Finalmente è stata diffusa nei giorni scorsi la bozza dell’ex Decreto Aprile, poi diventato Decreto Maggio e, da ultimo, ribattezzato Decreto Rilancio nel tentativo di fornire aiuto e sostegno a famiglie, lavoratori ed imprese che, a seguito di mesi di lockdown dovuti all’imprescindibile tutela del diritto alla propria salute, si accingono a superare un’ulteriore crisi, questa volta sul piano economico.
Se da un lato l’obiettivo, per lo meno dichiarato, è quello di fornire supporto alle imprese, al fine di garantire una rapida ripartenza, dall’altro lato il legislatore emergenziale continua a scaricare l’enorme peso della crisi economica sulle imprese stesse. È chiaramente quanto emerge dalla discutibile disposizione contenuta nell’art. 96 della bozza di Decreto Rilancio, la quale attribuisce ai genitori lavoratori dipendenti del settore privato, che abbiano almeno un figlio minore di anni 14, il diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile “semplificata” sino alla cessazione dello stato di emergenza, alla sola ed unica condizione, si badi bene, che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.
La scelta di ricorrere allo smart working viene, quindi, rimessa alla libera valutazione del lavoratore, in merito alla quale al datore di lavoro non resta che rimettersi a quanto deciso dal proprio dipendente. Una domanda sorge, a questo punto, spontanea: ma la decisione circa le modalità organizzative della prestazione di lavoro subordinato non è forse una delle prerogative fondamentali in capo al datore di lavoro? Soprattutto, la libertà d’impresa, annoverata tra i diritti costituzionalmente garantiti, non risulterebbe inevitabilmente compromessa da una eccessiva limitazione, per nulla frutto di un corretto bilanciamento tra gli interessi in gioco? È pur vero che il contesto emergenziale in atto ha imposto l’emanazione di provvedimenti d’urgenza sospensivi di alcuni diritti costituzionali, ma è altresì vero che le libertà sancite dalla nostra Carta costituzionale possono risultare destinatarie di misure restrittive solo a seguito di una corretta operazione di bilanciamento dei diritti in gioco.
Ciò detto, è evidente come, alla luce della disposizione in commento, una tale limitazione del potere organizzativo del datore di lavoro, costretto a subire la decisione unilaterale del lavoratore, non possa ritenersi giustificata alla luce della ratio della norma, diretta ad accordare al personale dipendente con prole una più efficiente conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Le ragioni di utilità sociale e di tutela della sicurezza, libertà e dignità umana, annoverate dall’art. 41 della Carta costituzionale tra le cause giustificatrici di limitazioni alla libertà d’impresa, difficilmente potranno essere ritenute sussistenti in un tale contesto, tanto da non poter escludere a priori eventuali declaratorie di illegittimità costituzionale della norma in commento.
È evidente che il lavoro da remoto abbia dato buona prova di sé nel corso di questi mesi, ove l’esigenza di tutela della salute del lavoratore si poneva al vertice della piramide dei diritti costituzionalmente garantiti. Tuttavia, in una fase di “rilancio”, così come l’ennesimo epiteto affidato al Decreto sembra suggerire, l’imprenditoria italiana necessita di poter decidere liberamente dal proprio interno come organizzare tale ripartenza alla luce del sacrosanto diritto alla libertà d’impresa che, allo stato attuale, deve tornare a ricoprire un ruolo preminente all’interno della piramide costituzionale.
Una maggior fiducia nella capacità imprenditoriale delle aziende italiane è la richiesta che si rivela essenziale porre alle autorità governative. Le imprese sono già pronte a ripartire in salute e sicurezza già da tempo: decisioni imposte dall’alto, non consapevoli della molteplicità degli interessi in gioco, finiscono per creare notevoli squilibri tra diritti che parimenti necessitano di immediata tutela. Oggi più che mai occorre porre le basi per un rilancio alle condizioni dettate dalla singola impresa che, meglio di chiunque altro, conosce i propri punti di forza. In caso contrario, un’ulteriore modifica all’epiteto affidato al Decreto sarebbe sicuramente più opportuna: non è questo il “rilancio” di cui abbiamo bisogno.
Gabriele Fava
Avvocato – fondatore dello Studio legale Fava & Associati – Vice Presidente del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti