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Andando avanti e indietro nel tempo, con questo film del 1999 Maurizio Zaccaro rievoca l’odissea giudiziaria di Enzo Tortora con i toni e i ritmi del film processuale.

1. Alle 4 del mattino del 17 giugno 1983 il presentatore di programmi televisivi di successo viene arrestato a Roma, all’Hotel Plaza: Giovanni Pandico, collaboratore di giustizia, lo aveva indicato quale affiliato alla Nuova Camorra Organizzata e corriere della cocaina per conto di Raffaele Cutolo. La difesa viene assunta dagli avvocati Della Valle, Dall’Ora e Coppola. Nei mesi successivi Tortora sostiene confronti con altri collaboratori, da Melluso a Villa, e anche costoro lo accusano. Il 17 agosto 1984 il giudice istruttore di Napoli lo include fra i 630 imputati che rinvia a giudizio. Il 4 febbraio 1985 inizia il processo di primo grado, che si chiude il 17 settembre successivo, con la condanna di Tortora a dieci anni e sette mesi di reclusione. Il 20 maggio 1986 prende il via il processo di appello, che si conclude il 15 settembre seguente, quando la Corte assolve lo stesso Tortora: la sentenza diventa definitiva, all’esito del giudizio della Cassazione, il 17 giugno 1987.

Maurizio Zaccaro nel 1999 porta in scena una delle vergogne giudiziarie italiane: il calvario legale e psicologico subìto da Tortora, che compromise a tale punto la sua salute da provocarne la morte. Zaccaro, in collaborazione con la figlia del presentatore, Silvia Tortora, e con Umberto Contarello, rievoca la vicenda con una narrazione a puzzle, per sottolineare il caos dell’incredibile disavventura, affidandosi per interpretare il protagonista a Michele Placido il quale, pur di aspetto fisico molto differente da Tortora, raggiunge una notevole somiglianza.

2. La popolarità del personaggio sollevò per anni l’attenzione nazionale sul processo, dividendo l’Italia. Fra chi riteneva Tortora colpevole ci fu Camilla Cederna (da giornalista Tortora aveva difeso il commissario Calabresi in contrasto con non pochi intellettuali, fra i quali la stessa Cederna), mentre dalla sua parte si posero illustri firme come Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Indro Montanelli.

Mentre era agli arresti domiciliari, nel marzo del 1984, Tortora fu candidato nelle liste del Partito Radicale, i cui leader erano convinti della sua innocenza, e il 14 giugno fu eletto al Parlamento europeo, con oltre mezzo milione di preferenze. Scarcerato, nonostante l’elezione gli garantisse l’immunità parlamentare, fu lui stesso a chiedere l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, e Strasburgo la concesse, negando invece la richiesta di arresto avanzata dalla Procura di Napoli.

Come eurodeputato, egli visitò decine di carceri e fu tra gli organizzatori del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Riuscì a trasformare il suo processo in un evento politico, modificandone l’essenza prima ancora che gli esiti. La sua odissea giudiziaria divenne per tanti la bandiera da sventolare nella battaglia per una giustizia libera da condizionamenti e pressioni: l’archetipo dell’ingiustizia, un affaire Dreyfus in salsa tricolore. Temi come la presunzione di non colpevolezza, l’onere della prova, l’arresto preventivo, la separazione delle carriere, e soprattutto la responsabilità civile dei magistrati, furono al centro delle discussioni. A differenza di quanto accaduto un mese fa coi cinque quesiti referendari sulla giustizia, gli italiani approvarono a larghissima maggioranza il referendum sulla responsabilità civile. Purtroppo non è andata bene: se allora la giustizia era febbricitante, oggi è ammalata cronica e grave, l’opinione pubblica è incattivita, la politica distratta.

Enzo Tortora volle per le proprie ceneri un monumento funebre a forma di colonna, sormontata da un capitello corinzio, recante sotto il nome e le date, 1928- 1988, con una incisione  a grandi caratteri con la frase: “che non sia un’illusione”. Era quello che aveva detto, pochi giorni prima di morire, salutando l’amico Leonardo Sciascia, e augurandosi che il proprio sacrificio fosse servito al paese, e che la sua non fosse un’illusione.

Daniele Onori

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