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Pubblichiamo il commento dell’avv. Vincenzina Maio, del foro di Salerno, alla sentenza della Corte di Cassazione n. 8097 / 2015, già comparsa su questo sito qualche giorno fa. L’avv. Maio spiega come la sentenza della Cassazione tragga spunto dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 170/2014, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. 164/1982, con riferimento all’art. 2 Cost., non quanto al meccanismo di caducazione del vincolo matrimoniale in presenza di sentenza di rettificazione di sesso, bensì “nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione consenta, comunque, ove richiesto, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima”. La decisione della Consulta, pure a suo tempo qui pubblicata, ribadiva in modo chiaro che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente” nell’art. 29, e contenuta anche nel codice civile, stabilisce che i coniugi debbano essere persone di sesso diverso.

E’ possibile per due coniugi rimanere sposati anche se uno di loro cambia sesso? No, non è possibile, ostandovi il necessario presupposto della diversità sessuale per la permanenza del vincolo matrimoniale.

Così ha  statuito il legislatore nella legge 164/1982 (cd. legge sul transessualismo), prevedendo che la sentenza di rettificazione del sesso debba contenere l’ordine all’Ufficiale di stato civile del comune dove e’ stato compilato l’atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro e  costituire essa stessa motivo  di scioglimento automatico del vincolo matrimoniale, da annotare nell’atto di matrimonio.

Il quadro normativo non è  mutato né con la introduzione della legge sul divorzio, atteso che l’art. 3 della l. n. 898/1970 ha inserito la rettificazione legale del sesso tra i motivi per cui è possibile richiedere la separazione, né con l’intervento legislativo operato con il d.lgs. n. 150/2011 che anzi ha rafforzato gli effetti caducativi ipso iure  della sentenza di cambio del sesso sul vincolo matrimoniale, sostituendo al verbo “provoca” il più incisivo “determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso”.

Epperò, dove non arriva il legislatore è facile e piuttosto frequente  che arrivi una sentenza.

Così è accaduto nella vicenda dei coniugi emiliani,  in cui il marito transessuale aveva ottenuto la rettificazione di attribuzione di sesso. Come previsto dalla legge, nella sentenza veniva  ordinato all’ufficiale di stato civile di provvedere alla modifica dell’atto di nascita in conformità alla sentenza e la rettifica veniva  annotata anche a margine dell’atto di matrimonio con la specificazione dell’intervenuta cessazione degli effetti civili del matrimonio. Sennonché le due donne  proponevano ricorso al Tribunale avverso l’annotazione dello scioglimento del matrimonio, ritenendola illegittima. Il Tribunale accoglieva il ricorso mentre la Corte di Appello, adìta dal Ministero dell’Interno,  capovolgeva la decisione respingendo la domanda. Le due donne proponevano, allora,  ricorso per cassazione. La Suprema Corte riteneva di sollevare questione di legittimità costituzionale degli  artt. 2 e 4 l. n. 164 del 1982, in relazione agli  artt. 2, 3, 24 e 29 della Costituzione,  nella parte in cui dispongono che la sentenza di rettificazione e di attribuzione di sesso provochi l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio (o lo scioglimento del medesimo) senza la necessità di una pronuncia giudiziale, nonché nella parte in cui dispongono la notificazione del ricorso per rettificazione di sesso anche all’altro coniuge senza riconoscere a quest’ultimo il diritto di opporsi allo scioglimento del vincolo coniugale. Assumeva, altresì, la violazione dell’art. 3 Cost per la disparità di regime sussistente tra tale ipotesi di scioglimento automatico e le altre ipotesi indicate nella legge sul divorzio.

La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 170 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. n. 164 del 1982, con riferimento all’art. 2 Cost,  non in riferimento al meccanismo caducativo del vincolo matrimoniale in presenza di sentenza di rettificazione del sesso, bensì  nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso consenta, comunque, ove richiesto, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima.

Tornata  all’attenzione  della Corte di Cassazione, la vicenda viene decisa dichiarando  illegittima l’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio apposta a margine dell’atto di matrimonio delle ricorrenti e le successive annotazioni , con conseguente ordine di  cancellazione.

In buona sostanza, la Corte, così statuendo,  mantiene il vincolo coniugale tra le due donne legittimando per via giudiziale  la presenza nell’ordinamento  di un matrimonio  tra persone dello stesso sesso.

Leggendo la sentenza  si ha l’impressione che la Corte utilizzi argomentazioni prevalentemente  giustificative  di una decisione che viene presentata come necessario derivato  della sentenza 170/2014 della Corte Costituzionale, della quale   però non interpreta fedelmente né i contenuti né la ratio iuris.

Infatti, i passaggi principali della sentenza della Consulta fanno leva sulla impossibilità  di utilizzare l’art. 29 come parametro di riferimento nella valutazione della questione atteso che «la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente”, e contenuta anche nel codice civile, stabilisce che i coniugi debbano essere persone di sesso diverso (parimenti aveva ribadito la Consulta nella sentenza 138 del 2010).

Su tali solide basi precisa che la rettificazione legale di sesso di uno dei due coniugi implica che  “la loro vita di coppia, si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio — che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale”.

E’ fortemente significativo – e suona come  un preciso mònito per il legislatore  –  che la Corte, riferendosi al matrimonio,  utilizzi il concetto di nozione presupposta dal Costituente  perché, così facendo, esplicita la diversità sessuale come fondamento giuridico del matrimonio e ne fa derivare un valore normativo ben preciso per l’ordinamento. In tale contesto, infatti,  l’art. 29 Cost. è riferito solo alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, con esclusione di  altre forme di convivenza sessuata, segnatamente di quelle tra persone dello stesso sesso. In tal caso, secondo la Consulta  il parametro di riferimento è costituito dall’art. 2 Cost., alla luce del quale il  legislatore potrebbe  disciplinare in modi diversi  l’unione regolata di persone delle stesso sesso, escludendo chiaramente che tale esito possa avvenire “attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio”.  Arrivando ad esaminare la sopravvenuta eguaglianza di sesso, la Corte individua una contrapposizione di interessi :  «da un lato, l’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio […] e, dall’altro lato, l’interesse della coppia […] a che l’esercizio della libertà di scelta compiuta dall’un coniuge con il consenso dell’altro […] non sia eccessivamente penalizzato con il sacrificio integrale della dimensione giuridica del preesistente rapporto». Poiché, secondo la Corte, l’attuale quadro normativo, tutela esclusivamente l’interesse dello Stato «alla non modificazione dei caratteri fondamentali dell’istituto del matrimonio», risulterebbe sacrificata la protezione di quella «“forma di comunità”, connotata dalla “stabile convivenza tra due persone”, “idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione” .

Tuttavia, da queste premesse la Consulta non fa discendere l’incostituzionalità degli artt. 2 e 4 l. 164/82,  perché «ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29 Cost.». Si limita, perciò, a prevedere un principio indirizzato al legislatore, piuttosto che a quei giudici che si troveranno in concreto a decidere casi simili, richiamandolo «con la massima sollecitudine» a provvedere ad introdurre una disciplina che regoli la possibilità di far proseguire il matrimonio in «una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta indeterminatezza»

La sentenza della Corte Costituzionale non è scevra da critiche, soprattutto nel volersi porre come momento di accelerazione delle scelte legislative. Però le si deve riconoscere  la  volontà di evitare in modo assoluto la prosecuzione del vincolo matrimoniale in presenza del cambio di sesso di uno dei coniugi, a fronte della quale  la Corte di Cassazione va, invece,  in senso diametralmente opposto.

Infatti, dichiarando illegittima l’annotazione  di cessazione degli effetti civili del matrimonio apposta a margine dell’atto di matrimonio delle due donne ricorrenti e disponendone  la cancellazione, non solo vìola l’art. 4 l. 164/1982 che prevede la caducazione del vincolo matrimoniale per effetto del mutamento di sesso, non solo deforma il pensiero della Corte Costituzionale mantenendo in vita il vincolo matrimoniale tra due persone divenute dello sesso anagrafico in palese contrasto con l’art. 29 Cost., ma addirittura  introduce il matrimonio sottoposto a «condizione risolutiva» in attesa che entri in vigore la legge  a tutela “dell’unione e del vissuto della coppia”.

In altri termini, ha pensato di risolvere  la situazione interpretando la sentenza della Corte costituzionale come se la stessa avesse dichiarato (ma non lo ha fatto) che il  meccanismo di caducazione automatica del vincolo matrimoniale sia produttivo di effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l’unione conseguente alla rettificazione di sesso di uno dei componenti deve conservare ex art. 2 Cost..

L’assunto non pare corretto dal momento che  la  richiesta protezione può discendere solo da valutazioni affidate al Parlamento siccome rappresentativo della volontà popolare.

Si scorge in questa pronuncia un evidente pericolo di utilizzo delle sentenze come strumento di pressione politica.

E si riscontra anche  la palese violazione dell’attuale assetto ordinamentale, che la sentenza costituzionale 170/2014 non ha mutato,  incentrato sulla deduzione dell’automatico scioglimento del matrimonio in caso di cambio del sesso di uno dei coniugi , con conseguente  contrasto  dell’identità del sesso coi principi fondamentali dell’ordinamento (si pensi, ad esempio, all’art. 5 comma 1° lett. a DPR 396/2000  che impone all’ufficiale di stato civile di aggiornare gli atti in ossequio al sistema unico integrato dello Stato Civile in cui non possono darsi atti relativi alla stessa persona che non si corrispondano).

Negare lo scioglimento automatico del vincolo coniugale, come ha fatto la Cassazione,  significa ammettere, per via giudiziale ed invadendo un campo decisamente riservato al potere legislativo, la possibilità che sopravviva per un certo periodo di tempo il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Ma questo è estraneo all’ordinamento, il quale vuole la diversità sessuale dei coniugi come requisito immancabile del matrimonio.

 

 

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