La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, organo dell’Unione Europea, con sede in Lussemburgo, le cui pronunzie, a differenza di quelle della Corte di Strasburgo, sono immediatamente vincolanti per i giudici nazionali, finora non si è discostata da alcuni punti fermi.
In primo luogo, ha chiarito che “ (…) come recita il considerando 22 della direttiva 2000/78, la legislazione in materia di stato civile delle persone rientra nella competenza degli Stati membri” (causa C-267/12, Frédéric Hay contro Crédit agricole mutuel de Charente-Maritime et des Deux-Sèvres). Pertanto, l’Unione Europea e, conseguentemente, la Corte di Giustizia non possono sindacare le scelte del legislatore nazionale in tema di matrimonio e convivenze.
La Corte è stata adita dai giudici nazionali per valutare la conformità del diritto interno ai principi della direttiva 2000/78, che censura le discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro.
Intervenendo sulle questioni concernenti il riconoscimento dell’assegno di famiglia (cause riunite C-122/99P e C-125/99/P, Svezia vs Consiglio), la pensione di reversibilità al convivente superstite (causa C-267/06, Tadao Maruko vs Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen), e, da ultimo, i congedi retribuiti ed i premi per i lavoratori che contraggono matrimonio, i giudici comunitari hanno ritenuto che la disparità di trattamento in ragione del sesso non va valutata in astratto, con riferimento al mero dato che un ordinamento non consenta alle persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, bensì in concreto; e ciò è possibile allorquando un ordinamento, accanto al matrimonio, riconosca forme alternative di convivenza, aperte anche a persone dello stesso sesso.
Pronunciandosi, in particolare, in una causa (C-267/12, Frédéric Hay contro Crédit agricole mutuel de Charente-Maritime et des Deux-Sèvres) promossa da due persone dello stesso sesso che, avendo concluso un patto civile di convivenza secondo il diritto francese, reclamavano il riconoscimento al congedo e al premio previsti dal contratto collettivo esclusivamente per i lavoratori che contraevano matrimonio, denunciando la disparità di trattamento, essendo tali benefici riservati ai lavoratori di sesso diverso uniti in matrimonio, la Corte enuncia i seguenti principi:
- “(…) il PACS, costituisce, al pari del matrimonio, una forma di unione civile di diritto francese, che pone la coppia in un contesto giuridico preciso, fonte di diritti e di obblighi reciproci e verso terzi. (…)
- “(…) relativamente ai benefici (…), concessi in occasione della conclusione dell’unione civile del matrimonio, le persone del medesimo sesso che, non potendo contrarre matrimonio, stipulano un PACS, si trovano in una situazione analoga a quella delle coppie che si sposano. (…)”
- “(…)una normativa di uno Stato membro che conferisca benefici in termini di retribuzione o di condizioni di lavoro unicamente ai lavoratori sposati, mentre il matrimonio è legalmente possibile nel medesimo Stato membro solo tra persone di sesso diverso, crea una discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale nei confronti dei lavoratori dipendenti omossessuali uniti in un PACS che versino in una situazione analoga. (…)”.
Combinando quanto riconosciuto dalla Corte con riferimento alla intangibilità delle competenze del legislatore nazionale in materia di stato civile con i principi da ultimo esposti, il risultato non è di poca importanza.
Infatti, se un ordinamento nazionale non introduce alcun riconoscimento di unioni di fatto, non si dà proprio il presupposto perché si possa discutere di violazione del diritto comunitario in relazione a normative che riservino determinati diritti ai coniugi di sesso diverso uniti in matrimonio.