Pubblichiamo a seguire l’ordinanza con la quale il 14 febbraio la Corte di assise di Milano, nel processo che vede imputato Marco Cappato per il reato di aiuto al suicidio di Fabiano Antoniani, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, rilevando il contrasto di esso congli articoli 2, 3, 13, 25- II comma, 27- III comma, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento agli articoli 2, 3 e 9 della Convenzione EDU.
Il dubbio sulla costituzionalità dell’articolo 580 c.p. riguarda per i giudici di Milano la parte in cui la norma incrimina le condotte di aiuto al suicidio “a prescindere dal loro contributo alla determinazione e al rafforzamento del proposito suicidiario”. Tale disposizione punisce infatti non solo l’istigazione al suicidio, e dunque chi determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito suicidiario – contribuendo al processo di formazione della decisione stessa -, ma anche chi “ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”. Nell’interpretazione giurisprudenziale consolidata tali condotte integrano entrambe, sia sotto la forma di istigazione, sia sotto quella di aiuto al suicidio, la fattispecie incriminatrice, essendo state previste come alternative ( v. Cass. pen. Sez. I, n. 3147 del 6 febbraio 1998).
La Corte di assise di Milano nell’ordinanza contesta tale esegesi, richiamando non solo la sentenza pronunciata dal GUP di Roma nel caso Welby e la sentenza della Cassazione sulla vicenda Englaro del 2007 (sez. I civ., 16 ottobre 2007, n. 21748), ma pure la recente legge sulle DAT, la n. 219 del 2017 che però non legittima il c.d. “suicidio assistito”. Per i giudici l’interpretazione fin qui prevalsa dell’articolo 580 c.p.è stata mossa dalla considerazione del “suicidio come un fatto in sé riprovevole”, coincidendo “la ratio della norma nella tutela ‘del bene supremo della vita’”: così si pone in violazione degli art. 2 e 13, I comma, della Carta fondamentale, è cioè contraria ai principi di libertà e di autodeterminazione del singolo. In base al principio di autodeterminazione, “anche in ordine alla fine della propria esistenza”, per la Corte di Milano dovrebbero essere sanzionabili ai sensi dell’art. 580 c.p. le sole condotte che “in qualsiasi modo” abbiano alterato il percorso psichico del soggetto passivo.
Ne consegue che la sanzione indiscriminata delle varie condotte di aiuto al suicidio e la previsione della stessa pena stabilita per l’istigazione viene ritenuta incostituzionale per violazione degli artt. 3, 13, 25, II comma, e 27, III comma della Costituzione.
Rinviando a una trattazione più approfondita, la prima considerazione che emerge, rispetto a quanto scritto dalla Corte d’Assise, è che elevare l’autodeterminazione a principio costituzionale in grado di prevalere su tutti gli altri valori protetti dalla Costituzione, in primis la vita, appare pericoloso e in contrasto con l’impostazione personalistica della Carta.
Avv. Francesca Piergentili, Dottore di ricerca in Categorie giuridiche e tecnologia nell’Università Europea di Roma
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