1. Nato a Lipsia l’1 luglio 1646, Gottftried Wilhelm Leibniz mostrò fin da giovane una vivace e polivalente intelligenza, applicandosi con successo alla matematica, alla logica, all’astronomia, alla filosofia e agli studi di diritto.
Figlio di un professore di etica dalla ricca biblioteca, apprese da autodidatta la lingua latina e quella greca, laureandosi poi in diritto e prestando servizio come segretario dell’arcivescovo di Magonza Johann Philipp von Schönborn.
Nel 1670 divenne consigliere al Tribunale supremo d’appello, e poi intraprese la carriera diplomatica a Parigi, ove conobbe l’astronomo e matematico Christian Huygens con cui intratterrà una lunga amicizia e un intenso scambio epistolare.
Nel 1673 presentò alla Royal Society di Londra il primo progetto di una calcolatrice con cui effettuare le operazioni di moltiplicazione e divisione con la memorizzazione dei numeri, ed elaborò il calcolo infinitesimale che così grande successo ha avuto per lo sviluppo delle scienze nei secoli successivi.
2. Tra le sue opere giuridiche principali si ricordano i “Casi perplessi in diritto” e “Nuovo metodo per l’apprendimento e l’insegnamento della giurisprudenza”. Le sue due opere filosofiche fondamentali furono “La monadologia” e “Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male”.
Fondando parte essenziale della sua riflessione filosofica sul principio innatistico, quello cioè per cui l’anima è innata a se stessa, per Leibniz, pur di formazione luterana[1], fede e ragione sono in continuità anche se la fede conduce a scoprire verità che la ragione da sola non potrebbe individuare[2].
Nei Saggi di teodicea presenta e affronta uno dei principali problemi filosofico-morali della civiltà occidentali: se esiste Dio da dove proviene il male? Se Dio non esiste da dove proviene il bene? La sua risposta è che la causa di entrambi deve essere ricercata nella natura delle creature, poiché in tale natura si riflettono quelle verità eterne insite nell’intelletto di Dio, indipendentemente dalla sua volontà[3].
3. Per Lebniz il male può essere inteso in senso metafisico, fisico e morale e al male deve necessariamente corrispondere una pena nel suo senso retributivo, poiché, scrive lo stesso Leibniz «la pena serve anche per l’emendamento e l’esempio: il male serve spesso a far gustare il bene, e talvolta contribuisce a una maggior perfezione di chi soffre, come il grano che si semina è soggetto ad una sorta di corruzione per germogliare»[4].
Per Leibniz proprio la ragione, cioè l’intelligibilità del creato, è lo strumento che non soltanto consente all’uomo di differenziarsi dall’animale, ma anche ciò che consente «la conoscenza delle verità necessarie ed eterne[…], elevandoci alla conoscenza di noi stessi e di Dio»[5].
Nel pensiero giuridico di Leibniz emerge con chiarezza il ruolo del diritto naturale che comporta tre gradi distinti: lo ius strictum che obbedisce al principio del neminem ladere; l’aequitas che si traduce il principio della giustizia distributiva del suum cuique tribuere; la pietas che si esprime nel principio dell’honeste vivere poiché le leggi naturali sono fondate sull’ordine divino del creato.
In tale direzione lo stesso giurista di Lipsia scrive che «l’arbitrio del giudice regolato, ove la causa non possa essere decisa secondo diritto, segua le regole di carità, di equità, di umanità, di comodità, di utilità ecc»[6].
Gli evidenti riverberi della luce del diritto naturale, compreso mediante le risorse dell’umana razionalità, dunque, lasciano intuire come nel sistema di pensiero filosofico-giuridico di Leibniz il diritto non possa essere ridotto né alla mera contingenza politica, né al puro arbitrio del giudice, né alla mera forma della legge, dovendosi piuttosto imparare, da parte dei giuristi, il difficile compito di vedere il diritto oltre le norme, la giustizia oltre l’ordinamento, la carità oltre la giustizia.
Aldo Rocco Vitale
[1] Nota è la posizione sostanzialmente e radicalmente contraria alle capacità della ragione di Martin Lutero secondo cui, non a caso, la ragione è essa stessa contaminata dalla caduta e dal peccato e non in grado di esplicare le proprie energie per la comprensione del creato, e dunque dell’umano libero arbitrio, poiché la ragione umana è «cieca, sorda, stolta, empia e sacrilega di fronte a tutte le parole e le opere di Dio»: Martin Lutero, Il servo arbitrio, Claudiana, Torino, 2017, pag. 427.
[2] Vittorio Mathieu, Introduzione a Leibniz, Laterza, 1976, pag. 50.
[3] Guido Zingari, Invito al pensiero di Leibniz, Mursia, Milano, 1994, pag. 105.
[4] Gottfried Wilhelm Leibniz, Saggi di teodicea, Bompiani, Milano, 2005, pag. 239.
[5] Gottfried Wilhelm Leibniz, La monadologia, Fabbri Editori, Milano, 1996, pag. 150.
[6] Gottfried Wilhelm Leibniz, I casi perplessi del diritto, Giuffrè, Milano, 2014, pag. 58.