fbpx

Perfino nella letteratura islandese del XIII secolo il diritto e la giustizia hanno un peso centrale: le persone accusate di un crimine venivano portate davanti all’assemblea e lì il caso veniva esposto alla presenza di una giuria la cui composizione era proporzionata all’importanza del caso. Conosciuti i fatti, la giuria emetteva il verdetto e il Lögsögumaður, l’uomo che conosceva a memoria tutte le leggi della comunità, diceva alla giuria che cosa prevedesse la legge nel caso specifico.

1. “Come tutti gli uomini, i popoli hanno il loro destino. Avere e perdere è la comune vicenda dei popoli. Essere sul punto di avere tutto e perdere tutto è il tragico destino tedesco. Più strano e più simile a un sogno è il destino scandinavo. Per la storia universale, le guerre e i libri scandinavi è come se non fossero esistiti; rimangono isolati e non lasciano traccia, come se si fossero verificati in sogno o in quelle sfere di cristallo che scrutano gli indovini. Nel secolo XII, gli islandesi scoprono il romanzo, l’arte di Cervantes e di Flaubert, e questa scoperta è segreta e sterile per il resto del mondo, così come la loro scoperta dell’America”.[1]

Questa riflessione di Borges, tanto celebre quanto assai citata, ha il merito di porre la questione del rapporto tra due generi letterari: uno moderno, il romanzo, almeno nel senso in cui lo intendiamo oggi, e uno medievale, la saga islandese. Se possiamo escludere tra i due generi un rapporto di filiazione, è però il caso di chiederci se davvero la cultura islandese dei secoli XII-XV abbia prodotto un tipo di narrazione con caratteristiche tali da essere assimilata al romanzo moderno.

Le più antiche Saghe dei re risalgono alla fine del XII secolo. Di poco successive sono le più antiche Saghe degli Islandesi, e conosciamo con certezza la data di composizione della prima Riddarasaga tradotta, la Tristrams saga ok ĺsöndar (Saga di Tristano e Isotta), la cui traduzione venne eseguita nel 1226 dal monaco Robert su incarico del re di Norvegia Hákon Hákonarson. È possibile che la prima Saga del tempo antico a essere messa per iscritto sia stata la Örvar Odds saga (Saga di Oddr ‘Punta di freccia’, o Saga di Oddr l’arciere), intorno al 1260, ma è anche vero che la prima parte della Storia dei re di Norvegia (Heimskringla) composta nella prima metà del XIII secolo dal più celebre scrittore dell’Islanda medievale, Snorri Sturluson, presenta i tratti stilistici di questo genere letterario. Per quanto, insomma, si possano datare a momenti differenti – ma non lontani tra di loro – i primi esempi dei diversi generi della saga, questi generi si sviluppano contemporaneamente, nell’ambito di un unico sistema letterario, nel corso del lungo Medioevo islandese, contaminandosi e influenzandosi a vicenda, conservando però caratteristiche proprie che quasi sempre ci consentono di collocare i diversi testi in uno dei gruppi che abbiamo elencato.

2. La Njáls saga è la più corposa delle saghe degli Islandesi ed è spesso considerata il capolavoro della letteratura scandinava del Medioevo. Le saghe d’Islanda narrano la storia di questo popolo dalla colonizzazione dell’isola fino a circa l’anno 1000 e molte – inclusa la Njáls saga – si aprono col racconto delle origini delle famiglie in Norvegia, la terra che i coloni si erano lasciati alle spalle. La saga è nota anche con il titolo di Brennu-Njáls saga ‘Saga di Njáll del rogo’: l’epiteto che si riferisce all’episodio topico  in cui l’attempato e saggio Njáll muore nell’incendio appiccato alla sua casa dai nemici. Il periodo in cui si svolgono le vicende narrate nella saga va dal 960 al 1020, un arco di tempo piuttosto breve, durante il quale però numerosi personaggi vengono introdotti dall’autore. Il motore della storia  è  la  rivalità  tra  famiglie  e  la  vendetta  che dura per decenni.

Come le altre saghe degli Islandesi, la Njáls saga è un’opera anonima, ma dal momento che attinge ad altre opere, è possibile ricondurre l’epoca di composizione al periodo compreso tra il 1270 e il 1290. Oltre alle fonti scritte, l’autore ha fatto chiaramente uso anche della tradizione orale. Alcune delle figure principali, quali Njáll Þorgeirsson e suo fratello Gunnarr Hámundarson, sono personaggi storici, ma quanta  parte  della  narrazione  nella  saga  corrisponda  al  vero è un punto ancora dibattuto.

La storia, pur toccando diverse parti d’Islanda, la Norvegia, la Scozia e anche Roma, si svolge principalmente nel sud dell’Islanda, intorno all’anno 1000, anno in cui, nel Paese, sarebbe avvenuta la conversione al Cristianesimo, in particolare nei territori detti Fljótshlíð e di Landeyjar, alle pendici del famoso vulcano Eyjafjallajökull. È un territorio che viene spesso balzato a piè pari, per la fretta di raggiungere le famose cascate più a est. Bergþórshvoll, la residenza di Njáll, il personaggio che dà il nome alla saga, è stata oggetto di uno scavo archeologico che ha evidenziato come effettivamente ci sia stato un incendio sul luogo, nel periodo corrispondente a quello indicato nella storia (l’anno 1011).

3. La trama – sintetizzando al massimo – parte dai matrimoni falliti di una donna bellissima, Hallgerður, i cui mariti finiscono tutti per morire (male!) come previsto da profezie. L’ultimo di questi mariti è Gunnar di Hlíðarendi, una sorta di Ercole, bellissimo e nobile, il cui amico del cuore è Njáll, da cui la saga prende il nome; fiumi di inchiostro sono stati versati per discutere la presenza o meno di una sottotrama omosessuale tra i due, visto che Njáll è descritto come sbarbato ed effemminato, e viene anche canzonato per questo.

Questo Njáll è un esperto di leggi, e userà la sua abilità per risolvere le numerose situazioni mortali in cui le azioni di Hallgerður cacciano regolarmente il marito di lei, l’amico Gunnar. La situazione però degenera e il massimo che Njáll riesce a fare è ottenere l’esilio per Gunnar, il quale parte a cavallo per raggiungere il mare, ma sulla strada cade dal suo destriero e si volta a guardare i monti della sua terra. La bellezza lo folgora e, in una delle scene più famosi e toccanti della letteratura medievale, decide di non partire per non abbandonare la sua bella terra. Viene raggiunto dai suoi nemici, che lo attaccano accerchiandogli la casa. Lui si difende con un arco la cui corda si spezza, allora chiede alla moglie una ciocca di capelli per incoccarlo e questa si rifiuta, ricordando uno schiaffo che le aveva dato tempo prima, quando aveva mandato un servo a rubare burro dai vicini. Così lui muore sopraffatto e ucciso dai suoi detrattori.

In seguito la catena di faide si sposta sulla famiglia di Njáll, e i suoi figli hanno diversi scontri con altri potenti locali (un’episodio molto cinematografico vede un figlio di Njáll, Skarphéðinn, pattinare su un fiume ghiacciato per poi raggiungere il nemico Þráinn e mozzargli il capo al volo). Njáll aveva un figlio adottivo favorito, Höskuldur, che viene ucciso dai figli di Njáll, istigati da nemici gelosi. Questo porta ad una faida. La vendetta si consuma quando i nemici dei figli di Njáll, condannati da Flosi, zio della moglie del defunto Höskuldur, decidono di dare fuoco alla sua casa con tutta la famiglia dentro, dando però a lui e alle donne la facoltà di uscire e salvarsi.

Questa è la scena più drammatica della saga, e Njáll rifiuta l’offerta sostenendo di essere troppo vecchio per restare in vita e avere l’obbligo di vendicare i suoi figli, ma fa coraggio alle altre persone in casa dicendo loro che Dio non li lascerà bruciare in questo mondo né nel prossimo. Il suo corpo, quello della moglie e quello del nipotino vengono trovati intatti sotto un tappeto tra i resti della casa. Il suo genero Kári era riuscito però a scappare vestito da donna col favore del fumo, e cercherà inizialmente vendetta, inseguendo i responsabili dell’incendio fino nelle Orcadi e in Galles. In seguito, però, compie un pellegrinaggio a Roma e, al suo ritorno, testa la nobiltà di Flosi chiedendogli aiuto dopo essere naufragato presso la sua casa. A testimonianza del mutamento di morale avvenuto nel frattempo con la conversione al Cristianesimo, Flosi si riconcilia con Kári che sposa la figlia di Höskuldur.

4. La Njáls saga descrive numerose faide i cui assassini vengono giudicati in varie assemblee nel corso di molti anni. Il libro contiene dettagli procedurali ed usanze del Thing[2] di Althing[3]. L’intervento del Thing veniva richiesto in casi gravi, cioè in caso di omicidio o furto. Le persone accusate di un crimine venivano portate davanti all’assemblea e lì il caso veniva esposto alla presenza di una giuria di dodici uomini, o due volte dodici o anche tre volte dodici a seconda dell’importanza del caso. Esposti i fatti, questi erano giudicati dalla giuria che emetteva un verdetto a seconda di quella che loro ritenevano essere la verità dei fatti accaduti. Il Lögsögumaður, l’uomo che conosceva a memoria tutte le leggi della comunità, diceva alla giuria cosa prevedesse la legge nel caso specifico, informando i dodici delle consuetudini tradizionali a seconda del reato commesso dall’accusato ed enunciava la sentenza con la relativa pena.

Il livello massimo della pena era ovviamente l’uccisione dell’accusato per reati molto gravi, ma era altrettanto grave la messa al bando. Essere banditi e dichiarati fuori legge non solo costituiva di per sé la morte sociale della persona, con la perdita dei propri diritti in quanto uomo libero e di tutte le sue proprietà, ma era assai prossimo a una condanna a morte anche materialmente. Infatti i fuori legge potevano essere uccisi: ci sono racconti di cacce e uccisioni che seguivano tali sentenze, per cui molti uomini fuggivano prima della condanna da parte della giuria in modo da mettere molta distanza tra se stessi e i propri nemici. Condannati in contumacia, se fossero tornati, sarebbero sicuramente stati uccisi.

Come il Thing era centro di accordi politici e diviso in fazioni a sostegno delle famiglie più influenti, anche i processi potevano essere influenzati dalle parti avvalendosi delle proprie amicizie e dei propri sostenitori, oltre che presentando testimoni a proprio favore e a sfavore della parte avversa. 

5. Le saghe continuano a essere tradotte e a essere lette. Dalle saghe si ricavano film, fumetti, poesie, nuovi romanzi che le riformulano secondo le regole del moderno romanzo storico o del fantasy. Questa vitalità, che negli ultimi anni ha attratto l’attenzione di diversi studiosi in tutto il mondo, è un fenomeno ancora da analizzare e da interpretare, ma la caratteristica di essere testi in prosa che aprono al lettore l’accesso a mondi esotici e fantastici, senza perdere la qualità di essere testi originali, appartenenti a un passato lontano e affascinante, ha certo contribuito a fare delle saghe uno dei generi letterari medievali che con meno difficoltà continuano a parlare al pubblico del presente anche in termini di diritto.

Daniele Onori


[1] Jorge Luis Borges, Literaturas germanicas medievales, Buenos Aires 1978; trad. it. Roma-Napoli 1984

[2] Thing è una parola norrena che significa “assemblea”. Tale assemblea riuniva degli uomini liberi, costituendo, in senso legislativo, la corte. Aveva poteri giuridici e legislativi, ma era priva del potere di stabilire una sentenza.  Il Thing aveva potere in ambito politico, poteva prendere decisioni che coinvolgevano l’intera comunità e aveva il potere di promulgare nuove leggi. Le riunioni generalmente duravano diversi giorni e spesso avvenivano in un’atmosfera di festa. I mercanti potevano portare con sè beni da commerciare e gli uomini facevano affari tra loro, sia di natura commerciale, sia prendendo accordi matrimoniali o politici. Era un’occasione per scambiarsi informazioni, ascoltare racconti di mercanti e viaggiatori, rinsaldare amicizie e stabilirne di nuove. Il Thing si riuniva ad intervalli regolari, legiferava, eleggeva i capi ed i re, e giudicava secondo la legge, memorizzata e recitata dal Lögsögumaður. I negoziati del Thing erano presieduti dal Lögsögumaður e dal capo o dal re. In realtà il thing era dominato dai membri più influenti della comunità, i capi-clan e le famiglie potenti, ma in teoria la regola era “una testa, un voto”. Un famoso incidente si ebbe quando Þorgnýr il Lögsögumaður disse al re svedese Olof III che erano le persone ad avere il potere in Svezia, e non il re. Il re capì di non avere potere contro il thing e cedette. I più famosi thing in Svezia erano il Thing di tutti gli Svedesi, il Thing di tutti i Geati ed il Thing di Liong

[3] L’Islanda, d’altro canto, non aveva un re, quindi le assemblee erano condotte in maniera autonoma, e una volta all’anno si riuniva l’assemblea più importante di tutte, l’Althing, che comprendeva tutti gli uomini dell’isola, dove i capi tribù delle famiglie più rappresentative discutevano le leggi oppure fungeva da tribunale per le controversie più importanti.

Share