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La cosiddetta musica classica, campo del sapere trascurato al sistema d’istruzione italiano, è una forma d’arte che consente di sviluppare doti d’ascolto e d’interpretazione fondamentali per tutti, compresi – nello specifico – i cultori del diritto, come racconta il pensiero di alcuni grandi maestri passati e presenti.

1. Nel marzo 2022, la rassegna dei quotidiani a stampa, doverosa nell’ottica di una cittadinanza consapevole, appariva purtroppo foriera di preoccupazioni e dolore. Un’eccezione luminosa è stata rappresentata dalla lettura di una brillante intervista nella quale l’accademico e giudice costituzionale emerito Sabino Cassese sul tema degli insegnamenti che egli avrebbe colto, nella sua lunga e autorevole attività da giurista, dal costante ascolto della musica di Johann Sebastian Bach[1].

Si tratta, probabilmente, dell’unico elemento che accomuna (e mai accomunerà) lo scrivente con una figura tanto autorevole. L’ascolto della cd. musica classica[2] – ben più che la sua pratica, purtroppo – ha infatti connotato la mia vita e le mie passioni fin dalla mia infanzia, esplodendo potentemente durante l’adolescenza.

Si è trattata di una passione nel senso più filologico del termine, in derivazione diretta dal greco pathein: “croce e delizia”, citando un famoso verso de La Traviata. Da un lato, infatti, sicuramente non aiuta il giovane appassionato, specie se non esecutore, a brillare – riprendendo certi stantii concetti da pellicola adolescenziale anglosassone – in popolarità presso i coetanei. Dall’altro, tuttavia, si tratta di un arricchimento culturale e spirituale in grado di durare tutta la vita e di tramandarsi fra le generazioni, in virtù della sua naturale sottrazione ai capricci delle mode passeggere e dalla sua prossimità con valori universali ed assoluti.

2. Si tratta, in generale, di un settore ignobilmente trascurato dal sistema dell’istruzione in Italia. Dopo le scuole medie inferiori, infatti, la musica – praticata, teorizzata, ascoltata o studiata nella sua dimensione storica – perde di ogni rilievo, al di fuori degli istituti specializzati. Un celebre musicologo prematuramente scomparso parla, acutamente, della concezione della musica esclusivamente come evasione[3]: che sia una complessa arte o che sia musica da ballo, in quest’ottica, poco cambia.

L’ignoranza in materia è purtroppo ampiamente tollerata dal sistema d’istruzione del nostro Paese, in virtù del quale il diplomato medio di liceo – anche classico! – dispone magari di pur essenziali nozioni su chi siano Michelangelo e Caravaggio, mentre ignora chi siano Bach, Mozart e Beethoven o ne ha, tutt’al più, ricordi vaghi grazie alle predette medie inferiori.

Il peggior equivoco che mi preme segnalare è la banalizzante identificazione della musica classica con “un genere” che si può scegliere di ignorare per ragioni di mero gusto e per giustificare l’ignoranza in materia. Invece, la cd. musica classica non è un genere, bensì un insieme di generi anche molto diversi fra di loro – a titolo esemplificativo e non esaustivo, si possono menzionare la sinfonia, il concerto per solista e orchestra, la sonata per strumento solista (spesso pianoforte, ma non solo), il melodramma o opera lirica, la romanza o Lied, il duetto, trio, quartetto e altri generi d’insieme “non orchestrali” – e periodi storici molto diversi[4].

3. Lo spunto che Sabino Cassese offre ad ogni altro giurista appassionato di musica classica è comprendere l’influenza che l’ascolto di quest’ultima abbia avuto, oltre che sulla personalità in generale, anche sul modo di essere giurista. Non si può dire che sia l’unico o il primo a proporre le sue riflessioni sul tema: come ricordato da un brillante saggio dottrinale[5], non si possono non ricordare le pagine sull’interpretazione musicale di Emilio Betti[6], o le generose osservazioni polemiche di Francesco Gazzoni nelle sue Introduzioni al celebre Manuale[7]. Ancora, si può citare la Piccola storia della grande musica scritta dal giudice e docente di procedura penale torinese Rodolfo Venditti. Analoghe considerazioni possono essere formulate riguardo ad una serie di altre opere che saranno citate in seguito[8].

Con l’umiltà che devo avere di fronte a simili pensatori del diritto, provo ad offrire una mia riflessione, sperando che possa rappresentare anche un invito all’ascolto per coloro che non si sono (ancora) appassionati a questo universo artistico e un incitamento ulteriore per chi, invece, già se ne interessi.

4. Le osservazioni di Sabino Cassese, che dichiara la sua passione per Bach, possono essere riproposte con riguardo ad altri compositori ed altri periodi storico-musicali. Chi scrive ha una predilezione per Ludwig van Beethoven ed una passione per i due periodi rispetto ai quali il genio di Bonn si pone al punto di congiunzione: il classicismo viennese, con una particolare preferenza per Mozart, e il romanticismo tedesco, eleggendo in particolare Schubert e Brahms. Questo, a latere di un ulteriore peculiare interesse anche per l’opera lirica – genere mai praticato da Bach – cui si farà un breve cenno.

La lettura di Cassese si focalizza, in particolare, su tre aspetti peculiari concernenti Bach e la sua opera: le vicende biografiche, l’aspetto “scientifico” del suo stile compositivo e il lavoro degli interpreti. Si tratta di una tripartizione che può essere interessante da adottare anche per queste brevi note.

4.1. Le vicende biografiche di Johann Sebastian Bach ci pongono di fronte ad un uomo che ha attraversato un periodo storico difficile affrontando tragedie di un certo rilievo per la sua vita individuale. Nascendo a Eisenach nel 1685 e morendo nella culturalmente feconda città di Lipsia nel 1750, lo scenario storico della sua vita è quello della Germania divisa in molti Stati regionali, formalmente sottomessi al distante potere imperiale di Vienna e cionondimeno frequentemente in guerra fra loro. In questa cornice, Bach affronta tragedie personali, quali la perdita dei genitori in giovanissima età, la morte della prima moglie e quella di molti dei suoi 20 figli in età infantile; nonché, infine, la cecità degli ultimi anni. In questa vita non facile, non può non risaltare la sua intensa fede cristiana. La sua spiritualità è connotata dal pietismo che caratterizzava molti fedeli cristiano-evangelici dell’epoca – tale tratto lo accomuna, infatti, a due grandissimi filosofi le cui vite si “intersecano” con la sua, quali Gottfried W. von Leibniz (1646-1716) e Immanuel Kant (1724-1804) – e dall’umiltà di un artista straordinario, del tutto fuori dal suo tempo, che firmava le sue opere con la sigla AMDG (Ad Maiorem Dei Gloriam). Appare agevole ipotizzare il possibile richiamo che un simile motto esprime a chi conosca la figura del Beato Rosario Livatino.

Diverse, ma cionondimeno difficili e talora tragiche sono le condizioni in cui, alcuni decenni più tardi rispetto alla morte di Bach, vive ed opera Ludwig van Beethoven. Nell’arco della sua pur non lunghissima vita – nasce a Bonn il 17 dicembre 1770 e muore a Vienna il 26 marzo 1827 – Beethoven, figlio di una numerosa famiglia di modesta estrazione e oppresso da un padre violento, conosce il crepuscolo dell’Ancien Régime, che nella sua vicenda si riflette in particolare nel mecenatismo di quel conte Stephan von Waldstein cui lui dedicherà l’omonima sonata per pianoforte[9]; sperimenta gli effetti della Rivoluzione francese e dell’epoca napoleonica, che lo accompagna negli anni centrali della sua attività riflettendosi, fra l’altro, nella Sinfonia cd. Eroica e nel Concerto “Imperatore”; vive i primi, inquieti anni della restaurazione o Vormärz, gravato dalla crescente sordità – diagnosticatagli intorno al cambio di secolo[10] – e dalla solitudine. Eppure, proprio ad una persona gravata da queste difficoltà dobbiamo una ricerca dell’Assoluto, che traspare anche nella sua copiosa produzione di scritti per conversare e che culmina nell’Inno alla Gioia[11] o in altri capolavori.

Condizioni storiche non dissimili riguardano le ben più brevi vite di Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) e Franz Schubert (1797-1828), i quali, pur godendo di un’infanzia più serena rispetto a quella di Beethoven – quella di Mozart connotata dai fin troppi viaggi in giro per l’Europa – soffriranno costantemente per la mancanza di denaro e per la (probabile) sifilide che li condurranno alla precoce morte. Condizioni tutto sommato più tranquille riguarderanno la vita di Johannes Brahms (1833-1897), nato da una modesta ma affettuosa famiglia che lo educherà ad un raffinato gusto musicale, in grado di assurgere a condizione agiata nella Vienna del Secondo Ottocento, della quale pure non amava la mondanità.

Questi succinti tratti biografici contengono un invito fondamentale per chiunque ne venga edotto: qualsiasi sia la fase storica, qualsivoglia siano le vicissitudini che si attraversano, si può sempre essere chiamati a perseguire l’armonia e la bellezza, che non diventano mai superflui, ma anzi – senza timor di retorica – evocano l’Eterno[12].

Il parallelo invito che se ne può trarre per il giurista è la costante ricerca del giusto e, laddove ad esso strumentali, dell’efficiente e dell’efficace, senza lasciarsi traviare dalle contingenze e dalle urgenze. Del resto, così come la musica costituisce una costante ricerca di declinazioni del bello, così il diritto deve esserlo del giusto, nella coscienza che la giustizia forse non è di questo mondo, ma la volontà di ispirarvisi sì. Non è un caso che proprio nell’arco della vita di alcuni dei personaggi citati avrebbero visto la luce codificazioni civili e penali risultate funzionali e durature nel tempo.

4.2. Proseguendo nell’intervista, Sabino Cassese si sofferma dunque su alcune peculiarità dello stile bachiano: la sua musica è devota a regole matematiche e geometriche di simmetria, congruenza, similitudine, modulazione. Esse improntano la struttura tanto delle opere più semplici, quali le invenzioni a due voci, tanto delle opere più complesse, come gli oratori, le messe, o la misteriosa “Kunst der Fuge” ultimata poco prima della morte. Questo sottolineerebbe ancora una volta l’intensità del legame fra regole e libertà, fra diritti e doveri.

Questa osservazione si muove in parallelo a quella in base alla quale si potrebbe leggere un’influenza kantiana su Beethoven, che del filosofo di Königsberg aveva trascritto molte frasi nelle sue carte. In particolare, nella letteratura musicologica si è notato un legame evidente fra i principi di attrazione e repulsione di cui parla Kant, da un lato, e il principio di opposizione (widerstrebendes Prinzip) e quello di preghiera (bittendes Prinzip) cui Beethoven informa la sua personale interpretazione della cd. forma-sonata[13], vale a dire lo schema compositivo connotato dal dialogo e talora dall’intersecazione di due temi melodici, solitamente impresso ai primi movimenti di sonate per pianoforte o per duo, di quartetti, sinfonie e concerti[14].

Sulla scia dell’accostamento del Cassese, si potrebbe proporre un parallelo simbolico, forse immaginifico, ma che potrebbe offrire una chiave di lettura del senso del diritto punitivo – penale e amministrativo – nell’architettura costituzionale. Tale settore del diritto, infatti, dovrebbe presentare una forma di opposizione a condotte individuali nella misura in cui riaffermi qualcosa di più alto, ovvero i beni giuridici la cui tutela sia esigibile sulla base del dettato costituzionale.

4.3. Da ultimo, Cassese sottolinea quanto il fatto che il compositore lasci lo spartito agli interpreti suggerisce un’analogia alla nota discrasia fra disposizione e norma, o fra norma e diritto. Tale osservazione consente di ampliare la visuale e di osservare il fenomeno generale dell’interpretazione, fondamentale tanto nella musica quanto nel diritto, nel quadro di ulteriori considerazioni sull’aspetto della storicità e attualità di entrambe le discipline.

La musica classica si muove costantemente su un doppio binario di storicità e attualità. Innanzitutto, è quasi banale osservare che nell’ascolto della musica classica ci si muova fra opere composte nel Seicento, nel Settecento, nell’Ottocento e per i più esperti nel Novecento: di fatto, l’appassionato impara auto-didatticamente a non considerare “vecchio” qualcosa che sia stato composto, per esempio, da un gruppo molto alla moda nel 2005. Anche per questo, egli dovrebbe essere in grado di collocare quel che sta sentendo quantomeno nell’arco temporale della vita del suo autore, contestualizzando adeguatamente lo stile e i temi trattati.

Al contempo, l’interpretazione della musica è costantemente innovatrice e vivificatrice dell’antico, il che riempie costantemente di senso e di fascino gli studi musicali e l’ascolto degli interpreti in attività, preferibilmente dal vivo ma anche, nel quotidiano, fruendo delle ricche possibilità offerte dalla tecnologia: uno spartito è, per definizione, oggetto di interpretazione, e, nel quadro del “rispetto” dell’Autore e del suo periodo storico, le interpretazioni “legittime” sono molte. Ascoltare nuovi interpreti è uno dei compiti del buon appassionato di musica classica: le sonate di Beethoven non raggiungono la loro versione “definitiva” nelle esecuzioni degli affermatissimi Alfred Brendel o Maurizio Pollini, ben potendo essere vivificate dai giovani maestri come Daniil Trifonov e Beatrice Rana. Questo non solleva, tuttavia, l’ascoltatore da un giusto atteggiamento critico del nuovo[15].

Non sembra difficile notare il parallelo con alcuni dei più nobili aspetti della scienza giuridica, in rapporto con l’interpretazione giurisprudenziale e le costanti novelle legislative. Categorie come il contratto e la cittadinanza, risalenti all’antica Roma, o come lo Stato, risalente almeno all’elaborazione hobbesiana, o ancora come il bene giuridico protetto, risalente alla prima metà dell’Ottocento, danno profondità alla scienza del diritto e ai relativi studi, sottraendolo e rendendolo in parte resistente al rincorrersi delle novelle legislative. Queste ultime, nondimeno, sono fondamentali nella vivificazione e nell’applicazione del diritto ai problemi correnti della società. Ma anche in questo caso, il buon giurista approccia gli ultimi ritrovati della legislazione, della dottrina e della giurisprudenza con rispetto, ma anche con la prontezza di chi può ed eventualmente deve apportare e proprie chiose.

Tuttavia, così come il fascino della musica classica è ampiamente connesso alla rilettura e all’interpretazione di qualcosa composto o eseguito cinque, dieci, venti anni fa come anche due, tre, quattro secoli prima, la nobiltà del diritto come scienza risiede in ampia parte anche nella capacità di fare riferimento alle radici storiche per interpretazioni attuali, o anche alla vivificazione delle norme tramite l’esegesi applicativa giurisprudenziale. Anche da qui giunge il paragone, proposto da Giorgio Resta, fra giudice e direttore d’orchestra. Figura, quest’ultima, sulla quale si tornerà a breve.

5. Oltre al commento e alla “chiosa” delle affermazioni di Sabino Cassese, sia consentito aggiungere alcuni ulteriori spunti tratti dall’esperienza personale.

5.1. Sul piano formale, la cd. musica classica rimane una forma d’arte che attribuisce una notevole importanza a complesse forme d’espressione e alla distinzione fra generi. In epoche come quella presente, che attribuiscono un peso importante all’aspetto della spontaneità, l’attenzione alla forma potrebbe suonare come qualcosa che imbriglia la vitalità dell’espressione artistica. Non si può dire che questo ragionamento sia per definizione fallace: anche la penna di grandi compositori non ha mancato di dar vita a lavori “formalmente perfetti” ma poco significativi.

Tuttavia, si potrebbe del pari rilevare che sempre attraverso il dato formale – talora, magari, interpretato con una certa libertà, come avviene soprattutto nel clima culturale del romanticismo[16] – si organizza e si esprime la sostanza dei grandi capolavori.

5.2. Su un piano più astratto e per certi versi spirituale, si potrebbe affermare che l’ascolto della cd. musica classica arricchisca notevolmente con spunti speculativi e logici che non tutte le tipologie della musica sono in grado di offrire, probabilmente in virtù della sua ricchezza di generi esclusivamente strumentali. Si potrebbe affermare, pur senza pretese di scientificità, che la mente se ne giovi anche sul piano dei “collegamenti sinaptici”, anche per l’educazione ad ascoltare che se ne ricava.

In un certo senso, l’assenza di parole dei generi solistici e sinfonici rende quel medesimo effetto che la loro presenza in termini generali ed astratti dovrebbe rendere – condizionale reso d’obbligo dalla frequente infelice adozione di un linguaggio burocratico autoreferenziale ed oscuro – in seno al fenomeno giuridico: ovvero, la comunicazione generalizzata ed aperta di un vero e proprio “discorso”, internamente coeso e dotato di una logica più o meno chiara o – come avviene nella progressiva astrazione novecentesca – astratta, mediante un insieme di segni fra loro coerenti, armonici e significativi[17].

Secondo un pensatore del diritto come Giorgio Resta, d’altronde, la musica ed il diritto sono accomunati dall’essere discipline “performative”, ovvero basate sulla lettura di «un insieme di grafemi, ordinati secondo un programma intelligente» – con qualche caveat per il diritto positivo, sia consentito aggiungere – da parte di un interprete che non deve solamente conoscere il testo o la partitura, ma anche presentarne una sua lettura “plausibile” ed autorevole al pubblico[18]. Tanto ci conduce immediatamente verso il prossimo punto, ovvero quello degli interpreti di musica e diritto.

5.3. Su un piano simbolico, si può osservare come i diversi generi della musica classica siano in grado tanto di valorizzare le individualità quanto il lavoro armonico di una pluralità degli esseri umani. I due livelli di espressioni possono anche essere posti in dialogo, come avviene nei concerti per strumento solista e orchestra. Il parallelo con le prassi dei mestieri giuridici può essere individuato nella duplicità fra lavoro personale e collegiale che accompagna molte carriere: così è per l’interprete dottrinario, che studia alla sua scrivania e al contempo conferisce coi colleghi in sedi formali, quali i convegni, o informali; così è per il magistrato, per tutta la sua carriera diviso fra lavoro individuale e strutture collegiali; così è per i membri dell’amministrazione, dei corpi legislativi e degli organi collegiali esecutivi, fra i quali il Governo. Ma anche il lavoro dell’avvocato sviluppa sempre di più moduli collaborativi, oltrepassando la lunga tradizione di solisti talora “assistiti”, come il pianista con l’assistente allo spartito.

Proprio l’orchestra può rappresentare un eccellente esempio di società di pari non omologata – ciascuno porta il proprio strumento e lo suona come ha imparato – ma pienamente armonica. A capo della stessa, inoltre, si pone un primus inter pares quale il direttore d’orchestra: non è un caso che Elias Canetti arrivasse a presentarlo come immagine del governante giusto, che sta in piedi mentre gli altri seguono, che unisce, che “dirige servendo” il pubblico. Quest’ultimo tace volontariamente durante l’esecuzione e si lascia guidare dal direttore[19], applaudendo (più o meno convintamente) alla sua fine, richiamando il direttore stesso più volte sul podio a inchinarsi, per poi commentarla in seguito. È difficile concepire una miglior immagine della democrazia ideale e della collegialità.

6. Ulteriori considerazioni potranno essere svolte recuperando la già accennata tematica del melodramma o opera lirica, incontro fra musica e teatro, nonché degli altri generi vocali e cantati, nei quali la musica s’incontra con la poesia, come avviene in relazione alle romanze o Lieder, o ancora con i testi sacri, come avviene con oratori e messe.

In tal caso, l’elemento testuale e narrativo contribuisce ad identificare i temi di cui il librettista e il compositore parlano al pubblico. In tale contesto, non è raro il ricorrere del tema della giustizia, umana o – per quanto possibile – naturale o divina. Basti pensare alle opere andate in scena allo Sferisterio di Macerata nel corso del 59° Festival (2023): ben due di esse, la Carmen di Georges Bizet e la Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti, raccontano storie che si concludono un delitto, il cui fatto si presterebbe ad un’analisi anche giuridica che muova da diversi punti di vista.

Del resto, osservazione analoga potrebbe essere mossa con riguardo alla più nobile tradizione di rock cantautorale italiano e straniero. Sul punto, vi sarà l’impegno dello scrivente, aperto a chiunque voglia unirsi, alla promozione di un filone d’indagine in tema di diritto e opera lirica, invero già aperto da alcuni illustri giuristi[20].

Spunti finali. Questo breve ed umile scritto vuole rappresentare, in primissima istanza, un invito rivolto specificamente a giuristi e pensatori del diritto – ma anche, più in generale, a qualsiasi lettore – a coltivare la passione per la musica classica, o a “iniziarsi” al suo ascolto laddove non la si abbia ancora.

Si tratta di una forma d’arte che, tramite il suo discorso astratto – ma anche tramite quello verbale delle opere liriche e della musica sacra – consente di coltivare lo spirito e l’intelletto ai loro più alti livelli, che aiuta a sviluppare e rafforzare doti di ascolto e di speculazione virtuosa di cui il pensiero giuridico non può che giovarsi, qualsiasi siano l’attività praticata e i temi d’interesse.

Francesco Camplani, PhD


[1] Cfr. Leonetta Bentivoglio, intervista “Quello che Bach mi ha insegnato sul diritto”. Sabino Cassese svela la sua passione per la musica classica e per le “Variazioni Goldberg” di cui parlerà alla Nuvola a Roma, su Repubblica, 31 marzo 2022, pp. 36-37.

[2] Riporto in questa sede alcune considerazioni che appesantirebbero il corpo del testo. Il concetto di “musica classica”, residualmente inteso ad indicare tutto ciò che non è jazz, rock, rap ecc. condivide la medesima, tragica imprecisione che riguarda tutti i termini residuali. I quali sono invero molto utili, in alcuni casi: in parte anche in questo. Tuttavia, a mio sommesso avviso, si tratta al contempo di una denominazione che, talora, ingenera confusione ed equivoci, quali quelli segnalati nelle considerazioni e nelle note che seguono.

[3] Cfr. Claudio Casini, L’arte di ascoltare la musica, Bompiani, Milano, III ed. post. 2005, pp. 53 ss. Si tratta, in generale, di una lettura molto consigliabile.

[4] La musica “classica”, intesa in senso proprio, corrisponde cronologicamente a quello che nella storia dell’arte viene chiamato neoclassicismo – i manuali di storia della musica circoscrivono il periodo che va grossomodo dal 1770 al 1830 – ed è legata allo sviluppo di generi come il quartetto d’archi e la sonata per pianoforte, oltre che all’ampliamento delle orchestre e alla sperimentazione di forme melodiche meno celebrative di quelle della musica barocca. I suoi massimi esponenti sono identificabili, tendenzialmente, in Franz Joseph Haydn (1732-1809) e in Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), aggiungendo – limitatamente all’opera lirica – Christoph Willibald Gluck (1714-1787) e, quale esponente “tardo” e post litteram, Gioachino Rossini (1792-1868).

[5] Cfr. Sandro Nardi, Pulchrum et iustum convertuntur. Sulla relazione tra musica e diritto, in Rassegna di Diritto della Moda e delle Arti, 2022, n. 1, pp. 22-30, reperibile in fonte aperta all’indirizzo https://dirittomodaearti.it/.

[6] Cfr. Emilio Betti, Teoria generale della interpretazione, I ed. Giuffrè, Milano, 1955, II ed. a cura di Giuliano Crifò, Giuffrè, Milano, 1990, 2 voll. L’interpretazione musicale è trattata ai §§ 49 ss., Vol. II, pp. 760 ss. Il celebre civilista non lesina citazioni delle opere teoriche di Richard Wagner e Wilhelm Furtwängler, dimostrando una conoscenza approfondita sia del tedesco che, in generale, del pensiero teorico-musicale a cavallo di Otto- e Novecento.

[7] Cfr. Francesco Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, XX ed. 2021: nella prefazione della seconda edizione (p. XXX), per la prima volta cita un brevissimo estratto dell’opera Der Rosenkavalier (Il Cavaliere della Rosa), libretto di Hugo von Hofmannsthal e musica di Richard Strauss, nonché il Wanderer (viandante) da cui prende il nome la Fantasia di Franz Schubert. L’ultima introduzione riprodotta, quella alla XVI edizione, si chiude (p. LXXII) con la menzione dei Rückert-Lieder di Gustav Mahler. Altri riferimenti saranno menzionati nel prosieguo.

[8] Cfr., in primis, Giorgio Resta (a cura di), L’armonia nel diritto. Contributi a una riflessione su diritto e musica, Ed. Roma Tre Press, Roma, 2018 e i saggi ivi presenti, reperibile all’indirizzo https://romatrepress.uniroma3.it/libro/larmonia-nel-diritto-contributi-a-una-riflessione-su-diritto-e-musica/.

[9] Sonata in do maggiore n. 21, op. 51.

[10] Particolarmente significativa, al riguardo, è la lettura del Testamento di Heiligenstadt, redatto nel 1802 nel piccolo centro allora alle porte di Vienna – oggi parte del XIX Distretto della capitale austriaca – nel quale Beethoven dichiara la disperazione per la scoperta, ma anche il suo aggrapparsi alla musica quale strumento di salvezza. Ampi estratti tradotti in italiano dello scritto si trovano sul sito delle Biblioteche Comunali di Torino: Laura Ventura, I 250 di Ludwig (van Beethoven). Episodio 4 – Il testamento di Heiligenstadt, https://bct.comune.torino.it/biblioteca-musicale/i-250-di-ludwig-van-beethoven-episodio-4-il-testamento-di-heiligenstadt (visto il 7 giugno 2023).

[11] Per gli interessati, si specifica che la Ode an die Freude è, innanzitutto, un componimento poetico di Friedrich Schiller (1759-1805), il cui testo Beethoven adotta per la parte corale della IX Sinfonia in Si bemolle maggiore op. 125. Si tratta di una scelta artistica allora inedita e in generale molto rara, dal momento che sinfonia e canto sarebbero, da un punto di vista di generi della musica classica, quasi in antitesi tra loro.

[12] L’idea dell’evocazione dell’eterno proviene dalla lettura di una pregevole monografia divulgativa: Ugo Morale, Introduzione a Beethoven, Ed. Bruno Mondadori, Milano, 2009, in part. p. 25.

[13] Riferimento necessario è, a tal proposito, l’analisi specialistica di Enrico Fubini, Beethoven tra Kant e Hegel, in Letizia Michielon (a cura di), Die Klage des Ideellen (Il lamento dell’ideale). Beethoven e la filosofia hegeliana, Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2018, p. 15. L’opera, allo stato (7 giugno 2023), è reperibile “in fonte aperta” sul sito dell’ateneo triestino. L’ascolto della Sonata Waldstein, n. 21, Op. 53 in Do maggiore, può rappresentare un interessante punto di partenza.

[14] Cfr. ancora Ugo Morale, Introduzione a Beethoven, cit., pp. 25-28.

[15] Radicalmente critico – ma nondimeno frizzante e sarcastico – è l’atteggiamento di Francesco Gazzoni nell’Introduzione alla decima edizione del Manuale (ristampata alle pp. XXXVI-XXXVII della XX Ed. 2021): dopo aver proposto un suo elenco di grandi del passato e mediocri del presente – non totalmente condiviso, ma neanche in blocco respinto, dal pur ben meno autorevole scrivente – l’A. afferma «Ecco dunque perché, da un lato, inseguo nei negozi di antiquariato i testi sacri dei grandi giuristi e, dall’altro, sto ricomprando in compact disc tutte le vecchie esecuzioni che possiedo in microsolco». Decisamente condivisibile è, invece, il giudizio su certi interpreti “d’Oltremuraglia” di cui a p. LVII. Quale estimatore dei grandi penalisti del passato (Birnbaum, Binding, von Liszt, Rocco, Delitala) condivido la passione per i “testi sacri”, ma di tanto in tanto trovo bonum et iustum anche nelle opere recenti; lo stesso dicasi delle interpretazioni musicali.

[16] Cfr., in senso analogo, Roland de Candé, Storia universale della musica, cit., Vol. II, pp. 10 ss. In senso differente si esprime il celebre musicologo italiano Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino, I ed. 1963, rist. 1993, pp. 203 (a proposito di Beethoven) e 206, che ravvisa piuttosto una cesura fra formalismo del classicismo e libertà romantica.

[17] In un senso non dissimile muovono le notazioni di apertura di Roland de Candé, Storia universale della musica, edizione italiana a cura degli Editori Riuniti, Torino, 1980, Vol. I, pp. 21 ss.

[18] Cfr. Giorgio Resta, Il giudice e il direttore d’orchestra. Variazioni sul tema: diritto e musica, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Fascicolo 2, dicembre 2011, pp. 439 ss.

[19] Cfr. Elias Canetti, Masse und Macht, Claassen Verlag, Hamburg, 1960, tr. it. di F. Jesi, Massa e potere, Adelphi, Milano, 1981. Il direttore d’orchestra è trattato alle pp. 478-481.

[20] È d’uopo menzionare il Prof. Filippo Annunziata, curatore, con Giorgio Fabio Colombo, della collettanea Law and Opera, Springer, Berlin-NY, 2018, nonché autore – fra l’altro – del contributo Opera e diritto. Approcci metodologici e un caso da analizzare: La Sonnambula di Vincenzo Bellini, in G. Resta, L’armonia nel diritto, cit., pp. 161-202. Un ulteriore caso di giurista che commenta l’opera lirica è Eduardo Savarese, È tardi!, Wojtek, Napoli, 2021. Si tratta di un articolato saggio che si focalizza sul tema dell’attesa, il quale unisce le vicende di molti protagonisti femminili di opere liriche. L’opera presenta quindi un punto di vista “sentimentale-esperienziale”, in generale appassionante e ricco di considerazioni colte, talora accompagnate da narrazioni autobiografiche non sempre opportune. Nel contesto di tale opera si segnala, per esempio, l’interessante lettura della succitata Carmen di Georges Bizet (pp. 93-122), così come della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti.

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