Il soggetto è ispirato al libro ‘Miccia corta’, scritto da Sergio Segio che per anni è stato tra i nomi di spicco della organizzazione denominata ‘Prima linea’: una formazione armata che a lungo organizzò attentati e seminò morti, nella scia orribile delle Brigate Rosse. Le scritte finali ricordano che Segio e Susanna Ronconi hanno poi lavorato nel volontariato, dopo aver espiato le pene loro inflitte, mentre il protagonista del film appare consapevole di aver sbagliato tutto.
1. Il terrorismo rosso nasce e prolifica nella clandestinità, e il film La Prima Linea ben lo descrive. Ispirato dal libro Miccia Corta di Sergio Segio[1], pubblicato nel 2005, l’autore racconta la sua storia personale, di fondatore dell’omonima formazione terroristica nella seconda metà degli anni Settanta.
La storia narrata nel film, che inizia nel febbraio 1983 con l’arresto di Segio, interpretato da Riccardo Scamarcio, salta fino al 1989, quando il protagonista si rivolge verso gli spettatori dalla prigione “Le Nuove” a Torino, dove è detenuto da sei anni. Affrontando la telecamera, con ripresa di breve distanza, il viso di Sergio ci guarda direttamente, ammette gli addebiti e ‘si pente’: “Abbiamo fatto cose da pazzi, è vero. Ma non eravamo pazzi. Oggi mentre a Berlino festeggiano la caduta del Muro, oggi che la storia sta cancellando ciò che resta del comunismo, so che eravamo fuori dal tempo, fuori dal mondo. Ci credevamo i nuovi Partigiani, ci sentivamo come i guerriglieri per le lotte di liberazione del Terzo Mondo. Ma non eravamo nel Terzo Mondo. Eravamo convinti di aver ragione e invece avevamo torto. Ma allora non lo sapevamo”.
La sua voce intermittente ricompare come un filo di continuità e di commento, attraversando il film: Sergio, figlio di un operaio, era nato nel 1955 accanto alle grandi fabbriche milanesi nella zona Sesto San Giovanni, la c.d.“Stalingrado italiana”. Lui e il fratello Piero partecipavano con entusiasmo alle contestazioni politiche nel 1968, quando Segio era tredicenne. Egli racconta come lui e i suoi compagni temessero, dopo i colpi di stato in Cile e Grecia, che un colpo di stato della destra si realizzasse anche in Italia, dopo di che gli esponenti della sinistra sarebbero stati massacrati. Il racconto è accompagnato da spezzoni di vecchi documentari in bianco e nero, come le riprese della silenziosa folla davanti al Duomo, a Milano, ai funerali delle vittime della strage di piazza Fontana. Segio riteneva necessario rispondere con la violenza a eventi come la bomba nella Banca dell’Agricoltura, la morte di Pinelli, la crescita dell’estrema destra.
2. Il film segue due percorsi narrativi, da un lato le attività terroristiche del gruppo e dall’altro la storia d’amore fra Segio e la veneziana Susanna Ronconi, interpretata da Giovanna Mezzogiorno, anche lei tra i fondatori della formazione. Dopo che le BR di avevano assassinato Aldo Moro nel maggio 1978, Prima Linea organizzò d eseguì l’omicidio del giudice Emilio Alessandrini a Milano il 29 gennaio 1979: Alessandrini lavorava per migliorare la condizione dei detenuti nelle carceri, e una parte dei componenti del gruppo era contraria alla sua eliminazione: “Un giudice bravo. Ha scoperto che gli anarchici non c’entrano con la bomba di piazza Fontana, e che sono stati i fascisti.”
Nonostante questo, egli fu ucciso[2] e la reazione popolare, descritta nel film, fu fortissima. Nonostante l’isolamento, Prima Linea non abbandonò l’opzione del terrore continuava: “Vedevamo nemici ovunque – attesta Segio –. Continuavamo a uccidere e a essere uccisi.” In un bar a Torino il gruppo perde due aderenti in uno scontro con la polizia. Per vendicarsi l’organizzazione uccide il proprietario Carmine Civitate, del tutto estraneo al conflitto con la polizia. Nel febbraio 1980, dopo aver ucciso il giovane compagno William Waccher, reo di aver parlato con le forze dell’ordine, Segio si ferma e lascia Prima Linea. Ronconi viene arrestata poco dopo e condotta nel carcere di Rovigo.
Segio decide di liberarla: l’assalto al penitenziario ha successo: Ronconi e altre tre ragazze vengono fatte uscire, ma la prima è arrestata di nuovo nel 1982. Segio commenta: “Io smisi di vivere.” Alla fine è arrestato anche lui. Il film finisce con le sue parole “La mia responsabilità è giudiziaria, politica, e morale. Io le assumo tutte e tre”. Ronconi terminò la sua pena nel 1998, dopo sedici anni nel carcere.
3. Che cosa pensare di questa storia, e più in particolare del modo in cui il film la presenta? In La Prima Linea notiamo, attraverso la voce di Segio, la presenza di dubbi, di rimorsi e di argomenti contrari alla violenza. L’immagine dello schermo si ferma spesso su visi pieni di ripensamento, accompagnati da una tranquilla e riposante musica di pianoforte. Non è possibile conoscere la veracità o la sincerità del pentimento. Nonostante il film induca a una qualche indulgenza verso il protagonista, non è così semplice.
La Prima Linea è stato girato trent’anni dopo le vicende che racconta, e si vede. L’intensità della lotta è indebolita e affiancata da altre realtà. Il regista sembra esprimersi senza costrizioni. La struttura è complessa, originale ed efficiente. I punti di vista sono molteplici, la cinematografia è ricca e varia, nel trattamento del tempo, nelle caratterizzazioni e nelle valutazioni esistenziali. Mentre le donne spesso furono trattate con negligenza nei film durante gli anni di piombo, qui è sottolineata a forte individualità di Ronconi.
Di Prima linea sono state date rappresentazioni in parte distorte: un’organizzazione minoritaria rispetto alle Brigate rosse, “predisposta” al pentimento in ragione dei personaggi che la componevano, priva di una salda linea politica e di una conseguente elaborazione teorica. Anche il paragone, a volte evocato da alcuni militanti, con Il Mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, contribuisce a dare un colore picaresco alla storia, ma rischia di confermare quel tacito accordo nella storiografia dominante sui cosiddetti “anni di piombo” che riconduce l’intera eversione armata alle sole BR.
La ricostruzione che fa apparire la sovversione armata come un fenomeno unico, una sorta di UFO, privo di diffusione di radicamento sociale, mondo conto della facilità con cui si è varcato il confine tra la protesta e il crimine. Sbaglia chi pensa ai terroristi come a personaggi pervenuti alla scelta delle armi dopo un percorso lacerante di approfondimento e di confronto: è sufficiente leggere le interviste rilasciate dai nomi più noti per accorgersi di come i meccanismi siano stati spesso banali. Per commettere il male non è necessario essere in partenza ‘cattivi’: basta che qualcuno ti convinca che per ottenere un presunto maggior bene il male è necessario.
Quando l’ideologia diventa la misura di tutte le cose, in suo nome tutto diventa giustificabile: “Non fa male credere. Fa molto male credere male”, cantava Giorgio Gaber.
Daniele Onori
[1] Sergio Segio, il c.d. “comandante Sirio”, è stato tra i fondatori di Prima linea, organizzazione armata che ha contato mille militanti e migliaia di simpatizzanti. In questo libro descrive una delle azioni più clamorose della lotta armata in Italia: l’assalto al carcere di Rovigo, con cui liberò la sua compagna e altre tre detenute politiche. Il racconto si snoda in una sola giornata, il 3 gennaio 1982, col ritmo incalzante tipico delle migliori sceneggiature di film d’azione. Sullo sfondo si intersecano fotogrammi delle lotte e dei movimenti degli anni Settanta.
[2] Alle 7.50 del 29 gennaio 1979, dopo avere come ogni mattina accompagnato il figlio Marco alla scuola elementare di via Colletta, Alessandrini, 36 anni, fu aggredito da un “commando” di Prima Linea, composto da cinque elementi terroristi in azione. La prima rivendicazione, alle 8.55, arrivò per telefono al quotidiano la Repubblica.