Alcuni giorni or sono abbiamo riferito della pendenza avanti al Tar del Lazio di un procedimento promosso da alcuni medici che durante il primo lockdown hanno curato i pazienti affetti da Covid 19 utilizzando l’idrossiclorochina: un farmaco noto da 80 anni, utilizzato per la cura della malaria e dell’artrite reumatoide, e impiegato con successo anche nel 2002-2003 contro il Coronavirus della prima Sars (v. https://www.centrostudilivatino.it/idrossiclorochina-per-covid-19-contro-il-divieto-aifa/).
Nel maggio di quest’anno, in seguito a uno studio pubblicato sulla rivista medica The Lancet – che affermava di aver rilevato un tasso di mortalità più alto tra i pazienti in terapia con idrossiclorochina -, l’OMS sospendeva i trial su tale farmaco. Anche l’AIFA-Agenzia Italiana del Farmaco il 26 maggio sospendeva l’autorizzazione all’utilizzo di idrossiclorochina per il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2. Il 2 giugno successivo, tuttavia, The Lancet e gli stessi autori ritrattavano lo studio, affermando di non poter garantire la veridicità dei dati su cui esso era fondato. Mentre L’OMS riammetteva senza indugio le sperimentazioni a base di idrossiclorochina, a oggi l’AIFA non ha revocato la nota del 26 maggio, e anzi il 22 luglio, con una seconda nota, ha confermato la sospensione dell’autorizzazione, impedendo di fatto ai medici di trattare la malattia con tale farmaco e, quindi, di curare secondo “scienza e coscienza”. Da qui il ricorso al TAR Lazio.
Le prime fasi del processo non sono state favorevoli ai ricorrenti, dal momento che il Tribunale non ha accolto le richieste cautelari di sospensione delle note AIFA del 26 maggio e del 22 luglio. Il merito, tuttavia, è ancora da decidere.
Anche il Consiglio di Stato, cui i medici nel frattempo hanno fatto appello, con decreto Presidenziale del 24 novembre (v. in allegato), ha respinto l’istanza cautelare monocratica, e ha fissato per il 10 dicembre l’udienza per la discussione collegiale cautelare, evidenziando tuttavia che sussistono “in questa sede, elementi a favore di una rivalutazione della pronuncia appellata”. In tale provvedimento il Presidente della terza sezione ha evidenziato le ragioni dei ricorrenti, auspicando l’importanza di “un approfondimento ben più articolato di quello che sembra effettuato nella sede cautelare in primo grado, giacché il diritto di ciascun paziente alla cura appropriata e il diritto–dovere di ciascun medico di prescrivere il farmaco più utile a contribuire alla guarigione del malato, corrispondono a valori costituzionali e indefettibili nel nostro ordinamento”.
Il principio trova conferma anche nel parere emanato il 22 ottobre scorso dal Comitato Nazionale di Bioetica che, a proposito dell’uso di farmaci off-label e delle cure c.d. compassionevoli per i trattamenti terapeutici da Covid-19, ha affermato “la possibilità di accelerazione della ricerca mediante il potenziamento della ricerca traslazionale dal laboratorio al letto del malato”. Anche il Tar Lazio-1^ sezione, il 4 dicembre 2020, riconoscendo l’incidenza che l’uso della mascherina ha sulla salute psico-fisica degli alunni dai 6 agli 11 anni, ha affermato che dal “DPCM impugnato non emergono elementi tali da far ritenere che l’amministrazione abbia effettuato un opportuno bilanciamento tra il diritto fondamentale alla salute della collettività e tutti gli altri diritti inviolabili, parimenti riconosciuti e tutelati dalla costituzione, fra cui primariamente il diritto alla salute dei minori di età ricompresa fra i 6 e gli 11 anni…”.
Con queste premesse ci si domanda per quale motivo vi sia tanta difficoltà a revocare la sospensione dell’uso off-label della idrossiclorochina che pare essere il “farmaco più utile a contribuire alla guarigione del malato” (C.d.S. ibidem).
Gli studi e le esperienze proposte dai ricorrenti sono il risultato della “pratica medica” che con l’uso dell’idrossiclorochina ha ottenuto importanti risultati nella cura di Covid-19 in tutto il mondo. Lo studio di Million M. su 1061 pazienti ha avuto esiti favorevoli nel 92% dei casi. Lo studio di Zelenko V. su 1045 pazienti a basso rischio, non ha avuto ospedalizzazioni e decessi mentre, su 405 pazienti ad alto rischio, ha avuto 6 ospedalizzazioni e 2 decessi. Lo studio di Catteau L. su 8075 pazienti ha avuto una netta riduzione della mortalità. Anche un recente studio pubblicato il 21 settembre 2020 dalla stessa The Lancet sostiene che l’idrossiclorochina riduce la mortalità da Covid e non riscontra aumenti di tossicità cardiaca.
Il 20 settembre 2020, l’International Journal of Infectius Diseases, pubblicando una ricerca italiana, ha evidenziato una riduzione della mortalità del 30% in un gruppo di pazienti Covid trattato con idrossiclorochina, mentre la Società italiana di Farmacologia ha pubblicato uno studio ove emerge che, in quasi 2 milioni di pazienti che da 20 anni assumono idrossiclorochina per malattie reumatologiche croniche, l’associazione per sette giorni a un antibiotico non ha incrementato il rischio di effetti avversi.
Nell’udienza che si svolge oggi il Consiglio di Stato è quindi chiamato a coniugare il diritto alla salute con il “diritto-dovere di ciascun medico di prescrivere il farmaco più utile a contribuire alla guarigione del malato”, nella prospettiva di riaffermare un importante principio di legalità sostanziale: le limitazioni straordinarie ai diritti fondamentali in corso sono un sacrificio accettabile solo se limitate nel tempo, e giustificate da una concreta ricerca e applicazione del bene comune.
Claudio Borgoni