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Sabato scorso, 7 maggio, nella chiesa romana di Sant’Eugenio una S. Messa ha celebrato il trigesimo della morte di un grande amico del Centro studi Rosario Livatino: Attilio Tamburrini. La sua bella figura viene descritta da Daniele Onori.

1. È da diversi giorni che provo a scrivere queste righe su e per Attilio, che apro il file, inizio, poi cancello e mi fermo. Ma stamani, riflettendo su ciò che mi faceva muovere così in punta di piedi, quasi con un senso del “pudore”, ho pensato che era proprio da lì che potevo partire: da quel “pudore” che era anche di Attilio, nel suo muoversi sempre a fari spenti, fuori dai riflettori, delicato; da quel “pudore” di quando si ha di fronte una persona di grandissimo valore sia intellettuale che umano, ossia un “maestro”. Perché’ Attilio è stato per me – come per moltissimi e moltissime che hanno condiviso con lui, in varie vesti, pezzi di strada – un “maestro”.

La conoscenza diretta e personale con Attilio Tamburrini avvenne nel 2013: ero alla ricerca di qualcuno che potesse dare risposte ai miei interrogativi, perché ritenevo forse di avere capito quali erano le grandi domande ma sino a quel momento avevo dato solo piccole risposte. Attilio, conoscendo la mia formazione di giurista mi incoraggiò all’analisi della esperienza comune, evidenziando l’esigenza di conferire al diritto senso e umana vivibilità. 

2. Proprio per questo mi indirizzò al Centro Studi Livatino, al fine farmi condividere con altri giuristi l’impegno quotidiano nell’affermazione del diritto alla vita, della famiglia e della libertà religiosa rispondendo alla chiamata di ricondurre le scelte giuridiche più difficili, soprattutto quelle che concernono il diritto alla vita, oggi minacciato, al tema cruciale del rispetto dei valori della giustizia. 

Il rapporto con Attilio aveva la qualità di riservare gradite sorprese. Per le stesse caratteristiche su cui era fondato, e per la sintonia nei valori che erano sullo sfondo, la comunicazione con lui era divertente. Se leggeva qualcosa di singolare, di valido, di prezioso — come spesso gli capitava, da ricercatore colto, raffinato, curiosamente proteso a scoprire il singolare e il diverso in mezzo ad innumerevoli sollecitazioni — subito lo elaborava per raccontarlo a chi gli stava vicino; e certo ho goduto in misura notevole di questo privilegio. Quante volte mi ha indicato libri, saggi, punti, aspetti che avevano richiamato la sua attenzione, o lo avevano sollecitato a sviluppare considerazioni o a rettificare giudizi. In questo interscambio era Lui essenzialmente a dare, diciamo con un rapporto di 10 a 1 (ogni dieci indicazioni sue, forse una mia). Anche per questo sento di avere una illimitata gratitudine per Lui.

3. Attilio fece tutto questo senza fronzoli e orpelli retorici, la sua mi apparve subito un’opera di misericordia che andò a colmare la mia mancanza di verità e la mia mancanza di conoscenza, una povertà più profonda della povertà puramente materiale. Il suo metodo d’insegnamento, come dev’essere per un vero cristiano, era quello di farmi restare sempre molto aderente alla realtà: il Cristianesimo, per lui, non era mera divagazione astratta ma la realizzazione compiuta della propria essenza umana non aggrappata al mero ambito teoretico, bensì vissuta nella possibilità di operare su tutto il cosmo come figura in moto a imitazione di Dio.

Aveva una cultura generale enorme che non finiva di stupirmi, con suo compiaciuto divertimento. Dotato di una bonomia e di una arguzia tutte ciociare, soleva spesso parlare nel suo amato dialetto, ma si esprimeva con la stessa facilità in uno spagnolo perfetto e direi quasi sofisticato.

4. Arriviamo all’ultimo anno. Ci vedemmo e mi espose la situazione e le probabilità di sviluppo ed esito. Con la cooperazione di tutti, ci fu un fervore esorcizzante: speranzosi e forse solo disinvolti, volevamo che tutto fosse quasi normale, come se così la situazione potesse migliorare e restare nel nostro controllo. Un altro paio di mesi, di progressivo decadimento e di decrescente speranza; e poi la fine.

Attilio ha vissuto come Guglielmo il Maresciallo protagonista  del libro di  Georges Duby che egli  amava molto… e cioè: secondo quelle antiche regole del cavalierato che gli imponevano fedeltà assoluta al proprio Signore, sia come uomo d’arme che come vassallo; lealtà, lungimiranza, amore, generosità, rispetto dell’avversario, disprezzo della ricchezza personale, fede in Dio e coraggio in battaglia hanno fermamente caratterizzato la sua esistenza, mentre attraversava tutte le tappe dogmatiche poste lungo il percorso del  “buon cavaliere”.

5. È sempre più chiaro in me quanto preziosa sia l’eredità di Attilio Tamburrini, quanto esemplare e impegnativa sia la sua lezione su ciò che deve contare per noi. Con la sua intensa ed esemplare presenza, ha impastato l’idea che mi sono fatto dei compiti dell’intellettuale e delle responsabilità che vengono dall’appartenenza ad una comunità cristiana. Essa può crescere solo se vi è libertà, se l’accumulazione di sapere viene realizzata da uomini che seguono la logica autonoma del ricercare senza il condizionamento di nessuno, ma rendendone conto solo a Dio. Chi è uno studioso cattolico, impegnato nella trasmissione della conoscenza, è per ciò stesso responsabile anche della conservazione della dottrina sociale della Chiesa; egli ha quindi pure un dovere di resistenza, non deve rassegnarsi al dissolvimento di quei valori.

Attilio ebbe in proposito un viso aperto, che non smentì mai. Avanzando l’età, sempre seppe ben giudicare. Poiché la questione è se c’è valore cristiano o no, senza filisteismi e sudditanze, su ciò rimase sempre giovane e mai tentennò. Il suo magistero aveva uno stile inconfondibile, fatto di apertura a comprendere, attenzione critica e rigore di valutazione. Davanti a questa ricca pedagogia viene un mente un ossimoro che prendo in prestito da un’espressione della cultura giuridica tedesca: “il diritto …di sentirsi in dovere” da parte di tutti noi di valorizzare questo patrimonio umano e culturale.

Daniele Onori

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