Due indizi fanno una prova, soprattutto quando sono precisi e concordanti. È il caso di don Maurizio Patriciello, che segue quello relativo al Manuale di bioetica del compianto card. Elio Sgreccia, messo all’indice del libri proibiti da più testate giornalistiche nazionali, in attesa di mandare il suo Autore al rogo post mortem.
Che cosa ha scritto di così grave il parroco di Caivano per essere qualificato dall’Arcigay di Napoli come seminatore d’odio? Che cosa ha fatto per essere additato dalla stessa associazione come personaggio pericoloso, contro le persone LGBT e le nostre famiglie, anzi, assieme con altri, rimasti non identificati, uno dei veri problemi del Paese?
“Sono nato da un padre e da una madre. Mio padre si chiamava Raffaele, mia madre Stefania. Mio padre era maschio, mia madre femmina. Sono loro eternamente grato per il dono immenso della vita. Genitore 1 e genitore 2 mi ricordano le prime addizioni alla scuola elementare. Un obbrobrio. Smettiamola. Facciamo le persone serie. E badiamo ai veri problemi del Paese”. Questo il post di don Maurizio a commento dell’iniziativa del Ministro dell’Interno di cancellare nuovamente dalle carte di identità il riferimento al “padre” e alla “madre”, per far posto al più generico “genitore”, su cui oggi interveniamo su questo stesso sito.
Dov’è l’odio? C’è indubbiamente dell’ironia in quel riferimento alle addizioni; l’espulsione dei termini padre e madre dall’anagrafe viene percepito come obbrobrioso dal sacerdote perché la semplice menzione del padre e della madre pare evocare persone di cui vergognarsi: di esse però don Maurizio non si vergogna, essendo loro debitore della vita.
Ripeto: dov’è l’odio? Dov’è, in particolare, l’odio nei confronti delle persone LGBT? Non ve ne è traccia alcuna, all’evidenza. A meno che… a meno che l’odio non sia tanto quello che viene fuori dalle parole usate da don Maurizio, bensì quello che viene fuori dall’interpretazione che di quelle parole viene fatta da parte di chi si attribuisce il potere di scrutare le intenzioni di chi le ha pronunziate; di chi, in altri termini, si erge a supremo sacerdote dello stigma dell’odiatore.
Allora la questione è un’altra, ed è una questione di libertà; e pure questa all’evidenza. I promotori del testo unificato “Zan” in tema di omofobia rassicurano che la scure del carcere non si abbatterà su chi continuerà a sostenere l’indispensabilità di un papà e di una mamma per ogni bambino. Ma gli indizi provenienti dai loro ambienti si susseguono, e vanno nella direzione opposta, soprattutto se si cataloga come pericoloso seminatore d’odio chi si è limitato a criticare la scomparsa del papà e della mamma “solo” dai documenti di identità per i minori di 14 anni.
Don Maurizio merita di essere difeso. Come la memoria del card. Sgreccia, e come il contenuto del suo Manuale. Non solo e non tanto per ciò che hanno detto e scritto, ma per il diritto di dirle e di scriverle. Non solo e non tanto, quanto al sacerdote campano, per il bene che fa per i tanti bambini di Caivano che una mamma ed un papà li vorrebbero davvero, e non solo sulla carta di identità.
Ma perché la libertà riguarda tutti, senza distinzione alcuna. E non vorremmo che diventasse essa “il” problema di questo Paese, con spazi di manifestazione del pensiero sempre più presi di mira, benché non offensivi di alcuno. Né vorremmo che tale libertà interessasse pochi: siamo certi che non mancherà una presa di posizione forte e decisa dell’intera comunità ecclesiale italiana. Non perché il tema sia confessionale, ma perché una libertà che è di tutti oggi viene messa a rischio per un sacerdote dedito con generosità al suo apostolato; come ieri è stata calpestata per una delle opere più antropologicamente fondate in tema di etica e vita. Girarsi dall’altra parte non sarebbe saggio.
Domenico Airoma