Si è svolta a Lecce, nei giorni 12-14 novembre 2025, la III edizione del Convegno “La Giustizia al servizio del Paese”, organizzato dalla Corte dei conti e dedicato al tema “La prevedibilità delle decisioni”. Pubblichiamo di seguito alcuni passaggi dell’introduzione alla prima sessione sul tema “La prevedibilità delle decisioni” del prof. Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale nell’Università Europea di Roma.
Grazie al Presidente Carlino e ai colleghi del Consiglio di Presidenza per l’invito a parlare quest’oggi.
Al centro di questa sessione ci sono quattro problematiche: anzitutto, la prevedibilità delle decisioni; poi, la certezza del diritto; la nomofilachia; infine, il libero convincimento di ciascun giudice.
In questa rapida introduzione partirei dalla certezza del diritto. Capograssi parlava della certezza come “eticità ed essenza specifica del diritto” (Flavio Lopez de Oñate, in F. Lopez de Oñate, La certezza del diritto, Milano, 1968, 10). Si tratta di una verità elementare, che è confermata anche dalla storia. Pensiamo al Diritto romano, alle XII Tavole e all’innovazione da esse apportata. La certezza ha una innegabile funzione garantista sia nei confronti della isonomia, sia nei confronti dei diritti della persona, come sentiremo dalle relazioni delle colleghe.
Per garantire la certezza, la nomofilachia è uno strumento importantissimo. È noto che la Costituzione accenna solo ad alcune delle funzioni della Cassazione, ma, nonostante la contrarietà dell’Assemblea Costituente a un richiamo espresso alla nomofilachia in Costituzione, si può però ben ritenere che quest’ultima, come avviene in altre disposizioni, ad esempio sul matrimonio e sulla famiglia, abbia fatto ricorso, quanto alla Suprema Corte, ad una nozione giuridica presupposta. Essa si impone al rispetto del legislatore e ricomprende nel suo nucleo essenziale la funzione nomofilattica della Cassazione, affidandosi anzitutto ai privati, per la giurisdizione ordinaria, il potere di sottoporre a verifica l’effettiva soggezione del giudice alla legge.
In questo modo si salvaguarda la primazia della legge e non c’è spazio per precedenti vincolanti, che risultino dall’applicazione della legge ad altri soggetti o ad altri fatti. Rispetto ad essi, c’è il problema, infatti, della esclusiva soggezione del giudice alla legge, garantita dall’art. 101 Cost.
La nomofilachia, a sua volta, assicura la prevedibilità delle decisioni. Quest’ultima vuol dire controllabilità. Anche per tale profilo trova applicazione la “grande regola dello Stato di diritto”, il principio di legalità. Ma controllabilità o misurabilità rispetto a cosa? Qui è evidente che in un sistema come il nostro, in cui la sovranità appartiene al popolo, con una Costituzione costellata da riserve di legge, è il popolo, tramite i propri rappresentanti, a dettare la disciplina regolativa dei diritti.
Da tale disciplina, dunque, è integrato il parametro di riferimento, garantendosi così che le sentenze siano adottate “in nome del popolo italiano”.
Questo modello chiarissimo, cartesiano, è però posto in crisi da una molteplicità di fattori. Io invece vorrei richiamare l’attenzione soltanto su un profilo: la confusione tra nomopoiesi e applicazione della legge. Ricordo a questo proposito la bella critica di Rosario Livatino. In uno dei pochi scritti che ci ha lasciato, di fronte all’idea che vuole esaltare il potere d’interpretare la legge per tracciare un nuovo rapporto tra giudice ed evoluzione della società, Livatino ricordava che il giudice “altro non è che un dipendente dello Stato, al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi, che quella società si dà attraverso le proprie istituzioni”. In sostanza, Livatino diceva che è il giudice che deve piegare “le proprie convinzioni alla legge e non questa a quelle” (R. Livatino, Il ruolo del Giudice nella società che cambia, Conferenza tenuta dal giudice Rosario Livatino il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì).
L’immagine del giudice funzionario, però, è stata messa in crisi in nome delle esigenze di giustizia sostanziale sottesa al caso concreto. Si è, invece, affermata l’idea che esista un’alternativa tra certezza e giustizia sostanziale e che, per garantire la seconda, la prima debba cedere il passo. Mirabili sono le riflessioni a questo proposito del professor Luciani (M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023).
Questo fenomeno però finisce per introdurre nel sistema due spinte contrastanti. L’una mina la certezza del diritto e la prevedibilità delle decisioni, portando l’interprete a forzare il tenore delle disposizioni. L’altra, proprio per il carattere creativo assunto dalla giurisprudenza, conduce invece a dare stabilità alle soluzioni individuate, trasformando la nomofilachia da strumento per espungere le interpretazioni sbagliate o creative a mezzo per imporre queste ultime nei confronti dei giudici comuni.
Di fronte a questa prospettiva, a me sembra opportuno ribadire l’idea che il giudice, quando non è persuaso dei risultati che ha raggiunto attraverso l’interpretazione “tradizionale”, guidata dall’idea di dover applicare la legge, ha una facile e immediata soluzione, che è rappresentata dall’attivazione del controllo di costituzionalità. In sostanza, se la legge per il giudice determina risultati ingiusti, l’unica strada perseguibile è quella del controllo della Consulta.
Attraverso una sapiente e più frequente attivazione del controllo di costituzionalità, le esigenze di giustizia sostanziale richieste dal caso concreto possono trovare soddisfazione senza sacrificare la certezza del diritto e la prevedibilità delle decisioni.
È ovvio che il problema si sposta sul giudice costituzionale. Però, il ricorso al sindacato incidentale, sempre che ovviamente il giudice delle leggi eviti le derive delle “rime sciolte” e ritorni a un ruolo più attento alle esigenze della rappresentanza, costituisce lo strumento principale per tenere insieme giustizia del caso concreto, certezza del diritto, prevedibilità delle decisioni, facendo venire meno la necessità di trasformare la nomofilachia da strumento per garantire la corretta interpretazione della legge a mezzo per contribuire a creare diritto.
Filippo Vari