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1. Con le scuole chiuse durante la pandemia, in Italia bambini e ragazzi hanno affrontato la prima quarantena per il coronavirus attaccati a smartphone, tablet, giochi elettronici o tv, facendo delle vere e proprie abbuffate tecnologiche, e stanno per ripetere l’esperienza.

Non dovendo andare a scuola, con una didattica a distanza a singhiozzi, non ci sono orari precisi da rispettare e si hanno più ore a disposizione; il che aumenta il desiderio, per bambini e ragazzi, di utilizzare in ogni momento libero i dispositivi elettronici, arrivando a trascorrere intere giornate coi video games, chattando, guardando serie tv e video online.

La dipendenza da videogame è entrata ufficialmente a far parte delle patologie più importanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha infatti inserito l’uso compulsivo dei videogiochi nella bozza dell’undicesima edizione della ICD, la classificazione internazionale delle patologie, e lo ha definito come una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita[1]: il Gaming disorder è all’interno della sezione relativa ai disturbi del comportamento legati alle dipendenze, riconoscendolo, quindi, come una vera e propria malattia.

2. Quante volte abbiamo sentito una mamma, o un padre, lamentarsi per la cattiva abitudine dei figli adolescenti di trascorrere ore e ore della giornata davanti ai videogiochi? I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus, raccolti su un campione di 11.500 adolescenti, evidenziano come siano soprattutto i maschi a manifestare problematiche rispetto all’utilizzo dei videogame.

Tra i 14 e i 19 anni, il 36% dei ragazzi gioca circa 1,5 ore al giorno e l’11% dalle 3 alle 6 ore quotidiane. Un abuso di tali dispositivi si è rivelato essere più rilevante tra i più piccoli, nella fascia 11- 13 anni: il 50% gioca in media 1,5 ore al giorno, il 15% dalle 3 alle 6 ore e il 4% più di 7 ore. Il 44% di questi preadolescenti, inoltre, gioca connesso alla rete; un dato molto rilevante, se si pensa che l’adescamento dei minori nei giochi online è in forte crescita e i ragazzi, come pure gli i genitori, sono ancora poco informati sulle modalità attraverso le quali è possibile essere adescati su Internet e poco consapevoli dei reali rischi che si corrono[2].

3. Come combattere la dipendenza da videogiochi? Allertarsi, non restare passivi o indifferenti, di fronte ai primi segnali di dipendenza dei ragazzi. Attenzione a campanelli d’allarme come il tempo trascorso in rete sui dispositivi vari per affrontare l’ennesima sfida, lo sviluppo di comportamenti insoliti – maggiore irritabilità, discontrollo degli impulsi, peggioramento del rendimento scolastico -, l’isolamento e l’apatia: possono essere indicativi di un uso disfunzionale della rete, quando i videogiochi diventano l’unica attività degna di nota, per la quale vengono trascurate le altre attività fondamentali per una crescita sana, le relazioni amicali, la scuola e lo sport.

Fondamentale porre delle regole chiare, senza proibire, piuttosto fornendo limiti giornalieri o settimanali e coinvolgendo in attività alternative e di svago nelle restanti ore. Di fronte a un uso incontrollato e ingestibile, è bene rivolgersi ad un medico per essere indirizzati ad un centro specializzato per il trattamento delle dipendenze, per avviare un percorso di sostegno. Può risultare utile orientare la scelta del ragazzo verso videogames che integrino l’aspetto ludico con la funzione educativa, didattica o genericamente culturale. In ogni caso appare gli adulti devono prendere consapevolezza della rilevanza e penetranza di questo ambito di gioco. In questa direzione sembrano peraltro muoversi le recentissime indicazioni del Miur agli insegnanti della scuola italiana, relative a tali modalità nell’attività didattica.

Non essendo possibile stilare una classifica dei videogiochi che tenga conto del loro potenziale additivo, essendo questo correlato all’attrattiva del gioco e a una struttura che stimola curiosità e divertimento, sarebbe opportuno stimolare l’attenzione dei genitori al tempo impiegato dai figli a giocare e agli altri indicatori di rischio, predisponendo indicazioni chiare e pubblicizzate circa i luoghi cui rivolgersi in caso di sospetto abuso.

4. Il mondo dei videogiochi, sia acquistati nei punti vendita sia scaricati on line, è privo di regole. Un bambino può acquistare liberamente, o scaricare da internet, videogame indicati come adatti a un utente maggiorenne. Per questo è necessaria una normativa che regolamenti la vendita e la diffusione dei videogiochi violenti e non adatti ai minori a tutela degli stessi.

Attualmente il Regolamento AGCOM sulla classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi, approvato con delibera 358/19/CONS del 18 luglio 2019, ha introdotto il sistema di classificazione AGCOM per i videogiochi distribuiti online in Italia. L’art. 11 del Regolamento prevede inoltre l’equivalenza tra i sistemi di classificazione AGCOM e PEGI.

Analogamente al sistema di classificazione PEGI, il sistema di classificazione AGCOM si basa su informazioni per età e per contenuto. AGCOM ha così creato una serie di categorie in base all’età uguale sia per i videogiochi che per gli audiovisivi fruibili sul web. Queste opere dovranno ora, per essere commercializzate in Italia, rispettare la classificazione e il sistema vigente PEGI, introducendo una nuova fascia d’età dai quattro ai sei anni.

Il sistema di classificazione PEGI, presente su tutte le confezioni di videogame commercializzate in Italia, non è però obbligatoria per la distribuzione web. Se per esempio gli store di PlayStation e Xbox la forniscono, i piccoli sviluppatori indipendenti che pubblicano i loro prodotti su piattaforme alternative a volte non li certificano anche per problemi di costi (uno studio di produzione deve pagare circa 2.000 euro per classificare un videogioco per ogni piattaforma).

Per i canali di distribuzione digitale (es. digital download, cloud gaming, e-commerce),  si auspica che le piattaforme di vendita diano maggiore spazio all’informazione sulla classificazione dei contenuti, sia adottando il sistema AGCOM, per quella parte minore di prodotti non coperti da PEGI, sia aumentando la visibilità della classificazione PEGI, con un miglioramento complessivo dell’offerta di informazioni per i consumatori chiamati a scelte di acquisto consapevoli per i figli.

E’ dubbio se regolamento sia incisivo per grandi realtà fuori dall’Italia, a causa dei limiti di intervento dell’Autorità. Un ruolo fondamentale è sempre quello dei genitori, chiamati ad abbandonare l’idea del video game come babysitter, e piuttosto ad acquisire le competenze per padroneggiare il prodotto, per es. attraverso i controlli parentali integrati nelle console e nei sistemi operativi, a effettuare scelte di acquisto consapevoli, e possibilmente a condividere l’esperienza di gioco coi figli.

Daniele Onori


[1] M. Manca, La dipendenza da videogiochi come patologia. I maschi e i bambini più a rischio, in www.adolescienza.it

[2] M. Montrone Dipendenza da videogiochi: Cosa fare se il figlio gioca sempre alla Play?, in www.istitutoeuropeodipendenze.it

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