Perché Fulton v. City of Philadelphia è una sentenza “fievole”
Con la recente decisione del caso Fulton v. City of Philadelphia, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha risolto unanimemente a favore della libertà religiosa, tutelata dal primo emendamento della Costituzione Americana, un conflitto tra tale diritto e l’eguaglianza di trattamento delle coppie omosessuali in tema di affidamento dei minori (su di essa cf. https://www.centrostudilivatino.it/la-corte-suprema-usa-contro-la-limitazione-lgbtq-delle-associazioni-religiose/#more-9446). Se il dispositivo è pienamente condivisibile, la motivazione lascia a desiderare. Vediamo perché.
1. Il servizio di affidamento dei minori di Filadelfia si basa sulla cooperazione tra amministrazione comunale e agenzie private, che si occupano di certificare i potenziali genitori affidatari e di collocare i bambini presso le famiglie. Quando la città di Filadelfia ha scoperto che una di queste organizzazioni, la Catholic Social Services (CSS), per motivi religiosi non avrebbe certificato coppie dello stesso sesso, ha deciso di escluderla dal servizio. La città sosteneva che il comportamento della CSS violasse il divieto di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale impostole contrattualmente. Benché la CSS non avesse mai in concreto opposto un diniego, il rispetto della dottrina cattolica le impediva di fornire alle coppie omosessuali una certificazione, con cui attestare la validità dell’unione e l’attitudine alla genitorialità dei due partner dello stesso sesso. Per queste ragioni, la CSS ha agito in giudizio contro l’esclusione dal servizio decisa dall’amministrazione della città, per la violazione del suo diritto al libero esercizio del credo religioso.
Secondo le corti inferiori, la città di Filadelfia non avrebbe violato la libertà religiosa della CSS, in quanto il contratto per i servizi di affidamento era neutrale e si applicava in via generale. Questa conclusione si basa sul precedente della Corte Suprema Employment Division v. Smith del 1990. Smith reca la corrente interpretazione restrittiva del primo emendamento, per cui se una disposizione che limita la libertà religiosa presenta i due requisiti di neutralità e generale applicabilità, si presume compatibile con il primo emendamento e i giudici sono esonerati dal controllo rigoroso (c.d. strict-scrutiny) della sua validità, con riguardo alla rilevanza dei fini perseguiti e alla congruità dei mezzi impiegati.
2. Sebbene la decisione Fulton rappresenti una vittoria per la libertà religiosa, la sentenza ha deluso le aspettative di quanti speravano nel superamento del controverso precedente Smith. Il consenso unanime dei giudici della Corte Suprema riguarda il solo dispositivo, mentre sulla motivazione tra l’opinione di maggioranza, costruita intorno ad un argomento testuale, e quella concorrente dei giudici conservatori contrari a Smith, vi è una contrapposizione netta, riassumibile nella considerazione del giudice Alito: “dopo aver ricevuto più di 2.500 pagine di documentazione e dopo più di un anno e mezzo di riflessione, la Corte ha emesso una fievole decisione che lascia la libertà religiosa in uno stato confuso e vulnerabile”.
L’iter argomentativo della maggioranza è incentrato sulla distinzione tra Fulton e Smith, dovuta alla presenza nel contratto per i servizi di affidamento di una clausola che dà all’autorità pubblica il potere di concedere deroghe discrezionali al divieto di discriminazione. Sebbene questa clausola non abbia mai in concreto operato, la sua esistenza rende il divieto non applicabile in via generale e fa perciò venir meno uno dei requisiti richiesti da Smith. Con questa precisazione, i giudici disapplicano il precedente Smith senza metterlo in discussione e procedono al controllo rigoroso della validità del divieto in parola, ritenuto in contrasto con la libertà religiosa della ricorrente.
La maggioranza osserva a questo punto che, poiché il divieto di discriminazione è temperato dalla possibilità di concedere deroghe, per avere la meglio l’amministrazione comunale non può limitarsi ad affermare il proprio interesse sostanziale al contrasto delle discriminazioni sic et simpliciter, ma deve dimostrare di avere un interesse sostanziale a negare la concessione di una deroga alla ricorrente, che di tale deroga ha bisogno per potere esercitare liberamente il proprio credo religioso. Mancando la prova di questo interesse, la Corte Suprema accoglie la domanda della CSS e riconosce che l’esclusione dal servizio di affidamento dei minori subita per non aver rispettato il divieto di discriminazione costituisce una violazione della sua libertà religiosa.
3. Il giudice Alito, in polemica con la maggioranza, dimostra nella sua opinione concorrente come la distinzione introdotta da Smith tra due specie di disposizioni che limitano la libertà religiosa, da una parte quelle che discriminano la condotta fondata su convinzioni religiose, e dall’altra quelle neutrali e applicabili in via generale a tutte le condotte senza distinzioni, ha ridotto la clausola di libero esercizio del credo religioso ad una clausola di non discriminazione. In quest’ottica il rispetto del primo emendamento imporrebbe solo di trattare allo stesso modo la condotta religiosa e un’analoga condotta secolare.
La Corte avrebbe perso un’occasione per superare Smith e tornare ad applicare la giurisprudenza consolidata precedente. La decisione qui commentata, secondo Alito, avrebbe potuto “anche essere scritta sulla carta dissolvente che si vende nei negozi di magia”, in quanto, da un lato, basterebbe eliminare la clausola sul potere di concedere deroghe e l’amministrazione comunale potrebbe nuovamente imporre alla CSS il divieto di discriminazione a pena di esclusione dal servizio; e, dall’altro, la sentenza è tanto circoscritta ai fatti del caso da essere difficilmente estendibile a future controversie simili.
4. In conclusione, due sono gli aspetti rilevanti della pronuncia. Il primo è il riconoscimento che l’esclusione della CSS dai servizi di affidamento comporta una lesione del suo diritto al libero esercizio della religione. Il secondo è l’aver chiarito un aspetto di Smith su cui le corti inferiori erano divise: un obbligo non può ritenersi generalmente applicabile se è previsto anche solo in astratto un potere dell’autorità pubblica di concedere deroghe discrezionali. Restano irrisolte le questioni più complesse sollevate nella richiesta di riesame, ossia se Smith debba essere superato e se l’autorità pubblica abbia un più ampio margine di discrezionalità nell’imporre ai privati che collaborano con essa comportamenti contrastanti con il loro credo religioso.
Maria Vittori