Si dà pubblicazione del messaggio di saluto che Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, ha gentilmente fatto giungere per il convegno “Disarmare le parole. Riflessioni storiche e giuridiche per la pace in Europa”, svoltosi a Firenze sabato 6 dicembre u.s. presso la Sala dell’Annunciazione della Basilica della Santissima Annunziata. Il convegno è stato organizzato dal Centro Studi Livatino, con il patrocinio del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Firenze e di numerose associazioni cattoliche fiorentine (Centro Studi Internazionale Leone XIV, Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira, UGCI Firenze, Movimento per la Vita Firenze, FUCI Firenze, Associazione Internazionale Fioretta Mazzei). Gli atti del convegno saranno pubblicati sul prossimo numero della rivista L-Jus.
Cari fratelli e sorelle,
desidero innanzitutto esprimere il mio vivo apprezzamento per questo incontro, che si svolge in una città tanto legata alla storia spirituale e civile d’Italia. Nei primi mesi del suo pontificato, Papa Leone XIV ha più volte richiamato tutti -credenti e non credenti – alla responsabilità di “disarmare le parole. E un appello che nasce dal Vangelo e che ritroviamo, in forme diverse, in ogni pontificato: la pace non è un tema accessorio della missione della Chiesa, ma la cifra stessa della sua fedeltà a Cristo.
“Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9) – la settima beatitudine nel Vangelo secondo Matteo – che indica una pienezza – non e un incoraggiamento poetico, ma un criterio esigente. E “Pace a voi” (Gv 20,19) sono el prime parole del Risorto: parole che non rimuovono le ferite della storia, ma mostrano che il male non ha l’ultima parola.
Oggi, purtroppo, la scena internazionale evidenzia quanto sia fragile la convivenza umana quando prevalgono logiche di forza, quando gli strumenti di morte diventano sempre più sofisticati e la tentazione della sfiducia reciproca torna a imporsi. E in questo contesto che la voce del Papa cresce di attualità e urgenza: non un richiamo astratto, ma un invito concreto a farsi “artigiani” di un bene possibile, compito che già li compianto Papa Francesco ci indicava.
Il convegno di Firenze offre un’occasione preziosa: riscoprire l’eredità del Venerabile Giorgio La Pira come testimone di pace in Europa e, in particolare, nelle relazioni con la Russia. Egli ha cercato la pace con un metodo che potremmo definire evangelicamente realistico. Non ha mai ceduto alla tentazione di annacquare la verità per rendere più agevoli i rapporti. La sua convinzione era semplice e profonda: solo chi porta con limpidezza i propri valori è credibile agli occhi dell’altro. Eun principio che vale ancora oggi, soprattutto in un’epoca in cui il dialogo corre il rischio di essere ridotto a mera diplomazia di convenienza.
Lo stesso San Francesco d’Assisi, quando incontrò il Sultano al-Malik al-Kamil, non rinunciò alla propria identità. E fu proprio questa schiettezza a favorire il rispetto reciproco. La verità, quando è custodita con umiltà, diventa via di incontro.
Questo cammino però non è facile. Non è una forma di pacifismo superficiale, che evita i conflitti solo per quieto vivere. È un impegno che richiede pazienza, perseveranza, disponibilità a sopportare incomprensioni. Ma è l’unica via che, alla lunga, produce frutti. Ce lo ricorda San Paolo: “Vinci il male con il bene” (Rm 12,21). Non esiste una scorciatoia.
Nell’attuale contesto europeo questa prospettiva sembra talvolta fuori moda. Persino la parola “pace” viene talvolta pronunciata con imbarazzo, come se fosse un termine naïf. Al tempo stesso riemergono vecchi schemi – la corsa agli armamenti, la logica della deterrenza – che speravamo superati. Ma i fatti ci dicono che non possiamo abbassare la guardia: “giustizia, saggezza e umanità” – scriveva san Giovanni XXIII – chiedono di arrestare la spirale della corsa agli armamenti (Cfr. Pacem in Terris, 60). E il Catechismo mantiene “severe riserve morali” sul loro accumulo (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2315). Sono parole che meritano di essere riprese con serietà.
Riflettere oggi sulla pace in Europa significa, dunque, assumersi una responsabilità culturale e spirituale. Non si tratta di un discorso rivolto solo ai credenti. È una questione che riguarda la qualità della nostra civiltà, il modo in cui vogliamo costruire il futuro del continente. La Pira in questo è una luce serena e cristallina.
La ricerca della pace non equivale a ignorare le responsabilità, talora gravissime, dell’aggressore, né a porre sullo stesso piano chi aggredisce e chi subisce. Non significa nemmeno disconoscere il diritto, riconosciuto anche dalla dottrina della Chiesa, a difendersi da un’ingiusta aggressione (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309). Significa piuttosto evitare che la logica del male si autoalimenti e divori tutto ciò che incontra.
Significa anche preparare un dopo, perché ogni conflitto – anche il più atroce – prima o poi finisce, e lascia sul campo macerie materiali e spirituali che richiedono tempo, cura, memoria e lungimiranza. La pace non fiorisce per inerzia: è sempre il frutto di decisioni difficili e talvolta controcorrente, come non di rado La Pira ripeteva: “spes contra spem” (Rm 4,18).
Voi oggi vi radunate per ripensare tutto questo a partire da una testimonianza che non ha perso la sua forza profetica. È un servizio importante, di cui vi sono sinceramente grato. Spero che questo convegno contribuisca a riaprire spazi di dialogo e percorsi di pacificazione, affinché l’Europa possa nuovamente imparare la sapienza del disarmo e – quanto lo desidero! – anche dei cuori.
A tutti voi rivolgo il mio cordiale saluto e l’assicurazione della mia preghiera.
PIETRO CARD. PAROLIN
Segretario di Stato di Sua Santità