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Su richiesta della Corte di Cassazione francese i giudici della Corte EDU sono stati chiamati, per la prima volta, a pronunciarsi sulla richiesta di parere preventivo proposto in base al nuovo Protocollo n. 16 alla Convenzione EDU, entrato in vigore ad agosto del 2018. Si tratta di un parere non vincolante, neppure con riferimento al caso giudiziario dal quale è scaturita la richiesta di parere alla Corte di Strasburgo; né tale parere può avere la stessa efficacia giurisprudenziale delle sentenze della Corte Edu, che, come è noto, costituisce il diritto vivente della Convenzione dei diritti dell’uomo, al di là della risoluzione del singolo ricorso. Ciò non di meno, il parere può certamente orientare a livello interpretativo l’autorità politica e gli organi giudiziari dei Paesi aderenti alla Convenzione. Va sul punto precisato che l’Italia, dopo aver sottoscritto il “Protocollo 16”, non ha ancora provveduto a ratificare con legge tale accordo internazionale – essendovi non poche perplessità sulle sue ricadute -, per cui i giudici italiani non possono al momento avvalersi dello strumento della richiesta di parere preventivo non vincolante.

Il caso in questione è di particolare importanza perché riguarda il tema, controverso anche in Italia (si è in attesa del deposito di una pronuncia delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione), della trascrizione degli atti di nascita formati in Paese dove è possibile praticare la maternità surrogata, vietata in Italia (e pure in Francia), anche con sanzione penale, per il grave disvalore che tale pratica provoca alla dignità delle donne: di chi si presta a mettere a disposizione l’ovulo e di chi effettua una gestazione per altri, in entrambi i segmenti della procedura di regola a fronte di un corrispettivo in denaro.

Nel caso oggetto del procedimento giudiziario avanti alla Cassazione francese, da cui la richiesta di parere alla Corte di Strasburgo, il bambino era nato all’estero attraverso un accordo di maternità surrogata, su richiesta di una coppia eterosessuale, ed era stato concepito utilizzando i gameti del padre biologico e di una donatrice terza; peraltro la relazione giuridica genitore-figlio con il padre biologico era stata già riconosciuta nel diritto interno. Rimaneva invece controverso il riconoscimento formale, tramite trascrizione dell’atto di nascita formatosi all’estero, della relazione di filiazione tra il minore e la madre cosiddetta intenzionale, indicata nel predetto atto di nascita secondo la lex loci. Tale preteso riconoscimento secondo i ricorrenti troverebbe tutela nell’art. 8 della Convenzione, ossia nella specie il diritto al rispetto della vita privata del bambino.

I giudici di Strasburgo hanno stabilito con il parere (Corte europea diritti dell’uomo, Opinion 10 aprile 2019 (n. 28932/14) quanto segue: 1. il diritto del minore al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione EDU richiede che la legge nazionale preveda la possibilità di riconoscimento della relazione giuridica con il “genitore sociale”, legalmente indicata nel certificato di nascita rilasciato all’estero come “madre legale”; 2. il diritto del bambino al rispetto della vita privata non richiede che tale riconoscimento assuma la forma dell’iscrizione nel registro degli atti di nascita, matrimonio e decesso dei dati del certificato di nascita legalmente redatto all’estero; il riconoscimento, secondo la Corte EDU, può avvenire in altro modo, ad esempio con l’adozione del minore da parte della madre intenzionale.

In particolare si è affermato, a sostegno delle suddette conclusioni, che la Corte “…considera inoltre che l’articolo 8 della Convenzione non imponga l’obbligo generale per gli Stati di riconoscere ab initio un legame di filiazione tra il bambino e la madre intenzionale. Ciò che richiede l’interesse superiore del minore è che il legame, regolarmente accertato all’estero, possa essere riconosciuto al più tardi quando si è concretizzato. Non spetta alla Corte, ma alle autorità nazionali, valutare, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, se e quando tale legame si sia concretizzato.

Non si può dedurre dall’interesse superiore del minore che il riconoscimento del legame di filiazione tra il minore e la madre intenzionale imponga agli Stati di procedere alla trascrizione dell’atto di nascita straniero in quanto lo stesso indica la madre intenzionale come madre legale. Questo interesse superiore può essere perseguito adeguatamente con altri mezzi, tra cui l’adozione che, per quanto riguarda il riconoscimento di questo legame, produce effetti della stessa natura della trascrizione dell’atto di nascita straniero. Tuttavia, è importante che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della loro attuazione, conformemente all’interesse superiore del minore ”. A breve faremo seguire su questo a questa prima informazione un commento. Intanto pubblichiamo una traduzione del Comunicato della Corte EDU che informa del contenuto della decisione.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Comunicato Stampa
del Cancelliere della Corte

 

CEDU 132 (2019)
10.04.2019

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La Corte europea dei diritti dell’uomo emette il suo primo parere consultivo: gli Stati non hanno l’obbligo di procedere alla trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato da una GPA all’estero per stabilire il suo legame di filiazione con la madre intenzionale, in quanto l’adozione può costituire una modalità di riconoscimento di tale legame

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In risposta alla domanda di parere consultivo presentata dalla Corte di Cassazione francese, la Corte, all’unanimità, emette il parere seguente:

Nel caso di un bambino nato all’estero per mezzo della gestazione per altri (GPA) e generato dai gameti del padre intenzionale e di una terza donatrice, e quando il legame di filiazione tra il bambino e il padre intenzionale sia stato riconosciuto nel diritto interno,

  1. il diritto al rispetto della vita privata del bambino, nel senso dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiede che il diritto interno offra una possibilità di riconoscimento di un legame di filiazione tra il bambino e la madre intenzionale, indicata nell’atto di nascita regolarmente redatto all’estero come la «madre legale».

 

  1. il diritto al rispetto della vita privata del bambino non richiede che tale riconoscimento avvenga mediante la trascrizione sui registri dello stato civile dell’atto di nascita regolarmente redatto all’estero; il riconoscimento può avvenire in altro modo, ad esempio l’adozione del bambino da parte della madre intenzionale.

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Il contesto della causa e il procedimento interno

Nella sentenza Mennesson c. Francia (n. 65192/11) del 26 giugno 2014, due bambini nati in California da una GPA e i genitori intenzionali lamentavano di non poter ottenere in Francia il riconoscimento della filiazione stabilita legalmente negli Stati Uniti. La Corte aveva concluso che non vi era stata violazione del diritto dei ricorrenti al rispetto della vita famigliare, ma che vi era stata violazione del diritto al rispetto della vita privata dei bambini.

Nella sua domanda di parere consultivo, la Corte di Cassazione ha indicato che la sua giurisprudenza si era evoluta a seguito della sentenza Mennesson. La trascrizione dell’atto di nascita di un minore nato da una GPA praticata all’estero è ormai possibile nella misura in cui in tale atto il padre intenzionale è indicato come padre del bambino nei casi in cui lo stesso ne è il padre biologico. La trascrizione rimane impossibile nel caso della maternità intenzionale.

Il 16 febbraio 2018, la corte del riesame delle decisioni civili ha accolto la domanda di riesame del ricorso per cassazione proposto contro la sentenza della Corte d’Appello di Parigi del 18 marzo 2010, che aveva annullato la trascrizione sui registri dello stato civile francese degli atti di nascita americani dei bambini Mennesson. Nell’ambito del riesame di detto ricorso per cassazione, la Corte di Cassazione ha presentato alla Corte la presente domanda di parere consultivo.

Procedura e composizione della Corte

Con lettera del 12 ottobre 2018 indirizzata al cancelliere della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Corte di Cassazione francese ha chiesto alla Corte di emettere un parere consultivo sulle questioni di seguito esposte.

Il 3 dicembre 2018 il collegio di cinque giudici della Grande Camera della Corte ha deciso di accogliere la domanda.

Sono state prodotte osservazioni scritte congiuntamente da Dominique Mennesson, Fiorella Mennesson, Sylvie Mennesson e Valentina Mennesson. Il governo francese ha presentato delle osservazioni scritte in applicazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 16.

Inoltre, sono state inviate osservazioni scritte anche dai governi britannico, ceco e irlandese, dal Difensore dei diritti, dal Centro di studi interdisciplinari di genere del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, nonché dalle organizzazioni non governative AIRE Centre, Helsinki Fundation for Human Rights, ADF International, Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata, e dall’Associazione dei medici cattolici di Bucarest, che il presidente aveva autorizzato a intervenire (articolo 3 del Protocollo n. 16). L’organizzazione non governativa Child Rights International Network, anch’essa autorizzata a intervenire, non ha prodotto osservazioni.

Il parere è stato emesso dalla Grande Camera di 17 giudici, composta per la presente causa da:

Guido Raimondi, (Italia), presidente,

Angelica Nußberger (Germania),

Linos-Alexandre Sicilianos (Grecia),

Robert Spano (Islanda),

Vincent A. De Gaetano (Malta),

Jon Fridrik Kjølbro (Danimarca),

André Potocki (Francia),

Faris Vehabović (Bosnia-Erzegovina),

Iulia Antoanella Motoc (Romania),

Branko Lubarda (Serbia),

Yonko Grozev (Bulgaria),

Carlo Ranzoni (Liechtenstein),

Georges Ravarani (Lussemburgo),

Pauliine Koskelo (Finlandia),

Tim Eicke (Regno Unito),

Péter Paczolay (Ungheria),

Lado Chanturia (Georgia), giudici,

e da Roderick Liddell, cancelliere.

Le domande poste

La Corte di Cassazione ha rivolto alla Corte le seguenti domande:

«1) Rifiutando di trascrivere sui registri dello stato civile l’atto di nascita di un bambino nato all’estero al termine di una gestazione per altri, in quanto indica come «madre legale» la «madre intenzionale», mentre la trascrizione dell’atto è stata ammessa quando esso indica come «padre intenzionale» il padre biologico del bambino, uno Stato parte eccede il margine di apprezzamento di cui dispone riguardo all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali? A questo proposito, è opportuno distinguere a seconda che il bambino sia o meno concepito con i gameti della «madre intenzionale»?

2) Nell’ipotesi di una risposta affermativa a una delle due domande precedenti, la possibilità per la madre intenzionale di adottare il bambino del suo coniuge, padre biologico, il che costituisce un modo di accertamento della filiazione nei suoi riguardi, permette di rispettare le esigenze dell’articolo 8 della Convenzione?»

 

Parere della Corte

Sul primo punto

La Corte fa riferimento al principio fondamentale secondo il quale, ogni volta che è in causa la situazione di un minore, deve prevalere l’interesse superiore di quest’ultimo.

Essa osserva che il mancato riconoscimento di un legame di filiazione tra un bambino nato da una GPA praticata all’estero e la madre intenzionale ha conseguenze negative su vari aspetti del diritto del bambino al rispetto della vita privata. Essa è consapevole che, nel contesto della GPA, l’interesse superiore del bambino non si riduce al rispetto di questi aspetti del suo diritto alla vita privata. Esso include altri elementi fondamentali, che non depongono necessariamente in favore del riconoscimento di un legame di filiazione con la madre intenzionale, come la protezione contro i rischi di abuso che la GPA comporta e la possibilità di conoscere le proprie origini. Alla luce delle conseguenze negative sul diritto del bambino al rispetto della vita privata e del fatto che l’interesse superiore del bambino comprende anche l’individuazione nel diritto delle persone che hanno la responsabilità di educarlo, di soddisfare le sue necessità e di assicurarne il benessere, nonché la possibilità di vivere e svilupparsi in un ambiente stabile, la Corte considera tuttavia che l’impossibilità generale e assoluta di ottenere il riconoscimento del legame tra un bambino nato da una GPA praticata all’estero e la madre intenzionale non è conciliabile con l’interesse superiore del bambino, che esige almeno un esame di ogni situazione con riguardo alle circostanze particolari che la caratterizzano.

Nella sentenza Mennesson, la Corte ha rammentato che la portata del margine di apprezzamento di cui dispongono gli Stati varia a seconda delle circostanze. Perciò, in particolare quando, come in materia, non vi è consenso tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa e la causa solleva questioni morali o etiche delicate, il margine di apprezzamento è ampio. La Corte ha tuttavia rammentato in questa sentenza che quando, come nel caso di specie, anche per quanto riguarda la filiazione, è in gioco un aspetto particolarmente importante dell’identità di un individuo, il margine lasciato allo Stato è normalmente limitato. Essa ne ha dedotto che convenisse ridurre il margine di apprezzamento di cui disponeva lo Stato convenuto.

Viste le esigenze dell’interesse superiore del minore e la riduzione del margine di apprezzamento, la Corte è del parere che, in una situazione come quella indicata dalla Corte di Cassazione nei suoi quesiti, il diritto al rispetto della vita privata di un bambino nato all’estero al termine di una GPA, richiede che il diritto interno offra una possibilità di riconoscimento di un legame di filiazione tra tale bambino e la madre intenzionale, indicata nell’atto di nascita regolarmente redatto all’estero come la «madre legale».

 

Sul secondo punto

È nell’interesse del minore nato da una GPA praticata all’estero, concepito con i gameti di una terza donatrice, che la durata dell’incertezza nella quale si trova il bambino per quanto riguarda la sua filiazione rispetto alla madre intenzionale sia quanto più breve possibile. Non si può tuttavia dedurne che gli Stati parti siano tenuti ad optare per la trascrizione degli atti di nascita regolarmente redatti all’estero. La Corte constata in effetti che non vi è un consenso europeo su tale questione e osserva che l’identità dell’individuo è meno direttamente in gioco quando si tratta dei mezzi da mettere in atto per riconoscere la filiazione. Essa ritiene dunque che la scelta dei mezzi per permettere il riconoscimento del legame figli-genitori intenzionali rientri nel margine di apprezzamento degli Stati.

La Corte considera inoltre che l’articolo 8 della Convenzione non imponga l’obbligo generale per gli Stati di riconoscere ab initio un legame di filiazione tra il bambino e la madre intenzionale. Ciò che richiede l’interesse superiore del minore è che il legame, regolarmente accertato all’estero, possa essere riconosciuto al più tardi quando si è concretizzato. Non spetta alla Corte, ma alle autorità nazionali, valutare, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, se e quando tale legame si sia concretizzato.

Non si può dedurre dall’interesse superiore del minore che il riconoscimento del legame di filiazione tra il minore e la madre intenzionale imponga agli Stati di procedere alla trascrizione dell’atto di nascita straniero in quanto lo stesso indica la madre intenzionale come madre legale. Questo interesse superiore può essere perseguito adeguatamente con altri mezzi, tra cui l’adozione che, per quanto riguarda il riconoscimento di questo legame, produce effetti della stessa natura della trascrizione dell’atto di nascita straniero. Tuttavia, è importante che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della loro attuazione, conformemente all’interesse superiore del minore.

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