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Nessun sistema giuridico è autosufficiente, ma affonda le radici nei valori, principi, orientamenti dominanti della società che lo rappresenta. Obiettivo di questa nuova rubrica, che inizia oggi a cura di Daniele Onori, e che si affianca a Giuristi e a Diritto e Letteratura, è approfondire le non poche intersezioni tra le due realtà del Diritto e del Cinema. Spesso il film fornisce la percezione sociale diffusa del diritto, il modo nel quale esso è sentitovissuto o addirittura subìto dalla collettività; se è soprattutto negli USA che nell’ultimo ventennio si è avuto un approfondimento o delle ricerche in tale campo, anche nel contesto italiano sono state diverse le iniziative dirette a promuovere studi e incontri per sensibilizzare giuristi e studenti: sono operativi “laboratori” in cui si articolano discussioni critiche di una serie di opere cinematografiche in corrispondenza con alcune problematiche interne al diritto ed alla filosofia del diritto.

In questa rubrica non saranno ripercorsi i modi in cui la realtà giuridica viene rappresentata al cinema: si punta a evidenziare come attraverso il cinema si rendano visibili aspetti critici del mondo del diritto. Un diritto che si interroga sui suoi legami con il cinema, una scientia juris che riflette sul rapporto fra norme e cinematografia è una scientia juris fiacca, che perde il proprio ruolo specifico, che cerca linfa vitale in spunti culturali differenti, perché non è più in grado di svolgere il proprio compito? La risposta è negativa: il diritto è hominum causa constitutum, e come tale interessa la vita nella sua pienezza, coniugando empatia, conoscenza dei bisogni reali, condivisione della sofferenza, fantasia, intuizione. Nel saggio “Arte del diritto”, pubblicato nell’immediato Dopoguerra, nel momento si percepivano i limiti del riduzionismo positivista, Francesco Carnelutti osservava che “teorico perfetto sarebbe colui la cui teoria fosse vivificata dalla piena e completa conoscenza di tutta la pratica attività giuridica: tutti i rapporti morali, religiosi, politici, economici della vita reale dovrebbero essere presenti al suo sguardo”.

Gli avrebbero fatto eco le parole scritte nel 1955 da Tullio Ascarelli sulla Rivista internazionale di filosofia del diritto sotto il titolo celeberrimo di “Antigone e Porzia”: “Il problema del diritto è problema di ogni uomo e si pone quotidianamente a ciascuno di noi; forse perciò nel simbolizzarne i termini possiamo ancor prima che ai dotti ricorrere ai saggi e, ancor prima che agli studiosi, ai poeti”.

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