Il diniego alla richiesta di risarcimento dei genitori del “bullo” espulso dalla scuola. Brevi riflessioni a margine di un recente pronunciamento del TAR dell’Umbria.
Con la sentenza n. 90 del 24 febbraio 2023 (Presidente Potenza – Estensore De Grazia), la prima sezione del TAR Umbria ha respinto il ricorso presentato dai genitori di uno studente espulso dalla scuola per gravi atti di bullismo. Il provvedimento espulsivo e la conseguente bocciatura alla fine dell’anno dell’alunno risultavano giustificati alla luce della gravità delle violenze perpetrate, le quali avevano ingenerato forti preoccupazioni per una sua riammissione nelle famiglie della vittima e degli altri studenti. Degna di rilievo appare, inoltre, la critica in filigrana dei giudici amministrativi rispetto all’atteggiamento deresponsabilizzante dei ricorrenti, che invece di richiedere i danni avrebbero dovuto preoccuparsi di educare il figlio.
1. La pronuncia che si annota per gli apprezzabili spunti d’interesse, prende avvio da una vicenda i cui contorni intercettano il fenomeno sempre più diffuso e preoccupante, specie in ambito scolastico, del bullismo. Per muoversi meglio nella complessità del tema, prima di procedere all’esame della decisione, risulta funzionale in premessa partire da considerazioni che, prediligendo l’efficacia di un approccio sincretistico, tengano conto delle cognizioni maturate nell’ambito delle scienze comportamentali.
Secondo la definizione più accreditata tra gli studiosi del fenomeno, per “bullismo” deve anzitutto intendersi “un’aggressione deliberata che produce nell’altro una sofferenza fisica e psicologica. Vittima e bullo hanno nella relazione un diseguale potere fisico, psicologico o di status sociale. Il bullo abusa del suo potere per il piacere di dominare la vittima e sminuire o annientare il suo potere personale” [1].
Si tratta, dunque, di una forma aggressiva di devianza minorile che fa della violenza, sia essa fisica o verbale, dell’asimmetria relazionale tra bullo e vittima, del senso di schiacciamento personale e psicologico di quest’ultima, i propri tratti distintivi. Altre caratteristiche non meno rilevanti sono: la caratterizzazione del bullismo quale fenomeno di gruppo, nonché la sistematicità e prosecuzione nel tempo del comportamento aggressivo o persecutorio. Sul versante psicologico spicca, inoltre, l’intenzione consapevole del bullo o del gruppo di bulli di voler arrecare ripetutamente danni alla vittima.
Per alcuni autorevoli osservatori, il catalizzatore di questa patologica degenerazione dei rapporti tra i giovanissimi sarebbe rappresentato dall’aggressività del bullo, il quale trarrebbe a sua volta origine da un senso di frustrazione frutto di scontentezza e delusione dovuto al mancato appagamento di un bisogno di natura prevalentemente affettiva. Dall’intensità della delusione subita, potrebbe infatti discendere un comportamento violento che ha il fine di arrecare danno a un organismo o a qualcosa che lo sostituisca[2].
Ne consegue, quindi, che la genesi di questo fenomeno sarebbe riconducibile ad un processo di malsana evoluzione soggettiva del “bullo”: persona con notevoli problematiche legate a disturbi che possono essere anche piuttosto seri, di personalità. Da ciò, si evince che taluni comportamenti all’apparenza ingiustificabili, a volte d’impatto delinquenziale, nascono da soggetti con lineamenti della personalità certamente conflittuali e con, più o meno accentuate, caratteristiche patologiche.
Sulla scorta di questa premessa metodologica, risulta quindi fondamentale intervenire in quella fase delicata e complessa dell’evoluzione umana rappresentata dall’adolescenza, impedendo che venga messa in atto la violenza distruttiva, con cui spesso vengono condotti, o addirittura tragicamente si concludono, molti rapporti interpersonali. Sotto questo aspetto, le proposte avanzate dalla comunità scientifica (Cohn e Canter, 2003; Limber, 2004) sono molteplici, animate da un’auspicabile sinergia tra le diverse agenzie educative, famiglie e scuola in testa, coinvolte in prima linea nel delicato processo evolutivo dei minori.
Tra queste, meritano senz’altro menzione: la pubblicizzazione di programmi antibullismo nei luoghi di culto, nella scuola e in altri contesti dove gli adolescenti partecipano alle attività comunitarie; l’incoraggiamento dei genitori a rinforzare i comportamenti positivi dei loro figli e a essere modelli appropriati d’interazioni interpersonali; l’identificazione precoce dei bulli e delle vittime, utilizzando training di abilità sociali per migliorare il loro comportamento; il confronto, da parte dei genitori, con figure qualificate quali lo psicologo, il consulente, l’assistente sociale della scuola, chiedendo aiuto per il bullismo o la vittimizzazione del proprio figlio; il coinvolgimento delle famiglie nei programmi scolastici per neutralizzare il bullismo; l’attività di rafforzamento dei comportamenti positivi dei figli, mostrando delle interazioni che non implichino bullismo o aggressione[3].
2. Esaurita questa parte introduttiva, e rinviando per i doverosi approfondimenti alle corpose fonti di riferimento, si può adesso procedere all’indagine della sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo per l’Umbria, investito della questione dai genitori di uno studente espulso dalla scuola per atti di bullismo nei confronti di un compagno di classe.
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno impugnato i due provvedimenti disciplinari emessi nei confronti del figlio, e precisamente l’espulsione e l’allontanamento dalla comunità scolastica fino al termine dell’anno scolastico con esclusione dallo scrutinio finale, in virtù di gravi atti di violenza commessi insieme ad altro alunno ai danni di un compagno di scuola lesivi della sua dignità. Tra i motivi in fatto posti a fondamento del ricorso, si segnalano, in nuce: la correttezza del comportamento tenuto dal figlio a scuola e in ambito extra-scolastico fino all’episodio contestato; che il minore avrebbe agito sotto l’influenza negativa di un compagno di scuola fortemente problematico e con trascorsi disciplinari, nei cui confronti era diffuso un senso di sudditanza psicologica; che i fatti oggetto di contestazione erano stati commessi al di fuori dell’ambiente scolastico, nonché la minore gravità della condotta rispetto a quella dell’altro compagno di scuola responsabile delle violenze.
Quanto alle ragioni giuridiche, invece, i ricorrenti lamentavano, tra le altre: il difetto d’istruttoria sul comportamento tenuto rispettivamente dai due “bulli”; il difetto di motivazione in ordine alla decisione di irrogare le sanzioni più gravi dell’espulsione e dell’allontanamento dalla scuola con esclusione dallo scrutinio finale; l’insufficienza della motivazione in ordine alla irrogazione della sanzione più grave ed alla scelta di non permettere allo studente di iscriversi, anche in corso d’anno, ad altra scuola (art. 4, c. 10, del D.P.R. n. 249/98) o di convertire la sanzione in attività in favore della comunità scolastica (comma 5, ultimo periodo) e di escludere l’ammissione allo scrutinio finale; l’insufficienza di motivazione con riguardo alla paventata situazione di pericolo per la vittima dell’aggressione.
Sulla scorta di tali prospettazioni, i ricorrenti hanno chiesto, pertanto, l’annullamento dei due provvedimenti disciplinari impugnati, previa la loro sospensione cautelare. Infine, completava il ricorso la richiesta di pronunciare la condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla perdita dell’anno scolastico ed ai disagi psicologici ed esistenziali patiti dal minore, quantificati in euro 10.000,00.
3. Preparato il terreno per questa breve indagine, è ora possibile prendere in esame le argomentazioni sviluppate dal Giudice amministrativo.
Il Tribunale umbro, come anticipato, ha ritenuto infondati tutti i motivi proposti dai ricorrenti, muovendo, in primo luogo, dall’accertamento del rispetto delle competenze in capo agli organi investiti della questione, oltre che delle procedure previste in caso di gravi atti di bullismo. Nel caso in discorso, i giudici amministrativi hanno infatti riscontrato il pieno rispetto del “Regolamento d’Istituto”, contenente sia il codice di disciplina e le correlative sanzioni, sia le norme che regolano la vita all’interno della scuola. Pertanto, i soggetti coinvolti nella valutazione della condotta tenuta dallo studente (ovverosia la Giunta esecutiva presieduta dal dirigente scolastico e il Collegio degli educatori), nell’irrogare sia la sanzione espulsiva, nonché l’allontanamento dalla comunità scolastica fino alla fine dell’anno con esclusione dallo scrutinio finale, avevano puntualmente assolto gli oneri istruttori e procedimentali prescritti dal Regolamento di Istituto.
Ritenute infondate siffatte questioni, il Tribunale amministrativo non ha poi ritenuto condivisibile nemmeno i motivi legati al difetto di istruttoria e motivazione dei provvedimenti sanzionatori impugnati, per come prospettati dai ricorrenti. In effetti, basandosi sulle censurabili condotte tenute dallo studente, il quale, prescindendo dalla bontà dei suoi comportamenti pregressi, aveva confessato alla presenza del padre e della dirigente scolastica, di aver commesso i gravi fatti ai danni del compagno di scuola, il Tribunale, non ha ravvisato nei fatti alcuna violazione sotto il profilo istruttorio o motivazionale.
Tra l’altro, non poteva risultare dirimente la circostanza che i fatti addebitati allo studente fossero stati commessi fuori dalla scuola. Infatti, il Regolamento d’Istituto, in un’ottica di maggior tutela degli studenti, stabiliva che le sanzioni irrogate potevano essere inflitte anche in caso di condotte tenute al di fuori della scuola, sempre ammesso che siano collegate a fatti o eventi scolastici e risultassero di gravità tale da potersi ripercuotere anche nell’ambiente scolastico. Ciò è quanto accaduto nel caso in commento; poiché, osservano i giudici amministrativi, “dall’analisi del verbale redatto dal Consiglio di classe è emersa la forte preoccupazione espressa dai genitori della vittima e dalle famiglie di altri studenti rispetto all’ipotesi di un ritorno a scuola dell’autore dell’aggressione”.
Dunque, la valutazione di inopportunità di riammettere lo studente risulta motivata, anche dai timori legati ad una loro possibile riammissione nel tessuto scolastico, sì da giustificare la mancata conversione della sanzione in attività in favore della comunità scolastica, come previsto dal regolamento d’istituto.
Tanto osservato, ne consegue che non risultava violato neanche il principio in base al quale i provvedimenti disciplinari hanno sempre finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino dei rapporti corretti all’interno della comunità scolastica. Tale assunto viene, invero, suffragato dal dettato normativo rappresentato dall’art. 4, cc. 2 e 6, del D.P.R. n. 249/1998, il quale contempla nel ventaglio delle sanzioni irrogabili aventi finalità educativa, anche l’allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo superiore a 15 giorni, con possibilità di esclusione dallo scrutinio finale o della non ammissione all’esame di Stato. Secondo il Giudice amministrativo, quindi, anche “le sanzioni più gravi, concorrono a pieno titolo alla realizzazione delle finalità educative volute dal legislatore, al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica” (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 21 maggio 2015, n. 7350).
Inoltre, non è nemmeno condivisibile la doglianza concernente la mancata applicazione dell’articolo 4, c. 10 del D.P.R. 249/1998, secondo cui è consentito allo studente di iscriversi, anche in corso d’anno, ad altra scuola, nei casi in cui la situazione sconsigli il rientro nella comunità scolastica dello studente. Aderendo a una lettura rigorosa e condivisibile della disposizione, il TAR ne ha escluso l’applicabilità nel caso in esame, in quanto era necessario scontare per intero l’intera misura disciplinare, al fine di evitare prassi elusive volte a sottrarsi in modo capzioso alle sanzioni irrogate.
Quanto poi alla censura mossa dai ricorrenti in merito all’esclusione dallo scrutinio finale, il Tribunale ha specificato che le lettere D) e E) dell’art. 34 del Regolamento d’Istituto, richiamando l’art. 4 cc. 9-bis e 9-ter, del D.P.R. n. 249/1998, prevedono le condizioni in presenza delle quali possono essere irrogate le sanzioni disciplinari che comportano l’allontanamento dello studente dalla comunità scolastica fino al termine dell’anno scolastico, e l’esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all’esame di Stato. Tra queste, i casi di: commissione di fatti astrattamente configuranti reati che violino la dignità e il rispetto della persona umana (ad es. violenza privata, minaccia, percosse, ingiurie, reati di natura sessuale etc.); fatti determinanti una concreta situazione di pericolo per l’incolumità delle persone (ad es. incendio o allagamento); atti di grave violenza o connotati da una particolare gravità, tali da determinare una seria apprensione a livello sociale, qualora non siano esperibili interventi per un reinserimento responsabile e tempestivo dello studente nella comunità durante l’anno scolastico.
Nella fattispecie in esame, tuttavia, data l’accertata configurabilità di fattispecie di reato lesive della dignità della persona umana, e quindi riconducibili alle ipotesi poc’anzi illustrate, il malum inflitto allo studente attraverso le sanzioni più gravi previste dal Regolamento d’Istituto, non appare, a ragion veduta, né irragionevole né sproporzionato. Pertanto, alla luce dei rilievi fattuali e giuridici passati in rassegna, il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria ha rigettato il ricorso, dichiarando improcedibili i motivi aggiunti, e condannando i ricorrenti al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese di lite, liquidate in euro 2.500,00 oltre oneri e accessori di legge.
In conclusione, dal tenore della decisione assunta dal TAR si può cogliere, in controluce, un giudizio forte di disapprovazione non solo rispetto al giovane studente autore dei gravi atti di bullismo, ma anche, e soprattutto, nei confronti dei genitori ricorrenti. Sul comportamento di questi ultimi in particolare sembra cadere, tagliente ed inesorabile, la scure del biasimo per non aver offerto al figlio, in piena sintonia con le premesse introduttive, quel modello positivo d’interazione di cui avrebbe, a buon motivo, urgente bisogno.
Giuseppe Paci
[1]S. Castorina, “Fantasie di bullismo”, Milano, 2005, 11.
[2]J. Dollard e altri, “Frustrazione e aggressività”, Firenze, 1967, cit., 23-23.
[3]J. W. Santrock, K. Deater-Deckard, J. Lansford, D. Rollo, “Psicologia dello sviluppo”, Mc Graw Hill, IV edizione, 2021, cit., pagg. 518-519