Sanzionata in Francia con sentenza definitiva a un mese di reclusione, con la sospensione della pena per aver rappresentato l’aborto di Gesù nella chiesa parigina della Maddalena, Eloïse Bouton, militante del movimento Femen, ha ottenuto in proprio favore dalla Corte EDU la condanna dello Stato francese. La motivazione della sentenza CEDU è illogica e contraddittoria, in totale disprezzo per i diritti umani delle persone offese – nella specie i fedeli presenti nella chiesa e tutti i cattolici sparsi nel mondo –, e derisoria verso coloro che in Europa attendono pronunce giurisdizionali secondo verità.
1. Il gesto blasfemo del 20 dicembre 2013. – Alcuni giorni prima della festa di Natale, il 20 dicembre 2013, Eloïse Bouton, cittadina francese nata nel 1983, militante del movimento Femen, entrò, seguita da un gruppo di giornalisti e fotografi, nella Chiesa di Santa Maria Maddalena in Parigi indossando un velo azzurro e una simil-corona di spine, il petto nudo e il corpo tatuato con alcuni slogans. Postasi davanti all’altare in corrispondenza del tabernacolo ove è custodito il corpo di Cristo mimò un aborto con l’aiuto di due pezzi di fegato di manzo, rappresentativi della creatura uccisa.
Eloïse Bouton spiegò in una intervista al Nouvel Observateur del 23 dicembre successivo, pubblicata su internet sotto forma di lettera indirizzata al curato della Chiesa, l’obiettivo della sua azione. Ella teneva “due pezzi di fegato di manzo nelle mani, simbolo del piccolo Gesù abortito”. All’altezza del ventre si era tatuata lo slogan “344ème salope [troia]”, con riferimento al manifesto che 343 donne avevano reso pubblico nel 1971, dichiarando di avere abortito e chiedendo che fosse riconosciuto il “diritto” all’aborto. Sul dorso Eloïse Bouton si era fatta tatuare la frase: “Natale è cancellato”. Gli inquirenti versarono nel fascicolo della procedura una pubblicazione tratta dal sito internet delle Femen-France che conteneva delle fotografie sottotitolate: “Natale è annullato dal Vaticano a Parigi, sull’altare della Chiesa della Maddalena la Santa Madre Eloïse ha abortito Gesù”.
2. Origine e scopo del movimento Femen. – Il movimento Femen è un movimento femminista radicale fondato in Ucraina nel 2008. Oggi ha la sede centrale a Parigi. Il movimento ha carattere globale e opera in vari paesi compiendo azioni provocatorie contro la religione e agitando temi come la prostituzione, la violenza contro le donne e la promozione dei “diritti” degli omosessuali. Le militanti del movimento usano il corpo, parzialmente o totalmente denudato, ricoperto di tatuaggi e di sintetici slogan, come arma per provocare uno shock emotivo nei luoghi ove esse compaiono improvvisamente, seguite da fotografi che ritraggono le varie performances allo scopo di diffonderle sui media, rendendole, per così dire, virali.
3. Il significato simbolico del gesto. – Nelle spiegazioni che Eloïse Bouton ha fornito nel successivo processo penale l’obiettivo del gesto sarebbe stato di esprimere una vibrata protesta contro la dottrina della Chiesa cattolica, che ritiene gravemente illecito l’aborto volontario, contribuendo in tal modo a mantenere un clima ostile all’aborto come diritto assoluto delle donne.
E’ evidente che tale obiettivo è stato perseguito tramite una prestazione che ha messo in scena una blasfemia offensiva della fede cattolica. Invero: i) l’esponente di Femen ha inteso rappresentare in se stessa, con una inversione dissacrante, l’immagine della Santa Vergine Maria: ha indossato infatti il velo azzurro che nell’iconografia sacra è indossato spesso dalla Madonna e tenendo le mani giunte come in preghiera; ii) l’identificazione blasfema è stata rivendicata dalle Femen sul rilievo che la simulazione dell’aborto era stata compiuta dalla “Santa Madre Eloïse che aveva abortito Gesù”; iii) la blasfemia è stata ripetuta con l’identificazione dei due pezzi di fegato di manzo con il feto di Gesù.
Lo slogan sul dorso nudo della Femen circa la cancellazione del Natale, fu ribadito pochi giorni dopo dalle Femen che, in un comunicato, sostenevano che il Natale è cancellato in tutto il mondo, dal Vaticano a Parigi, perché Gesù era stato abortito sull’altare della chiesa della Maddalena.
Gli slogan tatuati sul corpo nudo costituiscono espressioni di odio verso Nostro Signore Gesù Cristo e la Santa Vergine. La performance di Eloïse Bouton rappresenta l’assassinio di Gesù ancora nel ventre della madre allo scopo di cancellare universalmente il Natale dal mondo che egli è venuto a salvare, dispregiando l’altare sacro e vilipendendo Gesù stesso presente nel Tabernacolo.
La prestazione, compiuta alla presenza di fedeli cattolici in preghiera, aveva l’evidente scopo di provocare in loro dolore e turbamento. Ha avuto una ripercussione seriale sui media grazie alla sua organizzazione preventiva. Ha esteso l’offesa alla sensibilità religiosa di tutti i cristiani.
4. La violazione della libertà religiosa. – Il gesto di Eloïse Bouton e dei suoi complici vilipende non soltanto le cose sacre e le persone stesse di Gesù e di Maria, ma anche il diritto alla libertà religiosa dei fedeli cattolici, di quelli raccolti in preghiera il 20 dicembre 2013 nella chiesa di Parigi, ma anche di quelli viventi in ogni parte del mondo.
Il diritto penale francese, ormai spogliato di qualsiasi previsione che tuteli le confessioni religiose e la libertà di religione, non conosce alcuna norma diretta alla tutela della libertà religiosa, del tipo di quella prevista all’art. 404 del codice penale italiano (“Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose”), che il legislatore italiano ha introdotto nel 2006 nel codice in una prospettiva pluralistica a tutela dell’onorabilità di ogni confessione religiosa, del suo culto e delle cose destinate al culto (L. 24.02.2006, n. 85).
5.L’infrazione penale di “esibizione sessuale” – Il Procuratore Pubblico competente, su denuncia del Rettore della chiesa, si è pertanto avvalso, per corrispondere all’istanza di giustizia penale, dell’infrazione penale di “esibizione sessuale” contemplata all’art. 222-32 del codice penale, che punisce il fatto oggettivo di esibizione di parti sessuali del corpo in pubblico senza alcuna ragione giustificatrice.
6. I vari gradi del processo. – Il Tribunale correzionale ha condannato Eloïse Bouton alla pena della prigione per un mese con la sospensione della stessa e al risarcimento, a titolo di pregiudizio morale alla persona offesa nella misura di 2.000,00 Euro, oltre alla partecipazione nella misura di Euro 1.500,00 alle spese di procedura dalla stessa sopportate.
La Corte di Appello di Parigi, su gravame della militante Femen, ha confermato la sentenza di prime cure con motivazione che si riferisce nei punti essenziali:
i) l’elemento materiale del reato, non contestato dalla prevenuta stessa, è stato compiutamente integrato, in quanto la donna, entrata nella chiesa della “Madeleine” in compagnia dei giornalisti appositamente convocati, si è svestita avvicinandosi all’altare, esibendo il petto nudo e il dorso recante le iscrizioni già sopra menzionate. La donna, dopo essersi svestita, ha mimato l’aborto dell’embrione di Gesù, deponendo sull’altare un pezzo di fegato di manzo sanguinolento rappresentante un feto. I fatti sono stati commessi pubblicamente durante una prova del coro vocale della “Madeleine”, provocando l’intervento del maestro di cappella, che ha invitato fermamente la donna e i giornalisti che la accompagnavano a lasciare i luoghi;
ii) parimenti è stato integrato l’elemento morale di commettere l’illecito. La Corte ha preso atto che l’attivista ha giustificato la sua azione con il desiderio di denunciare le campagne contro l’aborto condotte dalla Chiesa cattolica nel mondo; ma ha osservato che, seppure la donna non abbia compiuto gesti osceni, ella ha però commesso la sua azione in un edificio religioso, in un luogo di preghiera e di raccoglimento, al cui ingresso è rammentato a chiunque l’obbligo di serbare un abbigliamento decente. Ha aggiunto ancora che l’evoluzione dei costumi e delle concezioni in materia di arte e di pudore non può giustificare l’uso dei seni come arma offensiva, come ha espressamente dichiarato di aver fatto Éloïse Bouton. Infine l’esibizione è stata imposta alla vista di persone non consenzienti in un luogo accessibile a tutti. Sull’elemento morale dell’infrazione la Corte ha concluso:
“Éloïse Bouton était consciente de la présence d’autrui, qu’elle avait d’ailleurs pour relayer utilement et efficacement l’information de ses agissements, tenu à se faire accompagner d’une dizaine de journalistes ; qu’elle a montré, ainsi qu’elle le reconnaît, et le rappellent tant l’avocat de la partie civile dans sa plaidoirie et ses écritures, que l’avocat général dans ses réquisitions, ses deux seins nus comme une arme, voulant par ailleurs offenser la pudeur d’autrui et notamment des catholiques, opposés à l’avortement et menant dans certains pays des campagnes anti-avortement” (p.10);
iii) sulla pretesa violazione della libertà di espressione, invocata ex art. 10 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo dalla militante Femen, la Corte di Appello ha ricordato che il comma 2 del medesimo articolo prevede che l’esercizio delle libertà di opinione e di espressione comporta dei doveri e delle responsabilità, dirette, tra l’altro, alla protezione della salute o della morale e alla protezione dei diritti altrui. In particolare è compito delle giurisdizioni conciliare:
“la liberté d’expression avec d’autres libertés d’égale valeur, telles que la liberté religieuse ; considérant, en l’espèce, que l’action menée au sein de l’église de la Madeleine, spécialement repérée pour l’occasion, a été réalisée par Éloïse Bouton dans le dessein assumé de “choquer”, par l’exhibition de ses seins, l’opinion publique et les fidèles catholiques et protester avec violence et brutalité contre les positions anti-avortement de l’Église catholique, l’intéressée n’hésitant pas à défier des individus de confession catholique dans l’une de leurs églises et en un lieu central, c’est-à-dire l’autel, qui renferme une pierre dans laquelle repose un morceau de relique d’un saint…” (ibidem).
La Corte d’Appello ha pertanto concluso che il gesto non era giustificato dall’art. 10 della Convenzione europea. Non era stata limitata la sua libertà di espressione, ma, al contrario, lei stessa aveva recato un grave attentato alla libertà di pensiero di altre persone e aveva violato la libertà religiosa in generale:
“les droits de la prévenue trouvent leur limite d’exercice au besoin social impérieux de protéger autrui de la vue dans un lieu de culte, d’une action exécutée dénudée que d’aucuns peuvent considérer comme choquante. L’action du ministère public était donc proportionnée au but légitime visé” (p. 11).
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della militante con pronuncia datata 9 gennaio 2019, ritenendo che la libertà di espressione della donna non era stata compressa in modo ingiustificato, poiché tale libertà deve conciliarsi con il diritto delle altre persone, riconosciuto dall’art. 9 della Convenzione europea, di non essere disturbate nella pratica della propria religione.
7. La pronuncia della Corte dei Diritti dell’Uomo. – La Corte europea, su ricorso di Eloïse Bouton, che denunciava la violazione dell’art. 10 della Convenzione, ha condannato la Repubblica francese a versare alla ricorrente 2.000,00 a titolo di ammenda per il danno morale procuratole dalla violazione della norma convenzionale.
La condanna penale sarebbe stata una ingerenza indebita del potere pubblico nell’esercizio del suo diritto di libertà, non ricorrendo i motivi legittimi di ingerenza previsti al co. 2 dell’art. 10: cioè la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, ovvero la protezione dei diritti e delle libertà di altre persone.
8. La motivazione della pronuncia. – L’argomentazione della Corte è confusa e contraddittoria, tale da viziare gravemente la validità giuridica della sentenza.
Invero, dopo aver osservato che l’ingerenza pubblica deve essere valutata alla luce dell’insieme della vicenda, dei motivi invocati per giustificarla e dello scopo perseguito dal soggetto, ha iniziato il suo discorso denunciando la natura e la pesantezza della pena inflitta alla donna. La pena ammontava a un mese di reclusione con la sospensione dell’esecuzione. E’ evidente che l’argomento ha inteso pretestuosamente delegittimare l’operato dell’autorità giudiziaria per una presunta – ma insussistente – severità.
Per sottolineare la pretesa irragionevolezza della pena, la Corte ha dichiarato che la prigione è ammissibile soltanto allorché siano offesi i diritti fondamentali tramite discorsi di odio o di incitamento alla violenza.
Con ciò ha omesso la Corte di considerare che la performance della militante Femen integrava qualcosa di più grave di un semplice discorso di odio.
La trama scenica, allestita in un contesto osceno (l’uso dei seni come arma), accompagnati dalla manipolazione dei pezzi di fegato di manzo rappresentanti il corpo assassinato di Gesù, è intrisa di odio barbaro verso la religione cristiana.
E’ evidente che l’obiettivo della rappresentazione era di nuocere alla onorabilità e alla credibilità della religione eccitando reazioni di disprezzo verso la Chiesa cattolica in quella parte di popolazione che ritiene che l’aborto sia un “diritto”.
La Corte, poi, non ha valutato affatto l’episodio nel suo insieme, come affettatamente ha scritto in apertura della motivazione. Infatti, neppure una parola ha speso sulle perverse blasfemie compiute: la grottesca incoronazione di spine, la simulazione dell’uccisione di Gesù, la sua sostituzione con le interiora di un animale, la posizione assunta dalla donna davanti all’altare, le braccia in croce, il velo azzurro sui capelli.
Nel singolare rifiuto di prendere in esame l’oggettività del fatto e le sue inequivoche implicazioni simboliche, la Corte di Strasburgo ha esaltato lo scopo soggettivo addotto a posteriori dalla militante Femen, come se i motivi soggettivi, contro la giurisprudenza costante di ogni paese, potessero cancellare l’oggettività illecita degli atti. La messa in scena, organizzata secondo le modalità tipiche del movimento Femen aveva
en effet pour but de véhiculer, dans un lieu de culte symbolique, un message relatif à un débat public et sociétal portant sur le positionnement de l’Église catholique sur une question sensible et controversée, à savoir le droit des femmes à disposer librement de leur corps, y compris celui de recourir à l’avortement (p. 48).
Contro la metodologia usuale di interpretazione del diritto la Corte ha sostituito alla doverosa considerazione del fine dell’atto oggettivamente inerente alle cose stesse (il vilipendio della religione cristiana con esibizione della nudità) l’apprezzamento del motivo soggettivo che avrebbe ispirato la condotta della donna.
9. Sul bilanciamento del diritto alla libera espressione con i diritti di tutti i cittadini alla protezione dei diritti e delle libertà personali. – La Corte si è posta il problema del bilanciamento tra la libertà di pensiero e la libertà della sua espressione, statuiti dagli artt. 9, co. 1 e 10 co. 1 della Convenzione, e i limiti che la Convenzione stessa pone a tali libertà negli stessi artt. 9 co. 2 e 10 co. 2 (p. 63).
La Corte ha eluso tuttavia subdolamente di svolgere direttamente il bilanciamento, che non avrebbe potuto che sfociare logicamente nella prevalenza dei diritti dei terzi e, in particolare, dei fedeli cattolici, di vedere rispettata la propria religione nei suoi fondamenti più intimi.
Il giudice europeo si è sottratto a tale ineludibile compito portando un attacco alla giurisdizione interna francese, che non avrebbe effettuato correttamente il bilanciamento in questione. L’asserto è falso. La Corte di Appello non aveva fatto per nulla astrazione dalle dichiarazioni esplicative di Eloïse Bouton. Con l’artificio di scaricare sul giudice interno un inesistente vizio di motivazione la Corte europea ha motivato così la condanna dello Stato francese. Ha sostenuto infatti che il giudice interno si sarebbe limitato
à examiner la question de la nudité de sa poitrine dans un lieu de culte, isolément de la performance globale dans laquelle elle s’inscrivait sans prendre en considération, dans la balance des intérêts en présence, le sens donné à son comportement par la requérante. En particulier, les juridictions internes ont refusé de tenir compte de la signification des inscriptions figurant sur le torse et le dos de la requérante, qui portaient un message féministe en référence au manifeste pro-avortement de 1971 dit «manifeste des 343 salopes» (p. 64).
Poiché i giudici interni non avrebbero bilanciato gli interessi contrastanti in maniera adeguata, avrebbero pronunciato una condanna illegittima a una pena sproporzionata rispetto agli scopi legittimi previsti dalla legge. La Corte ha concluso pertanto che la Francia ha violato l’art. 10 della Convenzione, poiché ha condannato Eloïse Bouton a una pena esorbitante rispetto alle necessità proprie di una società democratica (pp. 66 e 67).
10. La sentenza della Corte europea è inequivocabilmente contra ius: pertanto è illegittima e iniqua. – La semplice descrizione dei fatti mostra all’evidenza che l’esibizione della militante Femen era oggettivamente e soggettivamente antigiuridica secondo la legge penale francese, nonché intrisa d’odio contro la religione cattolica. La motivazione della pronuncia è illogica e contraddittoria; rivela la totale assenza di rispetto per i diritti umani delle persone offese – in specie i fedeli presenti nella chiesa della “Madeleine” e tutti fedeli cattolici sparsi nel mondo – ed appare quasi derisoria verso tutti coloro che in Europa si attendono pronunce giurisdizionali secondo verità e conformi alla legge legittimamente vigente.
Mauro Ronco