Per Kant in ogni legislazione si trovano due elementi: una legge, che rappresenta l’azione che deve esser fatta oggettivamente come necessaria; un impulso, che unisca soggettivamente il motivo che determina la volontà a questa azione colla rappresentazione della legge, onde questo secondo elemento si riduce a ciò che la legge faccia del dovere un impulso. Il primo elemento presenta l’azione come un dovere, il secondo unisce nel soggetto all’obbligazione ad agire un impulso capace di determinare la volontà in generale. Dunque, ogni legislazione può differire da un’altra quanto agli impulsi. Quella legislazione che erige un’azione a dovere, e questo dovere nello stesso tempo ad impulso è morale. Quella che al contrario non comprende quest’ultima condizione nella legge, e che in conseguenza ammette anche un impulso diverso dell’idea dal dovere stesso è giuridica. Il puro accordo o disaccordo di un’azione colla legge senza riguardo alcuno all’impulso di essa si chiama legalità; quando invece l’idea del dovere derivata dalla legge è nello stesso tempo impulso all’azione, abbiamo moralità. Da questo si può desumere che tutti i doveri, unicamente perché sono doveri, appartengono all’etica; ma la legislazione che li prescrive non è perciò stesso sempre compresa nell’etica, anzi essa dai suoi limiti per molti di essi. Dunque non nell’etica ma nello ius riposa la legislazione, che ordina che la promessa data deve essere mantenuta. L’etica insegna soltanto che, se anche fosse soppresso l’impulso che la legislazione giuridica unisce al dovere, l’idea del dovere sarebbe da sola sufficienza come impulso. (Kant, Introduzione alla Metafisica dei costumi, in Scritti politici e di filosofia della storiadel diritto, Utet, Torino, 1956, 393 ss.)
1. Immanuel Kant nasce il 22 aprile del 1724 a Königsberg, l’attuale Kaliningrad, al tempo capitale del regno di Prussia Orientale, in una famiglia numerosa, di modeste condizioni economiche. La prima formazione è condizionata dalla madre, Anna Regina, fervente seguace del movimento pietista: nel 1732, all’età di otto anni, Immanuel viene iscritto al collegio Federicianum, dove – grazie all’attivo sostegno economico della direzione della scuola – approfondisce gli studi di latino e di ebraico, trascurando inizialmente le scienze applicate. Se questo periodo verrà successivamente ricordato dal filosofo come cupo e infelice, la svolta arriva nel 1740 (tre anni prima era morta la madre), con l’iscrizione all’università Albertina di Königsberg: lì, sotto la guida di Martin Knutzen, professore di logica e metafisica, Kant scopre le scienze, e in particolar modo il pensiero newtoniano (il grande scienziato inglese era morto nel 1727), che resterà per il filosofo un punto di riferimento anche per gli anni della maturità.
Terminati gli studi nel 1747, per fronteggiare le difficoltà economiche dovute alla morte del padre, avvenuta l’anno precedente, Immanuel si dedica a fare il precettore privato, approfondisce le proprie letture, e pubblica il primo lavoro (Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive). Nel 1755, ottenuto il dottorato e la qualifica di magister, fondamentale per l’abilitazione all’insegnamento, Kant arricchisce il bagaglio filosofico studiando i metafisici tedeschi e Rousseau, e occupandosi di argomenti tecnico-scientifici: nel 1755 pubblica la Storia universale della natura e teoria del cielo e la Nuova spiegazione dei primi principi della conoscenza metafisica, l’anno successivo edita un saggio sui terremoti e una Monadologia fisica, seguiti da lavori sulla morale, la metafisica, l’estetica (Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Ricerca sull’evidenza dei principi della teologia naturale e della morale, entrambi del 1764; I sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, 1766). Nel 1770 questo percorso di formazione viene coronato dall’ottenimento della cattedra universitaria di logica e metafisica a Königsberg, grazie alla Dissertazione intitolata La forma e i principi del mondo sensibile e intelligibile (in latino: De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis).
2. È il punto d’avvio della fase centrale della riflessione kantiana. Nel 1781 vi è la prima edizione della Critica della ragion pura (Kritik der reinen Vernunft), con cui Kant, affrontando la questione di un fondamento, e di un’analisi critica, del sapere umano, getta le basi, distinguendo tra “dottrina trascendentale degli elementi” e “dottrina trascendentale del metodo”, delle future riflessioni sulla validità delle nostre conoscenze oggettive e sul rapporto tra metafisica e scienze. La vita di Kant, da questo punto in poi, diviene quella dello studiosoo. Del 1783 sono i Prolegomeni a ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza, e dell’anno successivo l’Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico; sempre del 1784 è la Risposta alla domanda: ‘Che cos’è l’Illuminismo?’, e del 1785 la Fondazione della metafisica dei costumi.
Nel 1788 Kant pubblica la seconda opera maggiore, dopo aver curato la nuova edizione della Critica della ragion pura: con la Critica della ragion pratica (Kritik der pratischen Vernunft) egli sviluppa, in accordo col quadro teorico delle opere precedenti, la concezione kantiana della morale, secondo un’indagine critica dei fondamenti dell’agire umano. Nel 1790, la Critica del giudizio (Kritik der Urteilskraft) chiude il cerchio dei grandi lavori: questa volta il focus del ragionamento è il giudizio estetico, con asserzioni che anticipano le posizioni romantiche degli anni a venire. Nel 1793 il saggio kantiano sulla religione (La religione nei limiti della semplice ragione) suscita le reazioni ostili di Federico Guglielmo II, sovrano del Regno di Prussia, cui Kant si piega per spirito d’obbedienza, ma senza rinnegare ciò che ha sostenuto nella sua opera. È l’ultimo passaggio significativo della vita di Immanuel Kant: abbandonato l’insegnamento nel 1796, per il progressivo indebolimento del fisico e della mente il filosofo si spegne nell’amata Königsberg il 12 febbraio 1804.
3. La dottrina giusnaturalistica moderna trovò la sua più sistematica e coerente configurazione nella Dottrina del diritto di Immanuel Kant contenuta nella prima parte della Metafisica dei costumi, che intese essere lo studio a priori della condotta umana non derivata dall’esperienza. Rispetto alla questione della distinzione tra morale e diritto, Kant sostiene che la morale consta di imperativi, che sono obbediti per il loro intrinseco valore che determina l’uomo a obbedirli. Il diritto è invece costituito da imperativi cui l’uomo obbedisce e conformemente ai quali agisce per motivi anche diversi dall’intrinseco bisogno di rispettarli[1]. La volontà giuridica, al contrario della realtà morale, non trova in sé stessa la sua legge ma la riceve dall’esterno.
Posta la distinzione tra diritto e morale, Kant cerca la definizione a priori di diritto e afferma che gli elementi caratterizzanti lo ius sono tre: in primo luogo, il diritto riguarda le relazioni esterne di un soggetto, perciò l’intersoggettività; in secondo luogo, esso pone in relazione l’arbitrio di un soggetto con l’arbitrio degli altri; in terzo luogo, esso è indifferente agli scopi che i soggetti agenti si prefiggono, ma analizza la possibile compatibilità dell’azione con il sistema sociale in relazione alle libertà degli altri soggetti. Al termine dell’analisi Kant enuncia la famosa definizione: “il diritto è l’insieme delle condizioni per le quali l’arbitrio di ognuno può accordarsi con l’arbitrio degli altri secondo una legge universale di libertà. Legge universale del diritto (é perciò): agisci esternamente in modo che il libero uso del tuo arbitrio possa accordarsi con la libertà di ogni altro secondo la legge universale”[2].
Kant esprime dunque un concetto ideale di diritto simbolo di giustizia e finalizzato alla protezione della libertà in chiave sociale: la libertà è il fine cui il diritto è ordinato dalla ragione, e che esso attua coordinando le libertà dei singoli in modo che la libertà di uno non leda la libertà di un altro, ma che si accordi questa secondo leggi universali. Lo Stato, inteso come legislatore, ha il difficile compito di armonizzare la libertà dei singoli individui intessendo una struttura di rapporti intersoggettivi rispettosa dell’unico diritto innato: la libertà. L’individuo nello Stato incontra solo un limite all’esercizio dei suoi diritti, il non pregiudicare la libertà altrui. L’atteggiamento di Kant fu assai critico nei confronti dell’assolutismo: la sua idea di Stato corrispondeva infatti a quella dello stato liberale il cui solo scopo è di garantire l’esercizio delle libertà dei cittadini precludendo perciò alle istituzioni ogni altra attività che non sia a tale fine asservita.
4. Anche in Kant è presente il tema giusnaturalistico della distinzione tra diritto naturale e diritto positivo: secondo la dottrina kantiana le leggi di natura sono infatti imperativi a priori della ragione mentre il diritto positivo è frutto della volontà degli uomini. Egli chiama diritto privato le disposizioni di diritto naturale e diritto pubblico l’insieme delle norme di diritto positivo poste per la società civile[3]. Lo Stato di natura non è contraddistinto dalla mancanza di una qualsiasi struttura sociale ma per dall’assenza della società civile. Esso non è infatti una condizione pregiuridica, ma si caratterizza per una diversa giuridicità data dalla presenza delle sole leggi di diritto naturale: tale giuridicità è definita provvisoria poiché non garantita. Proprio questa precarietà porta alla fondazione della società civile: avendo già nello stato di natura dei diritti soggettivi e il conseguente diritto di chiederne il rispetto, l’uomo si accorda con i suoi simili per dar vita allo Stato, la cui ragion d’essere è la tutela coattiva dei diritti dei suoi membri.
L’uscita dallo stato di natura è un’esigenza razionale e morale dell’uomo. Postulare l’esistenza di diritti soggettivi e rimanere nello stato di natura in cui la fruizione di tali diritti è incerta è un controsenso: l’uomo ha perciò il dovere morale di uscire dallo stato di natura e di dar vita alla società civile secondo il postulato di diritto pubblico: “tu devi nel rapporto di necessaria coesistenza con tutti gli altri, uscire dallo stato di natura per entrare in uno stato giuridico”[4]. Alla morte di Kant i principi del giusnaturalismo avevano avuto ampio seguito nel panorama politico europeo portando a compimento l’opera di rinnovamento del diritto e della società: le grandi codificazioni del XIX secolo furono espressione pratica delle idee giusnaturalistiche. Dopo la diffusione delle dottrine kantiane il giusnaturalismo entrò in crisi. Le origini della decadenza possono essere individuate nella messa in discussione della visione della natura: nell’Ottocento l’idea di una natura buona e benefica, manifestazione di un ordine razionale al quale bastava che l’uomo si conformasse per realizzare il regno della giustizia cadde con l’avvento del romanticismo.
Daniele Onori
[1] Cfr. KANT, Introduzione alla Metafisica dei costumi, in Scritti politici e di filosofia della storia del diritto, UTET, Torino, 1956, 393 ss.
[2] cfr. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto. L’età moderna, il Mulino, Bologna,1968, 394 ss..
[3] Cfr. KANT, Introduzione alla Metafisica dei costumi, in Scritti politici e di filosofia della storiadel diritto, UTET, Torino, 1956, 422 ss..
[4] cfr. FASSÒ, op. cit., 403 ss