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Le Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali, presso l’Aula della Commissione Affari sociali, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge in materia di rifiuto di trattamenti sanitari e di liceità dell’eutanasia, hanno svolto le seguenti audizioni:
ore 15.15   Eugenio Lecaldano, professore emerito di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, e Giovanna Razzano, professoressa di diritto pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma;
ore 15.50  Massimo Gandolfini, primario di neurochirurgia e psichiatra presso l’Ospedale di Brescia e presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli – family day”, Massimiliano Carassiti, professore di anestesiologia presso l’Università Campus Biomedico di Roma, e Tonino Cantelmi, medico chirurgo specialista in psichiatria e psicoterapeuta;
ore 16.45   Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FnomCeO).

Riportiamo in calce in particolare il testo dell’intervento della professoressa Razzano.


Osservazioni sulla proposta di legge A.C. n. 2 di iniziativa popolare, recante “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”, sulla proposta di legge n. 1586, di iniziativa dell’on. Cecconi, recante “Modifiche alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di trattamenti sanitari e di eutanasia” e sulla proposta n. 1655, di iniziativa dell’on. Rostan e altri, recante “Introduzione degli articoli 4-bis e 4-ter della legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di trattamenti di eutanasia”.

Testo dell’audizione presso le Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera dei Deputati – 30 maggio 2019

Giovanna Razzano
Professore Associato di Istituzioni di Diritto Pubblico dell’Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Giurisprudenza
giovanna.razzano@uniroma1.it

Illustri Presidenti e Onorevoli Deputati,
ringrazio per l’invito e per la possibilità di contribuire ad una riflessione sulle proposte di legge volte ad introdurre l’eutanasia nel nostro ordinamento, due delle quali – le n. 1586 e n. 1655 – presentate sulla base di una sollecitazione in tal senso dell’ordinanza n. 207 del 2018 della Corte costituzionale. Quest’ultima ha infatti chiesto al Parlamento «una disciplina delle condizioni di attuazione della decisione di taluni pazienti di liberarsi delle proprie sofferenze non solo attraverso una sedazione profonda continua e correlativo rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale, ma anche attraverso la somministrazione di un farmaco atto a provocare rapidamente la morte», la quale «potrebbe essere introdotta, anziché mediante una mera modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 cod. pen., in questa sede censurata, inserendo la disciplina stessa nel contesto della legge n. 219 del 2017 e del suo spirito, in modo da inscrivere anche questa opzione nel quadro della “relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico”, opportunamente valorizzata dall’art. 1 della legge medesima». Con riguardo a tale ordinanza riguardo valgono due principali considerazioni.

1. L’ordinanza 207 della Corte costituzionale non vincola il Parlamento.

La prima concerne l’anomalia di questa pronuncia, senza precedenti1 e senza alcuna base nelle norme costituzionali e primarie che regolano il processo costituzionale2, come conferma il fatto stesso che la Corte abbia dichiarato di far leva «sui propri poteri di gestione del processo costituzionale». La pronuncia ha elaborato una sorta di legge di delega alle Camere3, con tanto di principi e criteri direttivi, di oggetto e di tempo4 e ha poi fissato una nuova udienza per il 24 settembre prossimo, per «valutare l’eventuale sopravvenienza di una legge che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela»5. Il tutto non senza evidenti contraddizioni con riguardo alla norma rispetto alla quale era stata sollevata la questione di costituzionalità, ossia l’art. 580 c.p., il quale è stato qualificato, da un lato, «funzionale alla protezione di interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento», per cui «l’incriminazione dell’aiuto al suicidio non può essere ritenuta incompatibile con la Costituzione» (e infatti la Corte non ne ha dichiarato l’incostituzionalità); e, dall’altro, come una disposizione che non può continuare a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili». Nell’ordinanza si assiste quindi al passaggio – difficilmente plausibile sul piano logico, oltre che su quello processuale, laddove il thema decidendum è stato oltrepassato6 – dalla meritevolezza della norma incriminatrice dell’aiuto al suicidio, alla meritevolezza di ciò che gli si oppone: il diritto ad ottenere dalle strutture del sistema sanitario nazionale, in presenza di alcune condizioni, il suicidio assistito, il cui participio passato implica, appunto, l’aiuto altrui.

Da una tale pronuncia non discende, sul piano strettamente giuridico-costituzionale, alcun dovere del Parlamento di provvedere nel senso indicato7. D’altro canto quello del c.d. fine vita è un ambito in cui, come riconosciuto dalla Corte di Strasburgo e anche dalla sent. Nicklinson della Suprema Corte inglese (che l’ordinanza ha richiamato incongruamente, sotto vari profili), tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa godono di un ampio margine di apprezzamento nel decidere se e come legiferare8, tanto più laddove si tratti di valutare la possibilità – problematica in riferimento all’art. 2 CEDU e al dovere di proteggere le persone vulnerabili9 – di introdurre la legalizzazione del suicidio assistito. Sarebbe dunque evidentemente contrario ai cardini stessi della forma di governo parlamentare che l’organo deputato a custodire la Costituzione limitasse in qualche modo il Parlamento, vincolandolo ad una scelta che è politica e tutt’altro che costituzionalmente necessaria10. Si tratta anzi di una scelta minoritaria, ove si consideri che, nel panorama dei quarantasette Stati aderenti alla CEDU, solo quelli del Benelux hanno legalizzato eutanasia e suicidio medicalmente assistito. Ѐ indicativo, infine, che, l’art. 28 della l. 87 del 1953 affermi che «il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento».

2. Sull’improprietà dell’inserimento di nuove norme legalizzanti l’eutanasia nella l. 219/2017, che tutela la vita e non «la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire», come chiarito dalla stessa ordinanza 207 della Corte costituzionale.

Quanto all’indicazione concernente l’inserimento dell’eventuale disciplina nel contesto della legge n. 219 del 2017, occorre considerare, in secondo luogo, un’altra contraddizione insita nell’ordinanza 207. Quest’ultima ha ribadito non solo che il diritto alla vita, è il «primo dei diritti inviolabili dell’uomo» e il presupposto per l’esercizio di tutti gli altri, secondo il riconoscimento implicito dell’art. 2 Cost. ed esplicito dell’art. 2 CEDU, ma ha aggiunto che non può essere inteso come il diritto diametralmente opposto di rinunciare a vivere11.

Ora, la legge n. 219/2017, all’art. 1, comma 1, dopo aver richiamato gli articoli 2, 13 e 32 Cost., dichiara di tutelare, fra l’altro, «la vita». Se si inserisse dunque (come invece fanno i progetti di legge n.1586 e n. 1655) la disciplina volta a legalizzare l’eutanasia nel contesto della legge 219 «e del suo spirito», si giungerebbe a contraddire l’interpretazione che dell’art. 2 Cost. ha dato la stessa ordinanza della Corte costituzionale, che, come si è appena visto, ha escluso espressamente dal novero dei possibili significati dell’art. 2 Cost. «il diritto a riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire»12. Quanto allo «spirito della legge», va ricordato che le Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, rappresentano la sintesi equilibrata, a detta delle relatrici13, fra quei progetti di legge volti a legalizzare, da un lato, l’eutanasia e il suicidio assistito e quelli che, dall’altro, sostanzialmente riproponevano il d.d.l. Calabrò14. Appare quindi contraddittorio (sul piano politico), a poco più di un anno dall’entrata in vigore della legge 219, ritenere idonee ad essere incluse nello «spirito» di tale legge norme volte ad introdurre l’eutanasia.

3. Sulla differenza fra il rifiuto dei trattamenti e l’eutanasia, considerata dalla Federazione nazionale dei medici contraria al Codice di deontologia.

Neppure è possibile concordare con l’affermazione dell’ordinanza n. 207, secondo cui lo spirito di questa legge sarebbe quello di consentire ai malati di «porre fine alla propria esistenza»15. L’espressione è fuorviante e non tiene conto della importante distinzione fra il rifiuto dei trattamenti e l’intenzione di uccidersi e di uccidere (che invece il suicidio e l’aiuto al suicidio implicano). Il fatto che un paziente, ad esempio, rifiuti la tracheotomia o il ventilatore meccanico invasivo (ossia un trattamento invasivo che può divenire gravoso, talvolta, per alcuni pazienti) non comporta necessariamente che con tale scelta il paziente esprima l’intenzione di volersi suicidare e che il medico che lo aiuti stia commettendo, di conseguenza, un aiuto al suicidio. La distinzione non si coglie guardando all’effetto delle azioni, ossia alla morte, perché in entrambe le situazioni essa sopraggiunge; neppure è dirimente la prevalenza della componente attiva o omissiva nel comportamento medico. Ciò che è dirimente, ciò che davvero permette di distinguere il rifiuto dei trattamenti dall’eutanasia è l’intenzione di uccidersi e di uccidere, non necessariamente presente nel primo caso e certamente presente nel secondo16.

Del resto la distinzione fra l’una e l’altra fattispecie è riconosciuta unanimemente in ambito medico-clinico, posto che tutte le società mediche scientifiche italiane e internazionali concordano nel ritenere parte dell’attività medica l’assistenza ai pazienti che rifiutano le cure o l’interruzione di cure gravose o clinicamente sproporzionate, mentre escludono che l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistito possano considerarsi atti terapeutici, trattandosi, piuttosto, di atti contrari all’etica17. Non corrisponde quindi alla realtà, né è ragionevole sul piano giuridico, far rientrare nell’unico calderone della volontà di «porre fine alla propria esistenza» sia il rifiuto dei trattamenti, sia l’intenzione di uccidersi e di essere uccisi18. Si tratta di un’indebita confusione fra fattispecie assai diverse, l’una un diritto, l’altra, un reato (per chi uccide, sia pure con il consenso). Osservo, tuttavia, che nella proposta Cecconi si incorre nella medesima confusione, in quanto, sotto la rubrica Rifiuto espresso di trattamenti sanitari e inapplicabilità di disposizioni del codice penale, vengono inserite disposizioni che si riferiscono al “trattamento eutanasico”. Altrettanto impropria è la divisione, su cui dimostra di basarsi lo stesso Dossier del Servizio Studi della Camera Eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari (29 gennaio 2019), fra eutanasia attiva ed eutanasia passiva, in quanto non è possibile confondere l’assistenza medica prestata al paziente a fronte di un autentico rifiuto di trattamenti medici19 con l’eutanasia, per quanto passiva, in quanto in tal caso non si è in presenza di un’«uccisione intenzionale, per azione o per omissione, di un essere umano dipendente per suo presunto beneficio»20. Del resto già quindici anni fa autorevole dottrina penalistica qualificava l’eutanasia passiva come «una espressione impropria e fuorviante, da abbandonare»21. In conclusione l’eutanasia può dirsi estranea al fascio dei diritti ricavabili dall’art. 32 Cost., così come agli articoli 2 e 13 Cost. (che sancisce la libertà personale a partire dall’integrità fisica): un’eventualità che stravolge l’attuale quadro normativo e minaccia l’identità morale e professionale del personale sanitario22.

Né sembra irrilevante che una recente comunicazione della Federazione italiana dei medici abbia ribadito con fermezza che il Codice di deontologia medica «vieta ogni adempimento medico che procuri la morte del paziente». Al contempo, dinanzi all’ipotesi prospettata dall’ordinanza 207, e quindi dinanzi ad un soggetto tenuto in vita da mezzi di sostegno vitale, con malattia irreversibile, capace di prendere decisioni e con sofferenze psichiche e fisiche insopportabili, il documento, mentre ribadisce il divieto di uccidere, sostiene il dovere, da parte di un team anche interdisciplinare di professionisti, di prendere in carico la persona che intenda rifiutare le cure e quindi «pone il ricorso alla sedazione profonda medicalmente indotta come attività consentita al medico in coerenza e nel rispetto dei precetti deontologici». Il documento esprime poi l’urgenza di attuare per tutto il territorio nazionale le grandi potenzialità della legge n. 38 del 2010, che sancisce il diritto alle cure palliative e la terapia del dolore23.

4. Sulla relazione fra le cure palliative e l’eutanasia: il pre-requisito della scelta di suicidarsi e l’inattuazione della legge 38 del 2010.

A quest’ultimo riguardo, la stessa ordinanza 207 ha affermato che «il coinvolgimento in un percorso di cure palliative dovrebbe costituire un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente»24. Al riguardo, come è emerso nel corso dell’audizione del Presidente della SICP sui medesimi progetti di legge dinanzi alle medesime Commissioni riunite, le Società Scientifiche di Cure Palliative si sono sempre pronunciate contro l’eutanasia, anche perché, per definizione, le CP sono contrarie sia all’abbreviazione che all’allungamento della fase terminale della vita, come del resto fissato dal loro statuto, riconosciuto dall’OMS25. Hanno inoltre sempre ribadito la differenza fra la sedazione palliativa profonda continua nell’imminenza della morte e l’eutanasia, come ha chiarito anche il CNB, con il parere del febbraio 2016, che ha precisato le condizioni che legittimano, sul piano etico-clinico, il ricorso a tale trattamento26. L’estraneità dell’eutanasia e del suicidio assistito alle cure palliative è del resto un punto importante, rispetto al quale non sono possibili ambiguità, pena la contraddizione con lo statuto originario delle stesse, che, a differenza dell’eutanasia, sancisce un diritto umano fondamentale, sancito in ambito internazionale. Da tale estraneità deriva fra l’altro la perdurante fiducia dei pazienti e delle loro famiglie nei confronti dell’approccio rappresentato dalla medicina palliativa.

Il punto è che la condizione a cui si riferisce la Corte costituzionale, ossia l’effettività del diritto alle cure palliative quale pre-requisito che escluda che «la richiesta di assistenza a morire sia dettata da cause evitabili, come quelle legate ad una sofferenza alleviabile»27, è ben lungi dall’essere soddisfatta. Lo comprova, da ultimo, la relazione presentata il 31 gennaio scorso dal Governo al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 38 per il triennio 2015/2017, che fotografa, ancora una volta, una situazione differenziata, in cui in ampie zone del Paese il diritto di fatto non è garantito. Lo comprova, inoltre, l’importante documento conclusivo dell’indagine conoscitiva svolta proprio dalla Commissione Affari Sociali dinanzi alla quale siamo e alla quale desidero esprimere l’apprezzamento per il notevole lavoro svolto; documento approvato all’unanimità il 10 aprile scorso e concernente, in particolare, le cure palliative pediatriche. Da questa indagine è emerso, fra l’altro, che solo il 10% dei circa 35.000 bambini italiani bisognosi di CP riescano a trovare una risposta adeguata ai loro bisogni28.

Anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa è nuovamente intervenuta sul punto, approvando nel novembre scorso la risoluzione 2249/2018, The provision of palliative care in Europe. Il documento si basa su due principali considerazioni: la prima è piuttosto amara, in quanto osserva che, a quindici anni dalla raccomandazione del Committee of Ministers29, centinaia di migliaia di persone in Europa non abbiano ancora accesso a servizi adeguati di cure palliative e restino nella sofferenza per lungo tempo, quando questa potrebbe essere adeguatamente trattata; la seconda attiene invece al tema della razionalizzazione della spesa del sistema sanitario, al quale spesso si ricorre in modo improprio e in emergenza, aggravandone i costi, proprio perché non sono stati tempestivamente identificati i bisogni di cure palliative ad ogni livello di assistenza medica. Viene soprattutto riconosciuto il ruolo silenzioso ma essenziale che viene svolto da milioni di informal caregivers che si occupano dei malati per ragioni affettive; figure che in futuro sono destinate a crescere, e che meritano dalle istituzioni ogni tipo di supporto. Figure, aggiungo, che in prevalenza sono di fatto femminili e che anche per questo (in ragione cioè delle storiche disparità di trattamento nei confronti delle donne) meritano dai Parlamenti, a maggior ragione, riconoscimento e non un messaggio, per quanto indiretto, di inutilità del loro impegno, stante il suggerimento di soluzioni come la «morte rapida»30 per i loro cari.

In conclusione, a prescindere da più radicali problemi di compatibilità costituzionale, in questo quadro di perdurante inattuazione del diritto alle cure palliative e alla terapia del dolore, appare inopportuna e intempestiva la scelta di legalizzare l’eutanasia, posto che non sussistono neppure le condizioni indicate nell’ordinanza della Corte perché l’eventuale scelta del suicidio assistito possa essere veramente tale e non frutto della disperazione. Occorre piuttosto domandarsi, come d’altronde ci si domanda anche altrove: è giusto affrontare le dolorose questioni di fine vita e la relativa sofferenza morale ponendo termine alla vita dei pazienti, quando le cure palliative di qualità ancora non sono pienamente garantite a tutti i pazienti che ne avrebbero bisogno31?

5. Sull’eventuale compresenza, nel sistema sanitario nazionale, di cure palliative ed eutanasia.

Resta un altro interrogativo: è immaginabile, comunque, un sistema sanitario in cui convivano, l’una accanto all’altra, l’assistenza palliativa e l’assistenza al suicidio? Ѐ coerente e sostenibile un sistema giuridico, sociale e sanitario in cui, da una parte, si proclami di prendere in carico il malato, la sua famiglia e ogni aspetto della loro sofferenza e, dall’altro, si offra altresì il servizio del suicidio medicalmente assistito, per alcuni casi? Una tale ipotesi non sarebbe distante dall’immagine di una struttura penitenziaria avanzata sul piano della rieducazione del condannato e del suo reinserimento sociale che al contempo permetta, magari in un altro reparto, l’eutanasia dei detenuti, quale opzione alternativa. Un’eventualità (non lontana peraltro dalla situazione venutasi a determinare in Belgio, grazie ad una legge non dissimile dalle proposte che si stanno considerando32) che spinge a domandarsi quanto sarebbero credibili, in tal caso, gli obiettivi dell’educazione per il reinserimento e della prevenzione dei suicidi nelle carceri.

Come è stato scritto, fra le conseguenze probabili di una eventuale legalizzazione dell’eutanasia, è da tenere in conto l’indebolimento «dell’impegno a favore di una adeguata assistenza sanitaria ai morenti, cioè tutte le cure palliative praticabili, nonché diagnosi e terapie psicologiche e psichiatriche. Ed invero è difficile ipotizzare una politica sociale che preveda costi economici onerosi in una duplice direzione: l’attuazione di una legge che consente l’eutanasia o il suicidio assistito con rigorose garanzie procedurali fondate su complessi accertamenti (…); un consolidamento – rectius: un auspicabile e necessario rafforzamento – delle strutture destinate alla cura delle fasi terminali della vita»33.

L’insostenibilità di un sistema schizofrenico, che vorrebbe conciliare la filosofia delle cure palliative con la filosofia della morte rapida, trova conferma nell’esperienza dei Paesi che hanno legalizzato da anni eutanasia e suicidio assistito, come il Belgio e Olanda, e che al contempo hanno leggi sulle cure palliative. Infatti i dati mostrano che, laddove è introdotta l’eutanasia, non solo è disincentivato l’impegno per le cure palliative di qualità accessibili a tutti, ma queste ultime finiscono per essere snaturate nella loro consistenza originaria, quella individuata e praticata da Cecily Saunders, pioniera delle cure palliative34. La Cellule Fédérale d’Evaluation des Soins Palliatifs ha pubblicato, nel giugno 2018, il suo rapporto rispetto al periodo 2014-2017, dal quale emerge che l’eutanasia è parte integrante delle cure palliative, nel senso che viene fornita nel “quadro di un accompagnamento palliativo globale”. Dalle cure palliative convenzionali, si è passati progressivamente alle cure palliative integrate (des soins palliatifs «conventionnels» aux soins palliatifs «intégraux»), dove l’eutanasia è divenuta un’opzione palliativa35. Anche la formazione dei medici per le questioni di fine vita è affidata ad associazioni mediche di orientamento eutanasico36, per le quali l’eutanasia è un’alternativa eticamente valida e l’atto di provocare la morte è iscrivibile appunto fra le opzioni palliative37. Di fatto le cure palliative, secondo il loro statuto originario, non vengono insegnate nei corsi di medicina, non vi sono competenze mediche adeguate per offrire cure palliative di qualità, né finanziamenti sufficienti38.

Osservo fra l’altro, leggendo il testo dell’audizione del Consiglio Nazionale Forense, che le parole dell’ordinanza 207 della Corte costituzionale sono state interpretate, almeno dai due studiosi redattori, nel senso che «la richiesta di somministrazione di un farmaco atto a provocare la morte deve avvenire nel quadro di un percorso di cure palliative, come già avviene per la rinuncia alle cure ai sensi dell’art. 2 della legge n. 219/2017»39. Tale lettura, mentre si discosta dal dato letterale dell’ordinanza 207, che invece parla di pre-requisito della scelta e non già di somministrazione del farmaco letale nel quadro del percorso palliativo, mostra al contempo quanto inesorabile sia il passaggio dalle cure palliative convenzionali alle cure palliative c.d. “integrate”, in cui l’eutanasia diventa opzione palliativa e in cui, inevitabilmente, prende il sopravvento la visione pragmatica della «morte rapida» insieme a quella, economicista, del risparmio della spesa sanitaria, specie ove si raffronti il costo di un’eutanasia con quello dell’assistenza nell’ultimo anno di vita40. Ne è una conferma l’esperienza dei Paesi Bassi, laddove il recente Euthanasia Code 2018, Review procedures in practice, a cura dei Regional Euthanasia Review Committees, da un lato riconosce che la sedazione palliativa, a differenza dell’eutanasia, «is normal medical practice», dall’altro lato asserisce candidamente che i pazienti sono autorizzati a concludere che la sedazione palliativa non è un’alternativa ragionevole («patients are entitled to conclude that palliative sedation is not a ‘reasonable alternative’»)41.

In conclusione l’esperienza mostra come in un sistema in cui l’eutanasia e le cure palliative convivono, queste ultime sono disincentivate, non finanziate, né realmente accessibili e soprattutto non sono più quelle terapie che affermano la vita e considerano la morte come un evento naturale, contrarie a qualsiasi accanimento e a qualsiasi forma di eutanasia, secondo lo statuto sancito dall’OMS. Quello che risulta intaccato è lo stesso ordinamento giuridico costituzionale basato sul riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e sul principio sociale42, a fronte di un liberalismo estremo che, se nell’immediato sembra offrire una varietà di opzioni, nel medio e lungo termine finisce per emarginare i soggetti svantaggiati e improduttivi, incrementando progressivamente la schiera di coloro che ricorrono all’eutanasia e al suicidio, come mostrano i dati43.

6. Il divieto assoluto di uccidere protegge i soggetti vulnerabili.

L’ordinanza 207 si è voluta distanziare, per verità, da «una concezione astratta dell’autonomia individuale, che ignora le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni vengono concepite. Anzi, è compito della Repubblica porre in essere politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in simili situazioni di fragilità, rimovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.)»44.

Il divieto assoluto di uccidere intenzionalmente, così come il divieto assoluto della pena di morte (anche quella volontaria, rappresentata dall’eutanasia per i detenuti, di cui si è fatto cenno45), non si configura allora come contrario al principio liberale, né a quello sociale, ma anzi, ad essi funzionale, nella misura in cui protegge da possibili coercizioni, errori, malintesi e abusi, oltre che dalla indirect social pressure46, salvaguardando così proprio la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà. Sotto questo profilo si tratta di una tesi condivisibile anche in una prospettiva moderatamente neutralista e persino utilitarista47, in quanto una norma che impedisce la disponibilità della vita umana non risulta un’irragionevole restrizione della libertà48.

Contraddice la pari dignità sociale, invece, ed è democraticamente pericolosa, una concezione della dignità umana legata non già al semplice essere in vita, all’humanitas49, ma consistente in una accezione soggettiva della stessa e quindi condizionata da capacità funzionali, come l’autonomia, l’auto-determinazione e l’auto-creazione50. Resta infatti l’enorme macigno della dignità degli esseri umani a cui tali qualità mancano, che invece il dato positivo costituzionale (cfr. artt. 3 e 38 Cost., in particolare) ha inteso considerare meritevoli di maggior tutela, anziché di minore dignità51. Come emerge coralmente dai dibattiti in Assemblea Costituente52, sono i bambini, gli anziani, i disabili e le persone con capacità compromessa o del tutto mancante i soggetti che maggiormente si intende garantire, proprio quelli privi di quella capacità di autodeterminazione in cui consisterebbe la dignità53.

La dignità intesa in senso soggettivo54 conduce poi a postulare, inevitabilmente, un presunto diritto all’omicidio consensuale di tutti gli adulti capaci55, secondo la logica del c.d. principio di uguaglianza dinanzi alla possibilità di darsi la morte56, e della fobia per ogni parvenza di paternalismo57. Perché mai, infatti, il legislatore, una volta acquisiti questi principi-guida, non dovrebbe ammettere che ulteriori condizioni, diverse da quelle di salute, possano legittimare richieste di eutanasia, ove comunque percepite dal soggetto come inaccettabili? Perché il legislatore, una volta acquisita l’ottica soggettivistica della dignità58, dovrebbe fare discriminazioni fra le condizioni che, in qualsiasi modo, nella percezione di ciascuno, rendono la propria vita non degna di essere vissuta59, come ritengono alcuni detenuti in Belgio, e come potrebbero ritenere altri, adducendo la propria sofferenza insopportabile (ai sensi del progetto n. 1586) o grave (ai sensi del n. 1655) o, semplicemente, adducendo di essere anziani e stanchi della vita, come la signora Gross60? Ma una volta giunti al diritto alla disponibilità sulla propria morte (preteso dai medici e dallo Stato e quindi tutt’altro che limitato alla propria sfera individuale) è poi difficile, come si è osservato61, vietare la vendita del proprio corpo o di alcune sue parti, la spettacolarizzazione dei suicidi e, più banalmente, l’uso di droghe e la prostituzione volontaria62.


7. La necessità di considerare responsabilmente le derive dell’esperienza del Belgio e dei Paesi Bassi.

I dati che emergono dall’esperienza di Paesi del Benelux – che un legislatore responsabile non può ignorare, perché è tenuto a considerare gli effetti della propria normazione nel medio e nel lungo periodo – mostrano poi come le aperture all’eutanasia comincino in riferimento a casi estremi e limitati, in base al solito criterio della “sofferenza insopportabile”, al principio di autodeterminazione terapeutica e a quello di dignità, e finiscano in poco tempo per divenire eutanasia di adolescenti, di bambini e di neonati, di coloro che hanno malattie psichiche. Solo in riferimento all’ultimo biennio (2016-2017), il Rapport de la Commission d’Evaluation de l’Euthanasie belga riporta diversi casi ufficiali di eutanasie praticate nei confronti di malati di depressione, bipolarità, demenza, Alzheimer e altri casi di malati di nevrosi, schizofrenia, autismo63. Dinanzi alla Corte di Strasburgo pende ora un ricorso (Mortier c. Belgio), promosso dal figlio di una paziente che soffriva di depressione e che “è stata suicidata” all’insaputa dello stesso. Quanto all’Olanda, il documento della KNMG Euthanasia in Netherlands, del 2017, menziona espressamente i pazienti dementi e le persone con disturbi mentali fra quelli ricompresi nelle finalità della medesima legge del 2002, alle quali applicare il criterio della sofferenza insopportabile. Si tratta di dati che invitano a domandarsi se, al fondo del “nuovo diritto”, vi sia autodeterminazione o non, piuttosto, una matrice selettiva64.

Nel Benelux come in Canada, si auspica poi una modifica legislativa che permetta espressamente l’eutanasia nei confronti dei pazienti dementi65, mentre i suicidi assistiti si vanno correlando, di fatto, ai trapianti di organi66. Si tratta di una deriva che non si può non considerare, tanto più che, come vedo dalla relativa audizione, il Centro Nazionale Trapianti ha voluto rimarcare l’assoluta separazione fra le modalità con cui “giunge” la morte e il successivo espianto degli organi.

8. La deriva è già visibile nei progetti di legge in esame, che escono dal recinto delle indicazioni della stessa ordinanza 207 della Corte costituzionale.

Quanto al famoso slippery slope, al c.d. pendio scivoloso, è già riconoscibile nelle proposte in esame. Vi si legge infatti che la condizione per l’accesso all’eutanasia è quella di paziente le cui «sofferenze fisiche o psichiche siano insopportabili e irreversibili, o che sia affetto da una patologia caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta» (n. 1586); ovvero di paziente «affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi» (n. 1655). Invece la Corte indica «persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli»67. La Corte afferma inoltre, come si è visto, che un percorso di cure palliative dovrebbe costituire un pre-requisito della scelta e si riferisce, inoltre, alla «possibilità di un’obiezione di coscienza per il personale sanitario coinvolto». Nulla di tutto ciò trova corrispondenza nei testi: le indicazioni della Corte risultano quindi tralasciate, così come le «condizioni rigorose» promesse nel preambolo del testo Cecconi. Nel lasso di tempo fra la pubblicazione dell’ordinanza 207 e la redazione delle proposte in esame già si è andati oltre, nella progressiva, inevitabile liberalizzazione.

In particolare, in riferimento ai principi costituzionali di tassatività e determinatezza della norma penale, osservo l’estrema elasticità dei concetti di gravi sofferenze e di inguaribilità. Del tutto indeterminato è poi, nella p.d.l. n. 2, il concetto stesso di eutanasia, oltre che i requisiti per accedervi e concordo, sotto questo profilo, con quanto rilevato dal Prof. C. Cupelli nella sua audizione. Osservo inoltre che la richiesta anticipata di eutanasia sarebbe consentita, peraltro senza adeguate garanzie, anche ai minori, stante l’espressione “ogni persona”.

Condivido poi le osservazioni effettuate dal Consiglio del Notariato nella propria audizione, che ha sottolineato la necessità dell’atto pubblico notarile quale forma della dichiarazione per la futura ed eventuale eutanasia, stante l’inadeguatezza della semplice scrittura privata consegnata all’ufficiale dell’anagrafe, così come della firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe (pdl n. 1586 e n. 1655). Si tratta di modalità inidonee a garantire che il redigente abbia effettivamente acquisito informazioni e sia consapevole della sua scelta, e insufficienti a garantire l’effettiva riferibilità al soggetto di dichiarazioni e autodichiarazioni.

Sconcertante, rispetto ai principi di autonomia e responsabilità del medico, riconosciuti dall’art. 1 della legge 219, oltre che dalla stessa giurisprudenza costituzionale, in base agli artt. 2, 13 e 32 Cost.68, è poi la p.d.l. n. 2, che prevede che il personale medico e sanitario che non rispetti la volontà manifestata nei modi di cui all’articolo 1, è tenuto al risarcimento del danno morale e materiale conseguente, in aggiunta ad ogni altra conseguenza civile o penale ravvisabile nei fatti. Sul punto occorre ricordare che è intervenuto l’art. 1, comma 6, della legge 219, che dispone che il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali. Molto netto, sul punto, è del resto il menzionato documento della Federazione nazionale dei medici, tenuti al rispetto della loro lex artis, la quale esclude, a sua volta, ogni adempimento medico consistente nel provocare o favorire la morte dei pazienti, in consonanza con la comunità medica mondiale.

Il punto pone bene in evidenza la portata divisiva, lacerante per tutta la società civile, del suicidio medicalmente assistito, che certamente non appare espressione di diritto mite.

Vi ringrazio per l’attenzione, restando a disposizione per ogni ulteriore approfondimento.


1. Sulla «soluzione inedita» e sull’«originale condotta processuale della Corte», da ultimo E. GROSSO, Il “rinvio a data fissa” nell’ordinanza n. 207/2018. Originale condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica di giudizio? Relazione al Seminario su Dopo l’ord. 207/2018 della Corte costituzionale: una nuova tecnica di giudizio? Un seguito legislativo (e quale)?, Bologna 27 maggio 2019, in corso di pubbl. sul Forum di Quad. cost. Il Convegno è stato registrato e pubblicato sul sito di Radio Radicale.
2. A. RUGGERI, Due questioni e molti interrogativi dopo la ord. 207 del 2018 su Cappato, Intervento al Seminario su Dopo l’ord. 207/2018 della Corte costituzionale: una nuova tecnica di giudizio?, Bologna 27 maggio 2019, cit.
3. L. EUSEBI, Un diritto costituzionale a morire «rapidamente»? Sul necessario approccio costituzionalmente orientato a corte cost. (ord.) n. 207/2018, in Discrimen, 19 dicembre 2018, p. 3.
4. A. RUGGERI, op. cit., § 1.
5. Punto 11 della motiv. in dir.; corsivo mio.
6. Si rinvia a G. RAZZANO, La Corte costituzionale sul caso Cappato: può un’ordinanza chiedere al Parlamento di legalizzare il suicidio assistito?, in Dirittifondamentali.it, 1/2019, 22 gennaio 2019.
7. Lo esclude, ad es., A. RUGGERI, Venuto alla luce alla Consulta l’ircocervo costituzionale (a margine della ordinanza n. 207 del 2018 sul caso Cappato), in Consulta-online, 20 novembre 2018, p. 573. Simili considerazioni in L. EUSEBI, Un diritto costituzionale a morire «rapidamente»?, cit., p. 8, per il quale non appare credibile «che un mutamento così radicale nell’impianto giuridico del nostro Paese, come quello che istituirebbe il diritto di morire rapidamente (…), possa avvenire in forza soltanto, di una pronuncia della Corte costituzionale, e dunque di una pronuncia pur sempre giudiziaria (secondo una soluzione che risulterebbe eccentrica nello stesso panorama internazionale)».
8. Sul punto più ampi ragguagli in G. RAZZANO, La Corte costituzionale sul caso Cappato, cit., § 6.
9. Cfr. Corte di Strasburgo, caso Haas c. Svizzera, § 54 e 57.
10, A. MORRONE, Intervento conclusivo al Seminario su Dopo l’ord. 207/2018 della Corte costituzionale: una nuova tecnica di giudizio?, cit.
11. Punto n. 5 della motiv. in dir. A questo riguardo la Corte ha richiamato la sentenza della Corte di Strasburgo Pretty c. Regno Unito (2002), secondo la quale dall’art. 2 CEDU «discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire»; né è possibile desumere dal diritto alla vita «il diritto all’autodeterminazione inteso come scelta fra la vita e la morte» (§ 39 sent. Pretty c. Regno Unito).
12. Punto n. 5 della motiv. in dir.
13. Cfr. in particolare le dichiarazioni pubbliche delle relatrici per la maggioranza alla Camera, on. Donata Lenzi e al Senato, Emilia Grazia De Biasi (cfr. ad es. quotidianosanità.it, 11 ottobre 2017).
14. A.C. 2350, denominato Alleanza terapeutica, consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento.
15. Punto 9 della motiv. in dir.
16. Cfr. N.M. GORSUCH, The Future of Assisted Suicide and Euthanasia, Princeton, 2006, p. 48 ss. e 216. Cfr. inoltre M. RONCO, Non esiste il “diritto” al suicidio. Note a margine del giudizio di costituzionalità sull’art. 580 cod. pen., in L- JUS, Rivista del Centro Studi Livatino, num. spec. ottobre 2018, in partic. § 2 e 3.
17. Già nel 1992, l’American Medical Association ha rimarcato la differenza fra il rifiuto dei trattamenti e il suicidio medicalmente assistito (AMA, Decision Near the End of Life, 267 Journ of Americ. Med. Ass, 1992, 2229-2233). Cfr. inoltre World Medical Association, Declaration on Euthanasia, secondo la quale «physician assisted suicide, like euthanasia, is unethical and must be condemned by the medical profession». In Italia cfr. da ultimo SIAARTI, Le cure di fine vita e l’anestesista rianimatore: raccomandazioni Siaarti per l’approccio alla persona morente (2018), che ha ribadito che «la limitazione dei trattamenti ha come unico scopo quello di evitare un inutile prolungamento del processo agonico, consentendo al paziente di morire per le conseguenze della sua malattia. Tale obiettivo la distingue nettamente dall’eutanasia, cioè l’accorciamento intenzionale del processo di morte».
18. Sottolinea la distinzione C. SALAZAR, «Morire sì, non essere aggrediti dalla morte». Considerazioni sull’ord. n. 207/2018 della Corte costituzionale, relazione al Seminario su Dopo l’ord. 207/2018 della Corte costituzionale, cit., § 3.
19. Un discorso a parte merita, tuttavia, l’ipotesi di rifuto della NIA, dal momento che in questo caso la morte sopraggiunge non già per il decorso naturale della malattia, ma per l’omissione di cure (o trattamenti che dir si voglia) indirizzate non già a contrastare la malattia, ma piuttosto, come per ogni essere umano, all’obiettivo del sostentamento e del benessere generale. Non così nelle ultime ore di vita, laddove spesso la NIA è impropria rispetto a quest’ultimo obiettivo. Si rinvia a G. RAZZANO, Accanimento terapeutico o eutanasia per abbandono del paziente? Il caso Lambert e la Corte di Strasburgo, in BioLaw Journal, 3/2015.
20. Questa la definizione resa dalla risoluzione dell’Ass. parlamentare del Consiglio d’Europa n. 1859 del 2012: «Euthanasia, in the sense of the intentional killing by act or omission of a dependent human being for his or her alleged benefit, must always be prohibited».
21. F. MANTOVANI, Biodiritto e problematiche di fine vita, in Criminalia, 2006, p. 61.
22. C. SALAZAR, «Morire sì, non essere aggrediti dalla morte», cit., § 5.
23. FNOMCeO, Comunicazione n. 41, indirizzata al Presidente del CNB, con allegato parere della Consulta Deontologica nazionale del 14 marzo 2019.
24. Punto 10 della motiv. in dir.
25. WHO Definition of Palliative Care (www.who.int/cancer/palliative/definition/en). Inoltre, WHO, 20 December 2013, Strengthening of palliative care as a component of integrated treatment throughout the life course, Report by the Secretariat. Cfr. ancora il Global Atlas of Palliative Care at the End of Life della Worldwide Palliative Care Alliance (WPCA), 2014, p. 7.
26. CNB, Sedazione palliativa profonda nell’imminenza della morte, pubblicato il 29 gennaio 2016.
27. Secondo le parole di S. CANESTRARI, I tormenti del corpo e le ferite dell’anima, in Dir. pen. cont., 2019, p. 20, che ritiene prioritario l’impegno del sistema sanitario per le cure palliative.
28. XII Commissione Affari Sociali, mercoledì 10 aprile 2019, Allegato 2 dell’Indagine Conoscitiva, p. 113.
29. Rec(2003)24, concernente l’organizzazione dei servizi di cure palliative.
30. L’espressione è dell’ordinanza 207 della Corte cost.
31. Così l’ampio studio presentato dalla Société française d’anesthésie et de réanimation (Sfar) il 29 giugno 2012: SFAR, Fin de vie, euthanasie et suicide assisté: une mise au point: «Should we address painful end-of-life and moral suffering issues, by suppressing the subject, i.e. ending the patient’s life, when comprehensive palliative care has not first been fully granted to all patients in need of it?»
32. In Belgio infatti alcuni detenuti hanno fatto ricorso all’eutanasia per porre fine ad un’esistenza ritenuta di “sofferenza insopportabile”, ai sensi della legge sull’eutanasia, secondo quanto dichiarato dal medico F. Van Mol, direttore generale del servizio sanitario penitenziario, durante il programma televisivo Panorama andato in onda il 20 ottobre 2013. Un altro caso di eutanasia è quello di F. Van Der Bleeken, violentatore seriale e omicida, in carcere da anni e psichicamente disturbato. Al momento vi sono altri detenuti che vorrebbero fare ricorso all’eutanasia, a motivo della sofferenza psichica derivante dall’assenza di prospettiva, dalla mancanza di considerazione altrui, dalla solitudine. Si tratta di ventiquattro persone, come riferito da Caroline Devynck, criminologa presso la Vrije Universiteit Brussel (VUB) (fonte: Knack.be 2/1/2019).
33. S. CANESTRARI, Relazione di sintesi. Le diverse tipologie di eutanasia: una legislazione possibile, in S. CANESTRARI, G. CIMBALO, G. PAPPALARDO (a cura di), Eutanasia e diritto. Confronto tra discipline, Torino, 2003, p. 234.
34. Per una biografia: M. RANKIN (a cura di), Cicely Saunders: The founder of the Modern Hospice Movement, 2007. Cfr. inoltre H. ten HAVE, R. JANSSENS (a cura di), Palliative Care in Europe. Concepts and Policies, Amsterdam, 2001 e https://www.stchristophers.org.uk/about/history.
35. Così P. VANDEN BERGHE, A. MULLIE, M. DESMET, G. HUYSMANS, Assisted dying – the current situation in Flanders: euthanasia embedded in palliative care, in European Journal of palliative care, 2013. Cfr. anche European Association of Palliative Care, Palliative care development in countries with Euthanasia Law, Report for the Commission on Assisted Dying Briefing Papers, 4 October 2011.
36. Ad es. La LEIF (LevensEinde InformatieForum/ Forum d’information Fin de vie), fondata nel 2003 per impulso della RWS – droit à une mort digne oppure la Forum EOL (End of Life), costituita sempre nel 2003 con il patrocinio dell’Association pour le Droit de Mourir dans la Dignité (ADMD).
37. Cfr. W. DISTELMANS, Euthanasie et soins palliatifs : le modèle belge. Pour une fin de vie digne, Lormont, 2012.
38. C. DOPCHIE, L’euthanasie tue-t-elle les soins palliatifs?, in Les Cahiers francophones de soins palliatifs, Volume 13, n. 2, 2013.
39. § 3.2. del testo dell’audizione.
40. Come osserva C. DOPCHIE, op. cit., «il est démontré que c’est la dernière année de vie qui génère les dépenses de soin les plus élevés, alors qu’une euthanasie coûte 250 Euros».
41. Cfr. documento cit., § 4.8., 51.
42. Per M. MAZZIOTTI di CELSO, Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1993, II, 53, la Costituzione si fonda sui tre principi generalissimi: il liberale, il democratico e il sociale; mentre secondo C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, 148, accanto a questi occorre anche aggiungere il principio lavorista, quello pluralista e quello sopranazionale. Cfr. altresì P. GROSSI, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova, 1972.
43. In Belgio sono 17.063 le persone ufficialmente decedute per suicidio assistito dall’approvazione della legge del 2002 (cfr. Commission fédérale de Contrôle et d’Évaluation de l’Euthanasie Huitième rapport aux Chambres législatives années 2016-2017). In Olanda dal 2006 al 2016 c’è stato un incremento del 317% dei suicidi assistiti dichiarati (Jaarverslag 2017 van de Regionale Toetsingscommissies Euthanasie).
44. Punto 6 della motiv. in dir.
45. Supra, § 5.
46. L’espressione è della Corte Suprema del Regno Unito, sent. Nicklinson, § 228, citata dall’ord. 207/2018, che ha scelto di non dichiarare incompatible la legge che criminalizza l’aiuto al suicidio, nella consapevolezza di quanto problematica sia la relativa legalizzazione rispetto alle persone con disabilità che dipendono dagli altri, per la pressione sociale indiretta che ciò comporterebbe (per ulteriori rif., G. RAZZANO, La Corte costituzionale sul caso Cappato, cit., § 4).
47. Così R.E. OMODEI, L’istigazione e aiuto al suicidio tra utilitarismo e paternalismo: una visione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., in Dir. pen. cont., 10/2017, p. 154. Quanto all’utilitarismo, lo stesso J.S. MILL, On Liberty, (1859), a cura di E. Rapaport, Indianapolis, 1978, § 5, sostenne l’opportunità di divieti assoluti, come ad es. i contratti di schiavitù, proprio per il rischio per la parte debole di subire, nonostante l’apparente consenso.
48. N.M. GORSUCH, op. cit., p. 169 e 217.
49. Secondo l’espressione di A. RUGGERI, da ultimo in Fraintendimenti concettuali e utilizzo improprio delle tecniche decisorie nel corso di una spinosa, inquietante e ad oggi non conclusa vicenda (a margine di Corte cost. n. 207 del 2018), Intervento all’incontro di studio su L’ordinanza n. 207 del 2018 tra aiuto al suicidio e trasformazione del ruolo della Corte costituzionale, organizzato dal Centro studi “Rosario Livatino”, Università Europea di Roma 22 febbraio 2019, in Consultaonline.it, 21 febbraio 2019, p. 101.
50. Fra l’altro la Corte EDU, nella sent. Pretty, § 39, ha affermato che l’art. 2 CEDU sul diritto alla vita, alla luce del quale devono essere letti tutti gli altri diritti, non è formulato come il diritto alla libertà di associazione, per cui non attiene all’esercizio di una scelta, né implica un aspetto negativo; comporta piuttosto l’obbligo dello Stato di proteggere la vita; non concerne inoltre né la qualità della vita, né ciò che una persona scelga di fare con la propria vita, ma «It is unconcerned with issues to do with the quality of living or what a person chooses to do with his or her life».
51. Sul riconoscimento generalizzato ad ogni uomo dell’attributo della dignità connesso alla sola condizione della sua esistenza in vita, e non subordinato alla condizione fisica o mentale della singola persona (da cui conseguirebbe al contrario una dignità limitata per coloro che non sono autonomi), cfr. V. BALDINI, Teoriche della dignità umana e loro riflessi sul diritto positivo (a proposito della disciplina sul trattamento del malato mentale), in Dirittifondamentali.it, 2/2012,  p9.
52. Fra i tanti passaggi significativi nel dibattito in seno all’Assemblea costituente, cfr., in tema di assistenza e previdenza, la relaz. di G. Togni, Terza Sottocomm., 11 settembre 1946, resoc. somm., 20, in cui si legge: «Se l’uguaglianza, infatti, comprende il diritto alla vita, come non alimentare tale sacrosanto diritto in maniera concreta, al di là delle nuove formule?». Di qui la necessità di garanzie per la vecchiaia, per l’incapacità fisica e psichica, l’inabilità, l’invalidità, cosicché previdenza e assistenza abbiano un contenuto più largo: «L’indispensabile per i bisogni quotidiani, che comprende il conforto per il minimo di agio e riesca apportatore di sereno amore alla vita e non costituisca invece, fomite di odio alla vita».
53. Analogamente, come ricorda S. MANGIAMELI, Autodeterminazione: diritto di spessore costituzionale?, in Forum Quad. cost., 2009, p. 12 (che cita P. GROSSI, I diritti di libertà ad uso di lezioni, vol. I, Torino, 1991, p. 254), se la libertà fosse un potere, si finirebbe con il restringere lo spazio di libertà, dal momento che l’esercizio del potere presuppone non solo la capacità giuridica, ma anche quella di agire, e di fatto risulterebbero così privati dei diritti di libertà tutti coloro che sono incapaci, i minori, gli interdetti.
54. L’ord. n. 207 si basa su concetti quali il «proprio concetto di dignità della persona» e la «propria visione della dignità nel morire».
55. N.M. GORSUCH, op. cit., p. 157 ss.
56. Argomentazione utilizzata dall’ord. 207/2018 della Corte cost., punto 9 della motiv. in dir.
57. Indicativo il pensiero di G. MANIACI, Perché abbiamo un diritto costituzionalmente garantito all’eutanasia e al suicidio assistito, in Rivista AIC, 1/2019, 16 gennaio 2019 e ID., La forza dell’argomento peggiore. La retorica paternalistica nell’argomentazione morale e giuridica, in Ragione pratica, XXXVIII, 2012, p. 205.
58. Fortemente critico nei confronti di questa prospettiva A. MORRONE, Intervento conclusivo al Seminario su Dopo l’ord. 207/2018 della Corte costituzionale: una nuova tecnica di giudizio?, cit. Cfr. anche ID., Il “caso Cappato” davanti alla Corte costituzionale. Riflessioni di un costituzionalista, in Forum dei Quad. cost., ottobre 2018.
59. Per ulteriori rilievi sul punto sia consentito rinviare a G. RAZZANO, Il diritto di morire come diritto umano? Brevi riflessioni sul potere di individuazione del best interest, sull’aiuto alla dignità di chi ha deciso di uccidersi e sulle discriminazioni Nell’ottenere la morte, in Arch. pen., 3/2018, § 4.
60. Il riferimento è al caso Gross c. Svizzera, su cui la Corte di Strasburgo si è pronunciata con una sentenza poi dichiarata invalida dalla Grand Chambre nel 2014, a motivo del fatto che la ricorrente signora Gross, che pretendeva dalla Svizzera l’eutanasia in quanto appunto anziana e stanca della vita, era in realtà già deceduta tempo addietro, in una delle cliniche svizzere all’uopo preposte.
61. A. BARBERA, La Costituzione della Repubblica italiana, Milano, 2016, p. 154.
62. Indicativa l’ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale della questione di costituzionalità della legge Merlin (Corte d’Appello di Bari, Atto di promovimento 6 febbraio 2018, ord. n. 71), che ha argomentato la libertà di vendere la propria sessualità ex. art. 2, 13 e 41 Cost. riferendosi alla sentenza Englaro, dove l’autodeterminaizone «è stata spinta sino a legittimare la scelta terapeutica di porre fine alla protrazione della vita vegetativa».
63. Si trascrive dal Rapport: «Ont été ainsi euthanasiées: 23 personnes souffrant de troubles d’humeur (dépression, bipolarité,…); 24 personnes souffrant de troubles mentaux organiques (démence, Alzheimer, …); 6 personnes souffrant de troubles de la personnalité et du comportement (cela concerne surtout des patients de moins de 40 ans); 8 personnes souffrant de troubles névrotiques, troubles liés à des facteurs de stress et troubles somatoformes; 4 personnes souffrant de schizophrénie, troubles schizothypiques et troubles délirants; 7 personnes souffrant de troubles complexes, et 5 personnes de troubles mentaux organiques comme l’autisme».
64. Sul legame fra i movimenti per la legalizzazione dell’eutanasia negli Usa e il darwinismo sociale cfr. l’accurata ricerca di N.M. GORSUCH, op. cit., p. 33.
65. A tal fine una lettera aperta del 6 ottobre 2018 del Presidente della commissione belga sul controllo dell’eutanasia, Wim Distelmans, chiede di modificare la legge vigente; ad Anversa, durante il convegno del marzo 2019 del consorzio medico LEIF (LevensEinde Informatie Forum), molti si sono espressi a favore di questa modifica, così da permettere l’eutanasia ai pazienti con demenza in stato avanzato (fonti: De Morgen, Het Laatste Nieuws, De Standaard); in Canada l’Université de Sherbrooke e l’Association des proches aidants de la Capitale-Nationale hanno pubblicato dati che mostrano il consenso dei parenti per l’eutanasia dei dementi e dei malati di Alzheimer (cfr. www.vivredignite.org/actualite/quebec/actualite-2017).
66. Nei Paesi Bassi vige una direttiva volta ad evitare che i pazienti scelgano l’eutanasia per la donazione dei loro organi (http://www.transplantatiestichting.nl/winkel/richtlijn-orgaandonatie-na-euthanasie), ma i casi aumentano ogni anno (in Olanda 46 persone dal 2012 al 2017, in Belgio 35 persone dopo il 2005, fonti: Medisch Contact 27/02/2019 e Artsenkrant 7/03/2019). Problematiche le pressioni indirette dei social media, che sottolineano la necessità e l’urgenza di organi e la ricollegano a casi di eutanasia seguiti da trapianti (cfr. Institut Européen de Bioéthique, Bulletin 22 mars 2019, www.ieb- eib.org). In Canada alcuni medici della Western University (Ontario) e Robert Truog, bioeticista della Harvard Medical School, hanno chiesto di poter modificare la previsione legislativa per cui occorre attendere la morte prima dell’espianto, in modo da poter procedere a trapianti da persona vivente, cui seguirebbe l’eutanasia in sala operatoria e non attraverso somministrazione di sostanza (fonte BioEdge). Sulla questione non mancano riferimenti in letteratura: ad es. J. BOLLEN et al., Legal and ethical aspects of organ donation after euthanasia in Belgium and the Netherlands, in J Med Ethics, 2016; J. BOLLEN et al., Organ donation after euthanasia in children: Belgian and Dutch perspectives, Arch Dis Child, 2018.
67. Punto 8 della motiv. in dir.
68. Cfr. ad es. Corte cost., sent. n. 282 del 2002.

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