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Si torna a parlare dilegge sui caregiver familiari, dopo un periodo – quello della pandemia e del blocco totale – che ha stremato chi già si occupava h 24 di un familiare non autosufficiente e ha dovuto affrontare da solo tutto il carico assistenziale. Le difficoltà sono aumentate per la chiusura dei centri di assistenza, le difficili situazioni delle RSA, l’interruzione dei rapporti lavorativi con le badanti.  Riconoscere e tutelare i caregiver e tutti coloro che assistono familiari, coprendo una parte importante del welfare del nostro Paese, è quindi una priorità.


Se la pandemia ha messo a dura prova chiunque, pesi fra più rilevanti incombono sulle persone che si prendono cura a tempo pieno e in forma gratuita dei più fragili: i c.d. Caregiver familiari. Il carico di cura verso i propri cari e il supporto psicologico per superare un periodo intenso a livello emotivo come questo è aumentato a causa della sospensione o della riduzione dell’aiuto di badanti o assistenti domiciliari.

Il caregiver familiare è una persona che, a titolo gratuito e in forma estranea all’ambito professionale, si occupa dell’assistenza di un familiare disabile, o comunque non autosufficiente. La Legge 27 dicembre 2017 n. 205 (legge di bilancio 2018) ha istitutito il fondo per il sostegno del caregiver familiare all’art. 1 comma 255: per individuare i beneficiari degli interventi legislativi ha definito il caregiver familiare come la “persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18”.

Il caregiver familiare è stata sempre una figura diffusa in Italia, ma è diventato ancor più importante con la pandemia da Covid-19. I compiti del caregiver possono essere molti ‒ dall’assistenza diretta alla sorveglianza passiva ‒ e dipendono dalle abilità residue dell’assistito. Per assistenza diretta per es. si intende il lavare e cambiare l’assistito, preparare il cibo seguendo le prescrizioni mediche ed eventualmente imboccarlo, somministrare i farmaci, ecc. Si parla invece di sorveglianza passiva se l’assistito per es. sia a letto ma debba essere controllato, oppure possa causare situazioni di pericolo per sé o per gli altri. Tra questi due estremi ci sono molti scenari intermedi e compiti collaterali, quali l’occuparsi delle questioni amministrative e burocratiche, il tenere rapporti con enti o strutture che si occupano della persona, l’accompagnamento in ospedale o in altri centri medici, l’acquisto di ausilii e protesi, e così via.

Secondo la recente indagine “Caregiver e Covid 19” a cura di ARS, ACLI Lombardia ed altre associazioni[1] i caregiver sono prevalentemente donne (85% dei casi), mentre l’età media della persona assistita è di 79 anni: nella maggior parte dei casi si tratta del genitore o del coniuge. Per circa due terzi dei caregiver la pandemia ha avuto come l’effetto di costringerli da un lato a ridurre o a sospendere l’attività lavorativa, dall’altro ad aumentare le richieste di aiuto, poiché in molti nuclei familiari per motivi di necessità si è dovuto fare a meno – temporaneamente o addirittura definitivamente – di figure dell’ausilio di colf e badanti. Molte famiglie hanno subito anche la contestuale riduzione dei servizi socio-assistenziali erogati da parte dei Comuni. Altro nodo è la didattica a distanza. Secondo l’indagine sopra citata, nel 70% dei casi le ore di assistenza alla comunicazione e all’autonomia perse a causa della chiusura delle scuole non sono state recuperate.

In generale i caregiver hanno espresso il bisogno di ricevere più informazioni sui servizi presenti nel proprio territorio (in particolare richiedono una maggiore assistenza domiciliare), di un sostegno psicologico per sé e nella propria casa, e di potenziare la propria dotazione di strumenti tecnologici. Sul piano psicologico, il caregiver è una figura facilmente soggetta allo stress, e può ritrovarsi affetta da sindrome connessa all’affaticamento psico-fisico dovuto al lavoro di cura, che si manifestarsi anche attraverso stati d’ansia ed insonnia.

Tra le note positive, la Legge di bilancio 2021 ha previsto uno stanziamento di 30 milioni di euro per un fondo destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale svolta dal caregiver familiare. Tuttavia a oggi costui non gode di alcun riconoscimento legislativo, se non per quanto riguarda il diritto ai permessi giornalieri retribuiti e al congedo straordinario previsti dalla L. n. 104/1992.

Il che non è sufficiente a garantire piena dignità sociale: i caregiver familiari sono spesso persone che, per poter assistere il proprio caro, hanno perso o dovuto lasciare il lavoro, e per questo non maturano i requisiti necessari ai fini pensionistici. È stato stimato che il 66% di loro è costretto a lasciare il lavoro per far fronte agli impegni di cura ed assistenza familiare. È ancora fermo in Commissione Lavoro del Senato il progetto di legge n.1461 che è stato presentato nel 2019[2]: è un testo che riconosce alla figura del caregiver sia una tutela di natura previdenziale – tre anni di contributi figurativi – sia alcune agevolazioni fiscali – detrazione IRPEF per le spese sostenute dal caregiver nella misura del 50% fino ad € 10.000 annui – e che potrebbe ancora migliorare, con l’auspicio che comunque venga approvato dal Parlamento in questa legislatura.

Essere caregiver non è una scelta ma una necessità, e lo si può rimanere per molti anni, talora per tutta la vita, con la conseguente impossibilità, come si è detto, di conciliare l’attività lavorativa con quella assistenziale, e quindi con la perdita del sostentamento economico. Ma le problematiche non si esauriscono qui: secondo il premio Nobel Elizabeth Blackburn, i caregiver in queste condizioni hanno un’aspettativa di vita più bassa della media e che va dai 9 ai 17 anni in meno a causa dello stress.  Riconoscere e tutelare i caregiver e tutti coloro che assistono familiari, coprendo una parte importante del welfare del nostro Paese, dovrebbe essere quindi una priorità.

Daniele Onori e Lorenzo Jesurum


[1] Cfr. www.aclilombardia.it/0/prendersi-cura-di-un-familiare-ai-tempi-del-covid/

[2] Cfr. www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/52186.htm

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