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Un ragionato allarme sugli effetti della chiusura delle sale gioco a causa della pandemia nell’intervista rilasciata al nostro sito dal sen. Riccardo Pedrizzi, presidente del Comitato tecnico scientifico dell’UCID-Unione cristiana imprenditori dirigenti. Intervista a cura di Daniele Onori.

Dalla relazione semestrale al Parlamento della Direzione investigativa antimafia, relativa al primo semestre 2020 – ma con dati che coprono anche i mesi successivi – emerge la rapida capacità di adattamento del crimine organizzato, da Nord a Sud, ha saputo riadattarsi di fronte alla pandemia. Il settore del gioco – quello legale è stato tra i più colpiti dalle chiusure -, per le mafie è andato a costituire uno degli affari dominanti. Ne parliamo col sen. Riccardo Pedrizzi, che quando era in carica è stato anche presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, e oggi presiede il Comitato tecnico scientifico dell’UCID-Unione cristiana imprenditori dirigenti. 

D: L’effetto lockdown sul gioco legale ha prodotto per le casse dell’Erario una perdita superiore ai 4 miliardi di euro, stando al dato fornito dal Dipartimento delle entrate per i primi 10 mesi del 2020. Considerando la chiusura dei punti gioco per quasi 6 mesi nel 2020, la stima dei ricavi fiscali per lo Stato, complessivo per i due canali fisico ed online, a fine 2020 non raggiungerà i 7 miliardi di euro, cioè 4,5 miliardi di euro in meno rispetto al 2019, allorché gli incassi statali dai giochi avevano superato gli 11 miliardi di euro, secondo il Libro Blu dell’Agenzia delle Dogane. Questo vuol dire che gran parte della domande si è riversata verso l’illegalità?

R: Certamente, e i dati che vengono forniti dai vari Corpi di polizia, a partire dalla Guardia di Finanza per finire all’Organismo Permanente di Monitoraggio e Analisi sul rischio di infiltrazioni da parte delle criminalità organizzata, passando per l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato e la Direzione Investigativa Antimafia, purtroppo lo attestano ampiamente. In questo periodo di pandemia, con l’alternanza di chiusure e aperture a intermittenza, spesso senza preavviso e senza una strategia complessiva, si conferma quanto gli studi, le ricerche e gli esperti seri del settore hanno sempre affermato e sostenuto: cioè che in assenza di un’ampia offerta di gioco lecito, il pubblico si orienta automaticamente, per “il principio di sostituzione”, verso l’offerta illecita, gestita sempre dalla criminalità, spesso facente capo a mafia, camorra, e ndrangheta.

Le analisi della Guardia di Finanza e della Direzione Investigativa Antimafia sulle segnalazioni di operazioni sospette (SOS) evidenziano un significativo incremento, rispetto al 2019, del flusso di segnalazioni pervenute all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) durante il periodo pandemico. In tale contesto, il mercato offre in questo momento grandi spazi di manovra: i sodalizi criminali dispongono di ingenti somme di denaro e possono investire e trasformare le proprie risorse, provento di reato,in economia legale, riciclare il proprio denaro, rilevare imprese e attività economiche in sofferenza.

D: Questo ha riflessi anche sull’occupazione?

R: Certamente, sono – è il caso di dirlo – in gioco decine di migliaia di posti di lavoro: la maggior parte dei lavoratori, non solo quelli addetti “diretti” alle attività di gioco, bensì pure quelli delle attività funzionali e di filiera, come i dipendenti dei bar, delle pulizie, del personale impiegatizio ed amministrativo, della vigilanza ecc.; avendo sospeso l’attività per lungo tempo, più di ogni altro settore sono stati penalizzati in termini di reddito. I rischi di chiusura li corrono principalmente le piccole imprese familiari di gestione di agenzie di scommesse, esercizi pubblici e potrebbero riguardare centinaia di sale scommesse, di sale giochi e migliaia di bar, interessando solo in questo segmento della filiera almeno 30.000 addetti.

Stiamo parlando di 14.800 lavoratori tra attività diretta o integrata negli esercizi dedicati, 12.000 gestori, quasi 28.000 assimilati in esercizi come i bar dove sono presenti, 1.700 produttori, oltre a 12.000 lavoratori delle sale bingo. Solo per le sale scommesse ci sono in ballo 25.000 posti di lavoro diretti.

A questo pezzo di filiera si aggiunge il comparto dei Concessionari sul quale si è abbattuto, come ha rilevato il Direttore Generale delle Dogane e dei Monopoli “l’emergenza epidemiologica e il blocco totale della raccolta del gioco pubblico che ha comportato un impatto profondo non solo sulle entrate erariali derivanti dal gioco ma anche sugli stessi bilanci dei concessionari di Stato con effetti ancora totalmente da individuare sul quadro economico complessivo e sullo stesso equilibrio delle concessioni”.

La crisi ha, dunque, effetti “diretti” sulle imprese e sui dipendenti dei Concessionari ed “indiretti” sui conti dello Stato, perché si tratta in questo caso di un segmento della filiera che funge da player e da motore dell’intero settore, svolgendo, oltre il ruolo di sostituto d’imposta nell’interesse dello Stato, pure quello di garante della trasparenza e della regolarità di tutto il processo del gioco (si pensi, ad esempio al collegamento delle varie “macchinette” alla Sogei, la società di information tecnology del Ministero dell’economia).

D: Qual è stata l’evoluzione della diffusione del gioco d’azzardo nella percezione degli italiani, e in comparazione con il dettame legislativo e giuridico, che inizialmente ne stabiliva il divieto, poiché si trattava di attività pericolosa per la salute e la sicurezza pubblica?

R: Il settore dei giochi risulta estremamente complesso per le sue implicazioni normative, che sono andate sovrapponendosi nel corso degli anni; per i differenti regolamenti e trattamenti da parte dello Stato, delle Regioni ed enti locali (addirittura cambiano le regole tra Comuni limitrofi nell’ambito della stessa Regione); per il sovrapporsi di competenze tra il Ministero dell’interno (per la salvaguardia dell’ordine pubblico ed il contrasto ai reati), Ministero della salute (per la tutela della salute del consumatore) e Ministero dell’Economia (per il gettito che assicura allo Stato), per citarne i più coinvolti.

È perciò un settore che richiede lo studio di leggi, provvedimenti, indagini merciologiche, ricerche come quelle del Censis e dell’Eurispes, di documenti dell’Istituto Superiore della Sanità; dell’ISS in collaborazione con l’Istituto Mario Negri con ISPRO, con le Università di Pavia e del San Raffaele; senza questi approfondimenti, senza questi studi, senza questa preparazione si cade nella facile demagogia, utile solo a raccogliere qualche voto in campagna elettorale, sollecitando allarmismi.

D: Il gioco attende da anni un riordino normativo. Quale dovrebbe essere secondo lei la strategia del Governo nei prossimi mesi? Si ripartirà dall’accordo Stato-Regioni del 2017 oppure la discussione sarà riavviata su basi nuove? Alcune leggi regionali – che si sovrappongono alla normativa nazionale – nel momento in cui limitano l’offerta di gioco legale sul territorio, provocano un incremento dell’illegalità?

R: Bisognerà ripartire proprio dall’Accordo fra Stato, Regioni e autonomie locali del 2017, con alcuni aggiornamenti che, a cavallo del 2016 e del 2017, per più di un anno ha visto confrontarsi e scontrarsi Centro e territori sui provvedimenti da assumere per governare l’esplosione del gioco legale. Il lavoro del sottosegretario al MEF on Pier Paolo Baretta è stato utilissimo: si è giunti alla sigla di un’Intesa che, nello spirito generale, intendeva riformare l’intero comparto attraverso la riduzione programmata degli apparecchi da gioco (-35%) e la diminuzione dei punti vendita (in prospettiva -50%). Lo “scambio” tra il “distanziometro” e l’accordo contenuto nell’Intesa sulla diminuzione degli apparecchi da gioco che già si è realizzata, e sulla programmata riduzione dei punti vendita, non si sta però concretizzando, e l’invito del Governo alle Regioni perché modificassero le proprie leggi non è stato raccolto, in spregio al principio costituzionale di leale collaborazione tra le istituzioni. Anche all’interno della stessa Regione vi sono Comuni con regolamenti diversi.

Così, a partire dalla fine dello scorso anno (caso Piemonte), e ancora più diffusamente dalla seconda metà del 2018, il caos regna sovrano, e con la scadenza del rinnovo delle autorizzazioni si prospetta una sorta di esclusione dell’offerta del gioco legale da molti territori.

Molte Regioni tendono a rinviare, in sostanza, l’applicazione del “distanziometro” per la consapevolezza dell’impatto sull’occupazione e per l’inevitabile moria di tanti operatori. Ma sottovalutano lo spazio che si espande per il gioco illegale in presenza di una eccessiva compressione di quello legale. Per questo è giusto lanciare l’allarme proprio sull’incremento del gioco illegale, gestito dalla criminalità organizzata. Va poi varato un nuovo Testo Unico che raccolga e sintetizzi tutta la normativa, con la previsione della devoluzione di una parte delle entrate a Regioni e Comuni, incentivando e intensificando il controllo del territorio per contrastare il gioco illegale. Sono proposte già contenute nelle conclusioni dell’indagine conoscitiva da me promossa al Senato della Repubblica, votata all’unanimità da tutte le forze politiche.

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