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La concezione del diritto di Capograssi ruota intorno ad un’ipotesi metafisica-religiosa: l’esistenza, al di là e al di fuori della realtà storica e empirica, del trascendente, che gli uomini nel momento in cui si associano – e dunque producono l’esperienza giuridica – scoprono, riconoscono ed inverano. L’idea cardine è che il pluralismo giuridico si concretizzi in una “gerarchia qualitativa” degli ordinamenti: l’ordinamento sottoposto allo Stato, l’ordinamento statuale, l’ordinamento internazionale, l’ordinamento delle chiese. Rispettare il pluralismo equivale a rispettare la diversità costitutiva del mondo del diritto.

1. Giuseppe Capograssi, definito il Socrate cattolico da Arturo Carlo Jemolo (1891-1991), nasce a Sulmona il 21 marzo 1889 e muore a Roma il 23 aprile 1956, il giorno prima della seduta inaugurale della Corte costituzionale, della quale sarebbe stato tra i componenti. Nel 1911 si laurea in Giurisprudenza, a Roma, con la tesi Lo Stato e la storia, sotto la guida di Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952). Dopo aver esercitato per due decenni l’avvocatura, nel 1933 inizia la sua carriera universitaria a Sassari, con l’insegnamento della filosofia del diritto, che sarà la sua disciplina preferita, incentrata sull’esperienza giuridica: in seguito insegnerà a Macerata, Padova, Napoli e Roma.

Le opere di Capograssi sono una dozzina: esse, oltre ad affrontare temi come la democrazia diretta (1922) e l’esperienza comune (1932), immettono nuova linfa spirituale e morale nella scienza del diritto (1937) e nelle sue branche. Dal punto di vista teoretico e speculativo l’opera Riflessioni sull’autorità e la sua crisi (1921) e l’Introduzione alla vita etica (1953) sembrano essere i suoi testi più originali: originalità che si ritrova pure nei tre volumi intitolati Pensieri a Giulia (1918-1924) ovvero nelle riflessioni rivolte alla futura moglie Giulia Ravaglia, da considerare capolavoro della letteratura spirituale ed epistolare d’ispirazione cristiana.

2.L’intera opera di Capograssi è innervata dall’inquietudine di riportare la scienza alla vita, di immettere le radici della riflessione nel terreno dell’esperienza concreta. La sua riflessione etica non è mai divisa da una visione metafisica generale: “l’etica moderna – afferma nella sua prima opera – pel fatto che l’Europa ha attraversato tempi nei quali effettivamente i grandi interrogativi hanno taciuto, ha creduto che essi fossero un puro ricordo del passato”[1]. Tali interrogativi saranno centrali davanti alla crisi dell’Europa vissuta in prima persona da Capograssi: questa crisi costituirà l’impulso che condurrà il giurista alle grandi questioni del senso ultimo della vita.

Tutti gli uomini abbracciano la necessità di un Assoluto, capace di soddisfare sia la nostra sete di conoscenza che il nostro dovere di orientamento: “con la logica profonda del desiderio che è desiderio di salvezza e di appagamento l’anima intuisce dietro tutte le realtà finite, che non hanno base in sé che si vanno appoggiando l’una con l’altra e si distruggono l’una con l’altra e chiedono aiuto l’una all’altra, una Vita che è infinita, che ha la sua propria base in se stessa, che può dare aiuto perché di nulla ha bisogno e ha tutto[2].

A sostenere l’uomo nella battaglia contro il male intervengono l’esperienza etica e l’esperienza giuridica. La prima spinge l’individuo a vivere secondo verità e ordine, la seconda riproduce la presa di coscienza della verità contenuta nell’azione, e, al tempo stesso spinge l’azione ad unirsi con tutte le altre azioni. Per questo, evidenzia Capograssi, il diritto è la vita stessa vissuta secondo il principio della cognizione dell’agire e di tutto quello che l’agire implica[3]. Così l’esperienza storica del diritto diventa esperienza storica dell’individuo in quanto esperienza dell’unità, dell’universale natura umana.

Proprio la connessione dell’azione dell’individuo con le altre azioni edifica la dimensione sociale, cioè lo Stato, il quale si realizza quando l’esperienza comune perviene alla consapevolezza di sé stessa come volontà comune e come legge. Ecco perché per Capograssi non è lo Stato a produrre il diritto, ma quest’ultimo nasce dall’esperienza giuridica. Lo Stato è l’attuazione dell’intera esperienza giuridica poiché, ben lungi dall’esserne lontano, ha le sue fondamenta nell’esperienza comune. “Momento dell’esperienza”, esso attua e realizza “la personalità come diritto, la vera esistenza del diritto come libertà[4].

3. In questo impianto del rapporto tra Stato ed esperienza comune, cioè tra Stato e individuo, è identificabile da parte di Capograssi la riscoperta del “diritto naturale”, progettato come “fondamento metafisico” dei diritti umani. Non a caso egli parla di “una legge universale che si pone senza essere posta[5]. Diritto, dunque, come collegato, orizzonte dell’azione umana, ma anche sua struttura, azione umana la quale sempre trascende i suoi fini particolari, la crociana sfera dell’utile, a misura dello sviluppo di una coscienza soggettiva che è volontà universale.

In tale prospettiva l’esperienza morale, lungi dal presentarsi come moralistica normatività, come semplice restrizione alla libertà di agire, viene segnalata da Capograssi come ciò che dice: “che in ogni azione debbo essere me stesso, debbo realizzare in me tutti gli interessi e i fini e i principi che fanno la totale e integrale umanità della sua vita[6].

Di qui, l’effetto, il primato dell’individuo sullo Stato, in linea con la tradizione del “personalismo” cristiano, da Rosmini a Blondel[7]. Ma i problemi dell’individuo non terminano neanche con l’esperienza etica. Perché nel momento in cui egli prende consapevolezza di sé e del suo agire secondo verità, allora tutto è messo in discussione dalla morte. Davanti ad essa l’individuo si interroga sul significato dell’esistenza. Di fronte alla disperazione, egli si rende conto che la vita non finisce con sé stesso e che l’azione ha ancora un altro passaggio: l’unione con l’Infinito. E’ il Cristianesimo, secondo Capograssi, a fornire la risposta, ridando speranza nella vittoria della vita sulla morte: “tutta la realtà umana è l’immenso tentativo di vivere tutto l’essere senza negazioni e senza esclusioni[8].

Nel tempo del totalitarismo e della massificazione, Capograssi esamina a fondo la condizione reale dell’individuo che si sforza di erigere la propria vita nelle situazioni concrete, elementari ed empiriche dell’esistenza. L’azione è il momento che rivela al soggetto la sua realtà ed esprime, nel suo svolgersi, lo sforzo e la fatica dell’individuo che tenta le mille forme della vita associata.

4. Il diritto non può essere capito partendo dalle forme del pensiero, ma solo attraverso l’analisi attenta dell’esperienza umana che si fa esperienza giuridica. Capograssi ha riconosciuto la scienza del diritto come scienza della vita che individua la sostanza dell’agire e la struttura dei fenomeni giuridici, dai quali campeggia l’universalità dell’esperienza da essi sottesa. Per lui la filosofia del diritto, oltre che mezzo di unificazione e verifica critica delle varie materie giuridiche, è comprensione della verità e della vita del diritto, nonché consapevolezza e canone interpretativo della storia contemporanea.

Il soggetto non è più l’io trascendentale, ma l’io comune, sicuro testimone dell’esperienza della concretezza del reale. Poiché l’individuo vuole attestare la sua inclinazione e la sua potenza di vita, la sua volontà è capacità rivelativa della verità ed esprime, pur nelle volizioni empiriche e parziali, la verità oggettiva della vita. Da qui l’incanto e la grandezza di Capograssi, solitaria e originale figura di giurista e filosofo. Questa la sua lezione: “La verità che i maestri del pensiero moderno si sforzano con ogni modo di nascondere a se stessi e agli altri, è che la vita è infelicità, vista con gli occhi del loro sistema. La sola maniera per comprendere l’individuo è di vederlo traverso Dio. Solo vedendo Iddio si comprende l’individuo: e poiché noi in questo non possiamo che intravedere Iddio, così noi possiamo intravedere quell’abisso di pace e di infinito, che è l’individuo[9].

Daniele Onori


[1] Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, in Opere complete, vol. I, ed. Giuffrè, Milano 1959, p. 154

[2] Analisi dell’esperienza comune, in Opere complete, vol. II, p. 56

[3] Capograssi G., Studi sull’esperienza giuridica, in D’Addio M-Vidal E. (a cura di)., “Opere”, Milano, Giuffrè, 1959, vol. II, p. 288.

[4] Capograssi G., Il diritto secondo Rosmini, in D’Addio M-Vidal E. (a cura di)., “Opere”, Milano, Giuffrè, 1959, vol. IV, p. 346.

[5] Capograssi G., Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, in D’Addio M-Vidal E. (a cura di)., “Opere”, Milano, Giuffrè, 1959, vol. I, p. 178

[6] Capograssi G. – Introduzione alla vita etica – ora in Opere 6 voll. Giuffrè 1959

[7] Campanini G., Giuseppe Capograssi. Nuove prospettive del personalismo, Roma. Studium, 2015,  p. 103-119.

[8] Capograssi G., Il diritto secondo Rosmini, in D’Addio M-Vidal E. (a cura di)., “Opere”, Milano, Giuffrè, 1959, vol. IV, p. 330

[9] Capograssi G., Pensieri a Giulia, cit., vol. II, lettera 1104

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