Pubblichiamo il ricorso depositato presso la Corte Costituzionale dal Centro Studi Livatino contro la legge 23-2025 dell Regione Siciliana, in tema di obiezione di coscienza.
ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
OPINIONE EX ART. 6 N.I.G. DINNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Per il Centro Studi “Rosario Livatino”, C.F. 97853360580, con sede in Roma (RM), Via Crescenzio n. 86, in persona del legale rappresentante p.t., Prof. Avv. Mauro Ronco (C.F. RNCMRA46B19L219R), assistito, ai fini della redazione della presente opinione, dallo stesso Prof. Avv. Mauro Ronco (mauroronco@pec.ordineavvocatitorino.it), del Foro di Torino, dal Prof. Avv. Mario Esposito (marioesposito@ordineavvocatiroma.org), del Foro di Roma, dal Prof. Avv. Carmelo Domenico Leotta, del Foro di Torino (carmelodomenicoleotta@pec.ordineavvocatitorino.it) (all.1)
IN RELAZIONE A
Reg. Ric. n. 27 del 2025 n° parte 1 (G.U. del 10/09/2025 n. 37), Presidente del Consiglio dei ministri/Regione Siciliana
1. L’Amicus Curiae
Il Centro Studi Livatino è un’associazione aconfessionale, apartitica e senza fini di lucro, il cui scopo è «l’approfondimento, l’elaborazione e la promozione di studi giuridici riguardanti: a) la tutela del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, b) […] c) la difesa della libertà religiosa, d) in un quadro di riferimento costituito dal diritto naturale, il rispetto dei limiti di ogni autorità temporale, incluse le magistrature»; per il raggiungimento dei propri fini«utilizza gli strumenti giuridici e processuali che ritiene di volta in volta più idonei, tra i quali, in particolare ed esemplificativamente, … l’intervento davanti alla Corte costituzionale …» (art. 3 Statuto – all. 2). Il C.S.L. è, pertanto, ai sensi delle N.I. del 22 luglio 2021 ss.mm. (art. 6), soggetto portatore di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità, ed espressamente lo è con riferimento alla difesa della libertà religiosa, menzionata in Statuto, poiché si tratta di diritto immediatamente coinvolto dalla disciplina della legge impugnata, la quale, in relazione alle pratiche abortive di cui alla L. 194/1978, è vistosamente e irragionevolmente limitativa dei diritti alla libertà di coscienza e all’obiezione di coscienza, espressioni (anche ma non solo) del diritto alla libertà religiosa.
2. Il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge Regione Siciliana 5 giugno 2025, n. 23, pubblicata in suppl. ord. n. 1 alla G.U. della Regione Siciliana n. 26 del 13 giugno 2025, «Norme in materia di sanità», in relazione al suo articolo 2, comma 3, il quale prevede:
«Le Aziende sanitarie e ospedaliere, nell’ambito delle ordinarie procedure selettive di reclutamento già previste nei piani triennali dei fabbisogni di personale, dotano le aree funzionali di cui al comma 1 di idoneo personale non obiettore di coscienza. Qualora le Aziende sanitarie e ospedaliere, per effetto della cessazione dei rapporti di lavoro o di successiva obiezione da parte del personale reclutato ai sensi del presente comma, rimangano prive di personale non obiettore, le stesse avviano procedure idonee a reintegrare le aree funzionali del personale non obiettore, nei limiti delle disponibilità delle piante organiche, entro 120 giorni dalla data della presentazione della dichiarazione di obiezione o della cessazione del rapporto di lavoro».
Ritiene il ricorrente che la disposizione violi una serie di vincoli costituzionali:
- l’art. 117, comma 2, lett. l) Cost. con riferimento alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile;
- gli artt. 3, 51, comma 1, e 97 Cost., con considerazione del vulnus recato dalla norma all’accesso alla procedura concorsale per il reclutamento del personale sanitario da parte di tutti i potenziali aspiranti, con conseguente violazione sia del principio di parità di accesso agli uffici pubblici sia del divieto di discriminazione;
- gli artt. 19 e 21 Cost. in considerazione del fatto che la disposizione regionale realizzerebbe una discriminazione fondata sulle convinzioni personali e di coscienza.
* * *
Si intende in questa sede soffermarsi specificamente sulle censure contenute nel ricorso relative alla violazione della libertà di coscienza del lavoratore.
Nella materia che qui rileva, il legislatore nazionale ha già svolto sub art. 9, L. 194/1978 un giudizio di bilanciamento tra il diritto alla libertà di coscienza e l’interesse della donna che ne faccia richiesta all’accesso alla pratica abortiva. Tale disposizione, che garantisce la libertà di coscienza del personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, prevede, al comma 4, che la Regione controlli e garantisca che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate assicurino l’esecuzione degli interventi abortivi, anche attraverso la mobilità del personale.
La norma impugnata, viceversa, nel consentire di approntare procedure concorsuali riservate ai non obiettori, pone, come ben si è detto nel ricorso, gli «individui dinnanzi alla alternativa – per certi versi drammatica – di dover privilegiare le proprie necessità e aspirazioni personali e di vita rispetto alle ragioni della propria coscienza, minando la relativa libertà, tutelata dal combinato disposto dei richiamati articoli della Costituzione. Ciò tanto più ove si consideri che – anche a voler ipotizzare che il diritto inviolabile in questione sia in certa misura bilanciabile con altri interessi di rango costituzionale – la norma regionale impugnata […] individua un punto di equilibrio del tutto irragionevole, dimostrandosi inadeguata al conseguimento di quegli interessi e sproporzionata, nella misura in cui quei medesimi interessi possono essere conseguiti con mezzi meno invasivi delle libertà degli individui».
- La tutela della libertà di coscienza nell’impianto costituzionale ed euro-convenzionale
La disciplina della legge siciliana è incompatibile con la tutela della coscienza individuale, così come configurata nella giurisprudenza di questa Corte e in quella della Corte europea dei diritti dell’uomo. Sul piano sovranazionale, non è peraltro superfluo ricordare che il diritto alla libertà di coscienza si rinviene, come noto, anche nelle fonti sui diritti umani a vocazione universale e, precisamente, nell’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e nell’art. 18 del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni unite (1966).
Prendendo le mosse dai precedenti interni di costituzionalità, non può non menzionarsi la sentenza n. 467/1991, in cui si afferma che la protezione della coscienza individuale non è semplicemente un bene in sé, ma assurge a condizione per la tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili dell’art. 2 Cost., «dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico».
In termini ancor più eloquenti, nella stessa sentenza si legge che «la coscienza individuale ha rilievo costituzionale quale principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell’uomo e quale regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del singolo nella vita di relazione»; pertanto, «essa gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che quelle libertà e quei diritti non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento a causa di preclusioni o di impedimenti ingiustificatamente posti alle potenzialità di determinazione della coscienza medesima».
A ben vedere l’esercizio (che non è arbitrio né abuso) della libertà di coscienza assume non solo un ruolo creativo della “realtà delle libertà fondamentali dell’uomo” secondo la formula usata dalla sentenza n. 467, ma anche, sul piano sovraindividuale, una funzione essenziale nel dibattito libero nelle società pluraliste perché comporta che su temi di rilievo etico lo Stato, anche quando consente e regola atti contrari alla coscienza di una parte della cittadinanza – nel caso di specie, l’aborto – riconosca valore al pensiero di chi muove un giudizio critico nei confronti di quanto la legge consente o nei confronti di ciò cui la legge obbliga.
Quanto al legame tra libertà di coscienza e diritti alla libertà religiosa e alla libera manifestazione del pensiero, la sentenza n. 467 ritiene che «quando sia ragionevolmente necessaria rispetto al fine della garanzia del nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell’uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 della Costituzione) o della propria fede religiosa (art. 19 della Costituzione) – la sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana».
Anche per la Corte europea dei diritti dell’uomo, il tema della libertà di coscienza implica un’attinenza non solo con la libertà religiosa, ma anche con la libertà di pensiero, motivo per cui libertà religiosa, libertà di coscienza e libertà di manifestazione del pensiero sono tutte previste all’art. 9 Conv. eur. dir. uomo (v., ad esempio, Corte EDU, Savda c. Turchia, 42730/05, 12 giugno 2012, par. 96). D’altronde proprio come la Corte dichiarò fin dal 1993, in applicazione dell’art. 9 Conv. eur. dir. uomo, «the freedom of thought, conscience and religion is one of the foundations of a democratic society within the meaning of the Convention. It is, in its religious dimension, one of the most vital elements that go to make up the identity of the believers and their conception of life, but it is also a precious asset for atheist, agnostics, sceptics and unconcerned» (Kokkinalkis c. Grecia, 14307/88, 25 maggio 1993, par. 31).
In Bayatyan c. Armenia, (23459/03, 7 luglio 2011), richiamato anche nel ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Grande Camera, in un caso di obiezione al servizio militare obbligatorio, ha insistito sui requisiti della serietà e della insuperabilità del conflitto tra coscienza e imposizione della legge per stabilire se l’individuo possa godere della disciplina convenzionale dell’art. 9. Affermano in quel precedente i giudici europei dei diritti umani: “Article 9 does not explicitly refer to a right to conscientious objection. However, it considers that opposition to military service, where it is motivated by a serious and insurmountable conflict between the obligation to serve in the army and a person’s conscience or his deeply and genuinely held religious or other beliefs, constitutes a conviction or belief of sufficient cogency, seriousness, cohesion and importance to attract the guarantees of Article 9” (cfr. par. 110.In dottrina v., per tutti, Jocobs, White & Ovey, The European Convention on Human Rights, Oxford University Press, V ed., 2010, 416, con riferimento al servizio militare).
Non può non considerarsi come, nella disciplina oggi oggetto di scrutinio, già la legge dello Stato (art. 9, L. 194/1978) abbia riconosciuto che possa sussistere un serio e insanabile conflitto di coscienza, come tale legittimante il diritto all’obiezione, in capo al sanitario chiamato a partecipare al compimento di un atto abortivo. Per tale ragione, aldilà di ogni altro rilievo, nessuna legge regionale può oggi intervenire nel comporre in senso restrittivo delle prerogative della coscienza un siffatto equilibrio che trova già nella fonte statale una disciplina organica che garantisce un eguale trattamento dei soggetti coinvolti su tutto il territorio nazionale.
- Il rispetto della libertà di coscienza inibisce la previsione di norme volte ad esercitare una pressione in vista del mutamento dei convincimenti individuali (Corte cost. n. 43/1997)
La Corte costituzionale ha ben chiarito che la libertà di coscienza esclude la possibilità per lo Stato di imporre misure volte a influenzarne la modificazione. Quanto ora enunciato costituisce una condizione essenziale per l’esercizio “reale”, “effettivo” della libertà di coscienza. Il tema è stato affrontato espressamente con la sentenza n. 43/1997 avente ad oggetto la disciplina di cui alla legge n. 772/1972 (art. 8) nella parte in cui non escludeva la ripetizione di condanne a carico del medesimo soggetto che avesse persistito nel rifiuto del servizio militare.
La decisione del 1997 si rivela particolarmente importante in questa sede per le seguenti ragioni:
- non riconosce all’obiezione di coscienza una tutela illimitata e incondizionata, ma rimanda al legislatore (ovviamente nazionale) il compito di «stabilire il punto di equilibrio tra la coscienza individuale e le facoltà che essa reclama, da un lato, e i complessivi, inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale che la Costituzione (art. 2) impone, dall’altro»;
- nell’ambito delle ragioni di coscienza, cui il legislatore attribuisce rilevanza, è, pertanto, possibile che un atto compiuto per coscienza non sia oggetto di un diritto all’obiezione e che permanga una sanzione nei confronti del suo autore;
- tuttavia, afferma la sentenza n. 43, «una volta che all’elemento della coscienza si sia dato un valore caratterizzante la disciplina positiva, non si può poi disconoscerlo e predisporre misure rivolte a provocare il mutamento delle convinzioni e dei comportamenti secondo coscienza».
La sentenza n. 43 contiene l’affermazione di un principio irrinunciabile, secondo il quale al legislatore, a prescindere dal fatto che riconosca o meno un diritto all’obiezione di coscienza, è sempre preclusa la possibilità di prevedere misure volte a esercitare una qualche pressione sulla persona affinché modifichi il proprio convincimento. In questo modo, infatti, si avrebbe il risultato paradossale per cui il soggetto potrebbe ottenere un risultato di vantaggio in virtù di un’opzione di coscienza non liberamente formatasi.
Se quanto ora detto vale anche a fronte di una disciplina sanzionatoria, a maggior ragione deve valere a fronte di una disciplina, come quella sancita dall’art. 9, L. 194/1978, che riconosce un diritto all’obiezione di coscienza. E’ evidente, infatti, – a prescindere dalla palese violazione della ripartizione di competenza legislativa Stato-Regioni operata dalla legge siciliana impugnata – che l’inserimento, nell’ambito di una normativa di reclutamento del personale, di una disposizione escludente i professionisti obiettori comporta una grave pressione morale su quanti, soprattutto giovani medici e operatori sanitari all’inizio della propria carriera, intendano partecipare alle procedure selettive: al fine di non rinunciarvi, essi, se inizialmente convinti di non accettare per coscienza di collaborare con pratiche abortive, saranno fortemente indotti a ripensare la propria idea al fine di non vedersi precluse le medesime possibilità dei colleghi non obiettori.
La pressione è ancor più grave e intollerabile perché pretende di insistere su di un diritto fondamentale, anch’esso di marca costituzionale, qual è il diritto al lavoro (art. 4 Cost.): il professionista sanitario, infatti, per salvaguardare la propria coscienza dovrebbe necessariamente sacrificare un altro suo diritto costituzionale, riconosciuto e protetto dalla Repubblica. In realtà, come ha finemente osservato l’Avvocatura erariale, un impegno siffatto non potrebbe comunque formare oggetto di una valida clausola regolativa del rapporto di lavoro, in quanto radicalmente nulla per violazione di norme imperative. Se così è, la norma impugnata si rivela, tuttavia, inutile perché l’impegno in ipotesi assunto con la partecipazione alla procedura riservata potrebbe essere superato dal mutamento di convincimento, senza che ciò – per quanto ora si è appena accennato – possa dar luogo a sanzioni, men che meno in termini di risoluzione del rapporto di servizio.
La disposizione impugnata merita, senz’altro, per queste ragioni di essere dichiarata incostituzionale.
* * *
Per quanto qui esposto, il Centro Studi Rosario Livatino
esprime l’avviso che
meriti accoglimento il ricorso del Governo, con conseguente dichiarazione di incostituzionalità in parte qua della legge della Regione Siciliana.
Roma-Torino, 29 settembre 2025
Prof. avv. Mauro Ronco
(Presidente del Centro Studi R. Livatino)
Prof. avv. Mario Esposito
Prof. avv. Carmelo Leotta