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Conviene che gli ipereuropeisti frenino l’entusiasmo sulla decisione della Corte costituzionale tedesca di rigetto del ricorso che puntava a far dichiarare l’illegittimità del Recovery plan: oltre a presentare profili di carattere politico, che in quanto tali hanno meno stabilità rispetto a quelli più propriamente giuridici, la sentenza non esclude successivi interventi, in presenza di un Piano che in questo momento ha più incognite che certezze.

1. La ulteriore, ma non ultima, puntata (per la precedente: www.centrostudilivatino.it/corte-cost-tedesca-a-rischio-il-recovery-plan-per-lintera-ue/) del serial avente quali protagonisti la Corte costituzionale tedesca e l’Unione Europea, sulla legge tedesca di approvazione del PNRR-Piano Nazionale di Resilienza e Ricostruzione, inizialmente sospesa nella sua ratifica, è andata in onda il 21 aprile scorso con la notizia dell’apparente rigetto del ricorso dei “Bündnis Bürgerwille”, l’Alleanza dei Cittadini volenterosi, che chiedeva la declaratoria di illegittimità costituzionale del Next EU Generation Plan, altrimenti noto come Recovery Plan: il programma di aiuti europei che la Commissione UE ha approvato per contrastare le conseguenze economiche e sociali della crisi indotta dalla pandemia CoVid19 e dalle restrizioni contro la diffusione del contagio.

Alla iniziale preoccupazione di blocco della operatività dei primi flussi finanziari sin dal prossimo luglio, è dunque seguito un sospiro di sollievo, levatosi da più parti: da Bruxelles, oltre all’ovvio ma misurato plauso di Ursula von del Leyen, il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha così gioito: “La decisione della Corte costituzionale tedesca è importante in Germania ed è un grande passo avanti sulla strada del piano europeo di Recovery”.

La Vicepresidente italiana della commissione Esteri, la senatrice Laura Garavini, affiancata dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna (che a sua volta ha parlato di “una buona notizia per tutti i cittadini europei, perché rimuove l’ultimo ostacolo alla partenza della più grande iniziativa di sostegno e rilancio dell’economia continentale dal dopoguerra ad oggi”), si è spinta ad affermare: “L’Europa è più forte. La decisione di mettere in comune il debito dei paesi europei non ha segnato solo la creazione del Recovery Fund. Ma ha rappresentato un punto di svolta per la storia dell’Europa. Perché ha rimarcato un valore fondante dell’Unione. Quello della solidarietà e della condivisione. Bocciando i ricorsi contro la ratifica interna del Recovery Plan presentati dalla peggiore destra tedesca collegata all’Afd, la Corte Costituzionale tedesca ha imposto un argine a coloro che volevano mettere in discussione questo principio. Con il loro pronunciamento i giudici di Karlsruhe rimuovono l’ultimo ostacolo sulla strada del piano da 750 miliardi di euro varato dall’Ue. La decisione della Consulta tedesca conferma quindi la validità anche normativa del Recovery. E mette un ulteriore tassello sul percorso del cammino di rinascita condiviso”.

2. È davvero così? Ancora una volta il wishful thinking sembra avere alterato la realtà. Infatti da un lato la Corte di Karlsruhe col provvedimento del 21 aprile ha rimosso l’ostacolo alla ratifica del PNRR tedesco, come si poteva temere con il Hangebescluss, una sorta di predecisione cautelare, del 26 marzo scorso, e ha dichiarato di non acconsentire alla richiesta, appunto cautelare, di sospensione dell’efficacia della legge: “Il procedimento non è palesemente infondato, ma da un esame sommario si è stabilito che non vi sia un’alta probabilità di rilevare l’incostituzionalità del Recovery Fund”, si legge sul sito della BVerfG. Dall’altro ha precisato che l’esame costituzionale è destinato a proseguire in quanto “dovrà essere chiarito nel procedimento principale” se la legge sulle Risorse proprie tenga conto dell’autonomia di bilancio del Bundestag-il Parlamento tedesco, e se il Recovery Plan “istituisce meccanismi permanenti che equivalgono ad un’assunzione di responsabilità per decisioni prese da altri Stati, se possono sorgere obblighi” di bilancio, “e se è garantito che vi sia un’influenza parlamentare sufficiente sul modo in cui vengono gestiti i fondi messi a  disposizione”.

Quindi alla decisione di non decidere, più politica che giuridica (“differire l’entrata in vigore della Decisione porrebbe una significativa tensione sulle relazioni straniere ed europee. All’opposto, gli svantaggi che sorgerebbero se non fosse assunta l’ingiunzione preliminare ma l’atto di ratifica domestico sulla Decisione sulle Risorse Proprie 2020 fosse più avanti ritenuto incostituzionale, comportano significativamente un minor peso”!), la Corte affianca l’espressa riserva di verificare se al Recovery “si applicano i limiti per quanto riguarda il volume, la durata e lo scopo dei prestiti per i quali la Commissione europea è autorizzata, nonché per quanto riguarda le possibili passività sostenute dalla Germania. Inoltre, i fondi in questione devono essere utilizzati esclusivamente per affrontare le conseguenze della crisi del Covid-19”.

3. In altri termini, la Corte delle leggi tedesca non rinuncia ad affermare la sua legittimazione al controllo del rispetto dei princìpi di attribuzione (Ultra-vires Kontrol) e di quello della lesione di fondamentali principi della Costituzione tedesca (Verfassungsidentitat Kontrol), ma ne rinvia la verifica per relazione alla ORD-Decisione sulle Risorse Proprie, adottata dal Consiglio europeo il 14 dicembre 2020.

A sua volta, la ORD trova la sua base giuridica nell’art. 311 del TFUE-Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che stabilisce al comma 1 che l’Unione si dota dei mezzi necessari ai suoi fini, e al comma 2 prevede che il bilancio dell’Unione, fatte salve altre entrate, si finanzia integralmente con risorse proprie; al comma 3 regola la procedura per l’adozione e l’entrata in vigore della Decisione, prevedendo che non basta l’approvazione unanime del Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo, ma è altresì necessaria la ratifica di tutti gli Stati membri secondo le rispettive regole interne: è appunto il caso della legge tedesca, la cui ratifica era stata inizialmente sospesa da Karlsruhe. Tutto ciò premesso,  nel caso in esame, la Ord sarebbe andata al di là delle attribuzioni conferite dall’art. 311 TFUE, in quanto questa norma autorizzerebbe il Consiglio a decidere unicamente in ordine a risorse proprie: tali non sarebbero quelle che derivano dal ricavato dei prestiti obbligazionari dell’Unione, da considerarsi risorse altrui; pertanto non si dovrebbe fare confusione fra Eigenmittel (consentite) e Fremdenmittel (vietate). Sarebbe inoltre compromesso il diritto sovrano del Parlamento tedesco sul bilancio nazionale, esposto a passività decise autonomamente dalla Commissione europea, da cui potrebbero derivare aggravi per i contribuenti tedeschi: da ciò la lamentata lesione dell’identità costituzionale del Paese.

In conclusione, qualora il Recovery fosse un atto illegittimo sotto tali, anche distinti e alternativi profili, “esiste la possibilità che la Corte di Giustizia dell’Unione europea – deferita dalla Corte costituzionale federale ai sensi dell’articolo 267 TFUE – dichiari la legge sul Recovery nulla” e che “il governo federale, il Bundestag ed il Bundesrat dovrebbero prendere le misure a loro disposizione per ripristinare l’ordine costituzionale”: è appena il caso di osservare che sia l’Esecutivo che il Parlamento tedeschi attendono di essere rinnovati all’esito delle prossime elezioni del 26 settembre, i cui risultati potrebbero portare a rilevanti cambiamenti, al di là della già sicura sostituzione del Cancellierato, a causa della rinuncia di Angela Merkel.

4. Siano, da ultimo, consentite due osservazioni di natura più strettamente politica, anche italiana, e un corollario.

Quest’ultimo è che, pur se per evidente eterogenesi dei fini, va plaudito, in un contesto in cui i giudici tendono a sostituirsi alle istanze politiche nel governo della cosa pubblica, il self restraint della Corte costituzionale tedesca rispetto alle possibili conseguenze di una sua pronuncia negativa sugli equilibri politici europei.

La prima osservazione riguarda la falsa rappresentazione che i soldi del Recovery Plan siano già lì, a portata di mano, pronti ad essere afferrati e non – come nel caso della buca di Pinocchio – allo stato …inesistenti, in quanto soggetti non solo all’abilità nazionale di programmazione esecutività e realizzazione dei progetti, solo la cui rendicontazione, peraltro poliennale, ne consentirebbe la erogazione, ma anche, e prima, alla capacità di impegno finanziario a livello europeo, che non è da dare per scontata.

La seconda riguarda – e tale profilo è più incidente in termini di valenza politica generale -, la volontà di modificare gli assetti ordinamentali della UE, e in particolare il rapporto fra le attribuzioni e le competenze degli organi direttivi dell’Unione rispetto agli Stati membri, senza formalmente mettere mano alla modifica dei Trattati; anzi, nel sostanziale silenzio imposto anche agli organi legislativi nazionali, i Parlamenti, che sono ancora, almeno in ambito europeo, i rappresentanti esclusivi della volontà del popolo sovrano, pur se non sempre ne mostrano piena consapevolezza (ogni riferimento a quello italiano è voluto).

Chi dunque invoca e programma, in spregio a tali elementari procedure di controllo democratico e di sovranità nazionale, la necessità che la UE abbia legittimazione non solo in punto di politica monetaria, peraltro i soli Paesi dell’Eurogruppo, ma più in generale anche fiscale ed economica, dovrebbe essere chiamato a rendere conto degli effetti sulle future generazioni che l’indebitamento dei programmi della BCE, di immissione monetaria di liquidità del tutto sganciata dai fondamentali economici, inevitabilmente avrà nei prossimi anni: da chi e come verranno pagate le obbligazioni contratte oggi?  

Renato Veneruso

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