l’abuso del preparato, la cui vendita nel Regno Unito fu proibita nel 1930. Per quanto attualmente possa sembrare inconsueto, un uso simile della morfina non era insolito fino a pochi decenni fa in alcune zone del Sud Italia, l’impiego di decotti di papavero per sedare le crisi di pianto dei bambini o per indurne il sonno, la cosiddetta papagna o in Sicilia papaverina. La morfina si dimostra subito un farmaco in grado di sollevare qualsiasi paziente da qualunque sofferenza, rendendo così molti medici inclini ad utilizzarla; eppure fu presto chiaro che essa instaurava una dipendenza molto più forte rispetto al laudano, e in un tempo inferiore.

Ma la presenza continuata delle droghe nella storia serve non tanto a ricordare una coesistenza pacifica, oggi non più possibile, quanto a comprendere un altro aspetto: la regolarità e la frequenza con la quale il bisogno umano di trascendere gli stati di coscienza, di potenziare le capacità sensoriali, o di annientare il dolore e raggiungere la pacificazione catartica, si manifesta cercando sbocchi in direzioni diverse ma sempre riconducibile all’auto-distruzione. È questo bisogno che molti scrittori hanno osservato e descritto da vicino: A. Huxley nel suo saggio sulla mescalina, C. Baudelaire nelle prose dei Paradisi artificiali, T. De Quincey nell’autobiografia del fumatore d’oppio.

E, con intenzione analitica diversa, M. Weber quando ha constatato l’importanza per i brahmani induisti di sorseggiare il succo inebriante del soma, la materia sacrificale più importante nella religione vedica; il sociologo Elias quando ha analizzato il rapporto tra la pulsione dell’aggressività e lo sport; lo psicologo Palmonari quando ha studiato le turbolenze e le tentazioni trasgressive dell’adolescenza. Tutti hanno scrutato il desiderio umano di trascendere i confini dell’io e di affinarne, sublimandole, le facoltà mentali e fisiche.

Da questo filo forte con la storia delle nostre esperienze, delle nostre inclinazioni e anche dei nostri sogni di onnipotenza è il caso di partire per cercare prima di tutto di riconoscerli e di comprenderli, per ragionare poi sul modo di governarli, infine per vigilare su quei mezzi, in questo caso le sostanze naturali e chimiche, che possono sfruttare e distorcere un’inclinazione così diffusa.

Nel 1897, la Bayer fu la prima casa farmaceutica a sintetizzare l’eroina: viene ottenuta tramite un processo di acetilazione della morfina; il suo nome scientifico è diacetilmorfina. Venne proposta come rimedio per la dipendenza da morfina, la tosse, e considerata particolarmente adatta ai bambini data la presunta maneggevolezza. Paradossalmente, nello stesso periodo, dall’acetilazione dell’acido salicilico era stato ottenuto l’acido acetilsalicilico, ovvero l’aspirina, e la stessa casa farmaceutica presentò l’eroina come un farmaco senza grandi effetti collaterali mentre chiese ai medici di essere cauti nella prescrizione dell’aspirina. Oltre ad essere fino a due volte più potente della morfina, l’eroina aveva un effetto più veloce: in particolare per via iniettiva i suoi effetti erano immediati. Anche questa volta non passò molto tempo prima che ci si rendesse conto che l’eroina non curasse la dipendenza da morfina, bensì ne stabilisse una molto più marcata. Dalla commercializzazione dell’eroina la Bayer non ottenne mai i guadagni sperati e nel 1911 perse il brevetto.

A partire dal 1924 l’uso medico dell’eroina venne progressivamente proibito in tutto il mondo. Oggi l’eroina non è più un farmaco in nessun Paese tranne che nel Regno Unito, in cui viene impiegata nei momenti in cui occorre un farmaco simile alla morfina ma con un effetto immediato. Anche se per poco tempo, l’eroina è stata a tutti gli effetti un farmaco, poi finito sul mercato illegale: si può dunque affermare che l’origine della malattia da eroina derivi da un effetto non voluto di un trattamento farmacologico del quale i medici dell’epoca hanno una responsabilità. [3]

In Italia, il consumo di stupefacenti assunse una dimensione di massa a partire dagli anni Settanta. Prima di addentrarsi dell’analisi delle caratteristiche del fenomeno e degli interventi adottati come reazione, si è ritenuto utile ricostruire un quadro complessivo del periodo precedente negli Stati Uniti, evidenziando la graduale crescita del consumo interno, le legislazioni preposte a contrastarne la diffusione e le rappresentazioni pubbliche dei consumatori. Nel 1906 gli Stati Uniti d’America introdussero la prima drug law e, nel corso degli anni, la criminalizzazione delle sostanze stupefacenti è diventata talmente severa da essere oggi conosciuta come “war on drugs”, guerra alla droga.

Daniele Onori


[1] Erodoto, Historiae, IV, 73(2)-75, nella traduzione di Augusta Izzo D’Accini, 1984, Mondadori, Milano. 

[2] S. Piccone Stella, Droga e Tossicodipendenza, p. 25 e ss. il Mulino Bologna 1999

[3] S. Giancane, Eroina. La malattia degli oppioidi nell’era digitale Edizioni Gruppo Abele 2014

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