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Il sistema giusnaturalistico elaborato da Wolff rappresenta il tentativo in epoca moderna di dedurre, attraverso la ragione, i diritti e le obbligazioni degli individui a partire da un principio generale. All’opera wolffiana si deve aver tratto dalle concezioni precedenti gli elementi necessari per fondare l’emergente ideologia codicistica. Più che negli autori che lo hanno preceduto è presente in Wolff l’idea che compito del filosofo del diritto sia quello di rintracciare nella natura le norme del diritto privato. L’opera wolffiana si presta dunque a essere osservata sotto una duplice prospettiva: da un lato quale elaborazione teorica delle idee giusnaturalistiche risalenti a Grozio; dall’altro – e forse proprio in conseguenza di ciò – quale presupposto dell’ideologia giuspositivistica che, con l’avvento dei codici, avrebbe caratterizzato di lì a poco la cultura giuridica europea.

1. Christian Wolff nacque a Breslavia, capitale della Slesia, il 24 gennaio del 1679. Nel 1706 fu nominato professore ad Halle. Fu certamente l’esponente più significativo dell’illuminismo tedesco, che deve gran parte della sua originalità, rispetto a quello inglese, francese ed italiano, alla forma logica in cui sono fatti valere i problemi e le relative soluzioni. Nel 1723, Wolff fu destituito dall’incarico per decreto del re di Prussia Federico Guglielmo I a seguito di un reclamo avanzato dai suoi colleghi di orientamento pietista. Senz’altro motivo, secondo l’Abbagnano, che la pubblicazione di un libro: Discorso sulla filosofia pratica dei Cinesi. In quest’opera Wolff aveva osato collocare Confucio tra i profeti, come grande saggio dell’umanità. Dopo l’insediamento sul trono di Federico II, Wolff venne però reintegrato nel 1740 e potè insegnare fino alla morte, nel 1754.

Secondo Wolff lo jus è solo quello soggettivo, mentre lo jus naturale degli antichi coincide con la legge naturale. Questa propensione a identificare il diritto tout court col diritto soggettivo non deve tuttavia far credere che Wolff non attribuisca alcuna importanza all’elemento oggettivo. La legge naturale, fondata sull’essenza e natura dell’uomo, è a sua volta il fondamento delle obbligazioni e dei diritti naturali, la regola secondo la quale siamo obbligati a determinare le nostre azioni. Le obbligazioni e i diritti naturali hanno per Wolff la loro fonte prossima nella legge naturale e la loro fonte remota nell’essenza e natura dell’uomo. Ciò deve portarci a riflettere con più attenzione sul ruolo riconosciuto da Wolff alla legge naturale oggettiva in un sistema giuridico essenzialmente individualistico e soggettivistico come il suo.

2. Il giusnaturalismo wolffiano appartiene indubbiamente all’insieme delle teorie moderne del diritto naturale, tradizionalmente considerate in contrapposizione a quelle antiche e medievali. Per i filosofi antichi e medievali – in particolare quelli fedeli alla tradizione aristotelico-tomista la legge naturale rappresentava l’ordine cosmico e sociale che l’uomo riconosceva come vincolante in virtù della sua coerenza con la ragione. La legge naturale – o diritto naturale – si fondava su una natura intesa «nel suo insieme, […] una natura “cosmica”», espressione di un «mondo esteriore organizzato naturalmente, dei gruppi sociali, delle comunità politiche, formatisi spontaneamente e tali da servire come modello» [1]. Significato differente assume il termine natura – e di conseguenza la legge naturale – nel giusnaturalismo moderno. La natura non è più intesa primariamente come un insieme di rapporti oggettivi, ma come una «definizione teorica di quello che sarebbe l’“uomo”, considerato individualmente».

Agli occhi del filosofo del diritto non rileva più la posizione dell’uomo all’interno di un ordine cosmico e sociale fatto di rapporti giuridici oggettivi, ma soltanto le sue qualità morali, la sua natura individuale. Il punto di partenza cessa di essere un’analisi giuridica della società e diventa un’antropologia. La stessa legge naturale non rappresenta più l’ordine cosmico partecipato dall’uomo per mezzo della sua ragione, ma viene ad esprimere le tendenze profonde della natura umana, volte ora a perseguire il fine della socialità (Grozio), ora della felicità (Thomasius), ora della perfezione (Wolff). Il rapporto fra legge naturale e diritti naturali soggettivi si configura così in modo molto diverso rispetto al giusnaturalismo classico. Lì la legge naturale esprimeva l’esistenza di un ordine in cui il diritto rappresentava ipsa res justa o id quod alteri debetur; qui invece la legge naturale esprime la tendenza dell’uomo a realizzare un fine conveniente alla sua natura, in ordine al quale gli competono obbligazioni e diritti naturali.

3. La legge naturale ha per Wolff «la sua ragione sufficiente nell’ […] essenza dell’uomo e delle cose»[2] e si distingue dalla legge positiva – divina ed umana –, che dipende invece «dalla volontà di un qualche essere razionale»[3], Dio nel primo caso, il legislatore umano nel secondo. La legge naturale non ha bisogno di essere promulgata poiché «la sua conoscenza può essere acquisita attraverso l’uso delle nostre facoltà conoscitive»[4], mentre le leggi positive, che «emanano da una volontà altrui che non si conosce se non viene manifestata»[5], devono essere promulgate e non possono obbligare prima di essere rese pubbliche. Essendo fondata sull’essenza dell’uomo, la legge naturale ne segue, per così dire, le «vicende ontologiche» ed è quindi anch’essa immutabile e necessaria [6].

La tendenza al perfezionamento di sé stesso e del proprio stato, inscritta nella natura dell’uomo, diviene nella legge naturale norma morale. Tutto ciò che concorre alla perfezione dell’uomo è prescritto come obbligatorio, tutto ciò che allontana dalla perfezione è vietato. Il fondamento «laico» della legge naturale, costituito dall’essenza e natura dell’uomo, non esclude tuttavia che per Wolff esista un fondamento remoto riconducibile a Dio. Egli afferma infatti che «autore della legge naturale è Dio stesso»[7], che ab origine ha posto in essere l’essenza dell’uomo: la legge naturale è quindi, in ultima istanza, «anche divina»[8]. Questa conclusione non deve far credere che Wolff abbracci teorie di tipo volontaristico – anche se è vero che sotto certi aspetti la sua concezione si avvicina molto a quella di Pufendorf –, né che risulti in qualche modo affievolito il carattere laico della sua etica.

Wolff distingue la legge naturale in precettiva, proibitiva e permissiva, a seconda che obblighi a compiere determinate azioni, a non compierle, o attribuisca un diritto ad agire. Dalla legge naturale precettiva deriva la sfera del dovuto, da quella proibitiva la sfera dell’illecito, e da quella permissiva la sfera del lecito. In base a questa distinzione, dalla legge naturale sorgono doveri – positivi o negativi – e diritti.

4. La stessa divisione, specifica Wolff, «si applica anche alle leggi positive»[9]. Wolff definisce dovere (officium) «l’azione che si determina conformemente alla legge, in quanto siamo obbligati a determinarla proprio in quel modo»[10] e distingue tre tipologie di doveri – doveri verso se stessi, doveri verso gli altri e doveri verso Dio – a seconda del diverso destinatario dell’azione. Questa distinzione, che Wolff riprende dalla tradizione scolastica, non stabilisce un discrimen fra doveri giuridici e doveri morali, essendo del tutto assente in Wolff una chiara distinzione fra diritto e morale. La dottrina del filosofo di Breslavia rappresenta piuttosto un’evidente presa di posizione contro Thomasius, il quale aveva nettamente distinto la sfera dello justum da quella dell’honestum, riconducendo alla prima i caratteri dell’intersoggettività e della coercibilità, e alla seconda quelli dell’interiorità e dell’incoercibilità.

Per il filosofo di Lipsia il comportamento giuridico (justum) si distingue da quello morale (honestum) anzitutto per il suo carattere intersoggettivo, che comporta il riferimento dell’azione ad almeno due persone. Nelle Institutiones jurisprudentiae divinae egli afferma che non possono esservi doveri di giustizia dell’uomo se non verso altri uomini: non verso Dio, né verso le bestie, né verso se stesso; il comportamento morale si riferisce invece ai doveri dell’uomo verso se stesso. Mentre l’azione giuridica genera un’obbligazione esterna o risponde ad essa, l’azione morale si riferisce ad un’obbligazione interna, di coscienza, che in quanto tale non è giuridica. In tal modo Thomasius giustificava anche il secondo carattere dello justum, cioè la coercibilità dell’obbligazione giuridica: essendo questa riferita a comportamenti esteriori, essi possono essere ottenuti anche attraverso la coazione; non così quelli interiori che per propria natura sono incoercibili.

5. Il pensiero giuridico e politico di Wolff va inquadrato all’interno dell’ampio movimento del giusnaturalismo laico sviluppatosi a partire da Grozio nel XVII secolo. La dottrina wolffiana del diritto naturale rappresenta una tappa significativa di questo movimento. In Wolff vengono portate alle estreme conseguenze le linee e le tendenze che avevano guidato lo sviluppo del pensiero giusnaturalistico moderno, riconducibili in ultima analisi alle categorie generali del razionalismo, dell’individualismo e della secolarizzazione. Si potrebbe dire infatti che il giusnaturalismo moderno è l’espressione, in chiave giuridica e politica, di queste tre categorie del pensiero filosofico: del razionalismo, in quanto esso pretende di conoscere integralmente il diritto naturale attraverso la ragione; dell’individualismo, in quanto fa dell’individuo non tanto una persona fra persone, ma il principio a partire dal quale si costruisce tutto il mondo storico e sociale; della secolarizzazione, in quanto separa il mondo giuridico, politico e morale da quello religioso. Nella dottrina wolffiana sono presenti tutte e tre queste istanze e ciascuna di esse gode di grande rilevanza.

All’opera wolffiana si deve aver tratto dalle concezioni precedenti gli elementi necessari per fondare l’emergente ideologia codicistica. Più che negli autori che lo hanno preceduto è presente in Wolff l’idea che compito del filosofo del diritto sia quello di rintracciare nella natura le norme del diritto privato. È per questo motivo che lo Jus naturae e le Institutiones assomigliano a due trattati di diritto privato, contenendo nel dettaglio le norme che regolano i rapporti intersoggettivi fra gli individui. La stessa concezione politica, che su questo sistema di diritto naturale si fonda, rappresenta un tentativo di giustificare razionalmente il modello dell’assolutismo illuminato che si era nei fatti imposto nella Prussia settecentesca.

L’opera wolffiana si presta dunque ad essere osservata sotto una duplice prospettiva: da un lato quale elaborazione teorica delle idee giusnaturalistiche risalenti a Grozio; dall’altro – e forse proprio in conseguenza di ciò – quale presupposto dell’ideologia giuspositivistica che, con l’avvento dei codici, avrebbe caratterizzato di lì a poco la cultura giuridica europea.

Daniele Onori


[1] Philosophia prima sive ontologia, Pars I, s. II, c. III, § 134.

[2] Philosophia prima sive ontologia, Pars I, s. II, c. III, § 174.

[3] Philosophia prima sive ontologia, Pars I, s. II, c. III, § 134.

[4] Philosophia prima sive ontologia, Pars I, s. II, c. III, § 135.

[5] «Gli elementi dell’ente che non si contraddicono a vicenda e che tuttavia non sono determinati l’uno dall’altro sono detti essentialia e costituiscono l’essenza dell’ente» (Philosophia prima sive ontologia, Pars I, s. II, c. III, § 143).

[6] Cfr. Institutiones, Pars III, s. II, c. III, § 1024.

[7] Cfr. Institutiones, Pars III, s. II, c. IV, §§ 1057-1063.

[8] Cfr. Institutiones, Pars III, s. II, c. IV, §§ 1066 e 1067.

[9] Cfr. Institutiones, Pars III, s. II, c. III, § 1021.

[10] Cfr. Institutiones, Pars III, s. II, c. III, § 1022.

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