Publichiamo in esclusiva per questo sito un primo commento alla sentenza della Grande sezione della Corte di Giustizia Ue su Italia, Ici ed enti ecclesiastici.
L’analisi giuridica della sentenza CGUE, Grande Sezione, 6 novembre 2018, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P in materia di aiuti di Stato per le scuole paritarie offre un quadro totalmente diverso da quello presentato dagli organi di informazione generalisti. Visto il riflesso che essa sta avendo nell’opinione pubblica italiana, essa merita quindi di essere analizzata e spiegata compiutamente.
La scuola Montessori S.r.l. aveva impugnato in primo grado la decisione della Commissione di non avviare una procedura d’infrazione per aiuti di Stato emesso contro la Repubblica Italiana in relazione all’esenzione ICI applicabile prima del 2012 agli immobili destinati a scuole paritarie, sulla base del presupposto dell’obiettiva impossibilità della Repubblica di procedere al recupero per le annualità considerate. Il Tribunale di Primo Grado UE, con sentenza del 15 settembre 2016, causa T-220/13, aveva respinto in toto il ricorso della Montessori S.r.l. affermando i seguenti principi: (a) la disciplina di cui all’art. 149 TUIR, secondo la quale gli enti ecclesiastici non possono assumere la qualifica di imprenditori commerciali, non si pone in contrasto con il divieto di aiuto di Stato; (b) la disciplina di esenzione ICI antecedente al 2012 poteva porsi in contrasto con il divieto di aiuti di Stato, mentre quella successiva al 2012 ne è in ogni caso rispettosa; (c) essendo stata ritenuta idonea la giustificazione fornita dalla Repubblica Italiana al fine di dimostrare l’impossibilità di procedere al recupero per le situazioni anteriori al 2012, nessuna procedura di infrazione doveva essere avviata dalla Commissione.
La Montessori S.r.l. ha vinto soltanto sulla contestazione relativa a una parte del terzo dei principi sopra affermati: infatti, e al di là di questioni processuali che occupano la maggior parte della decisione (parr. 19-68) ma sulle quali non interessa soffermarsi in questa sede, la Corte si è limitata ad annullare la decisione di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sufficiente l’istruttoria compiuta dalla Commissione (parr. 94-99). Da ciò consegue, analizzando la motivazione della sentenza, che la Commissione deve procedere a una nuova istruttoria valutando in modo più “minuzioso” il contenuto delle argomentazioni prodotte dalla Repubblica Italiana a sostegno dell’affermata impossibilità di procedere al recupero dell’ICI anteriore al 2012 e, in particolare, valutare la possibilità che i dati necessari siano ottenuti tramite strumenti diversi da quelle banche dati fiscali e catastali che la Repubblica Italiana aveva fin dall’inizio dichiarato come inidonee a fornire gli elementi necessari alla verifica della sussistenza o meno di una situazione di aiuti.
Trattasi, quindi, di una sentenza di carattere formale, che nulla aggiunge e nulla toglie al dibattito sotto il profilo sostanziale e che merita di essere segnalata soltanto per il fatto di ritenere applicabile anche in sede di istruttoria i criteri di valutazione dell’esonero per impossibilità affermati dalla giurisprudenza per la fase operativa del recupero materiale di aiuti già dichiarati illegittimi in sede istruttoria (cfr. par. 92 della sentenza).
Nel merito, dunque, la decisione sconta le stesse criticità della sentenza di primo grado, ma non altre, nella misura in cui: per un verso, considera alla stregua di un “mercato” l’intero comparto scolastico (par. 105 della sentenza) quando, invece, le scuole che abbiano ottenuto la qualifica di paritarie ai sensi dell’art. 33 Cost. devono essere a tutti gli effetti considerate parte del “sistema nazionale di istruzione” (art. 1, comma 1 della l. n. 62/2000), con la conseguenza che non ricorre il presupposto (estraneità rispetto al sistema nazionale di istruzione) in corrispondenza del quale il criterio della economicità del servizio può in astratto divenire rilevante secondo CGCE, sent. 11 settembre 2007, causa C-318/05, punti 71-72; per altro verso, continua a fondarsi su una erronea interpretazione del concetto di aiuti di Stato, nella misura in cui l’art. 107 del TFUE richiede come requisiti cumulativi per l’incompatibilità con il trattato di sussidi pubblici selettivi a imprese che essi “falsino o minaccino di falsare la concorrenza” e che “incidano sugli scambi tra Stati membri“, mentre la Corte omette sostanzialmente di considerare il secondo requisito o, comunque, considera per esso sufficiente anche la mera “minaccia” di incisione sugli scambi inter-statuali sebbene la norma convenzionale abbia ritenuto idoneo il livello di pericolo per un interesse europeo soltanto in relazione al primo requisito (così richiedendo per il secondo la prova dell’effettiva lesione dell’interesse europeo da esso tutelato, prova che, nel caso di specie, è del tutto assente).
Sotto altro profilo, invece, merita sottolinearsi come risulti confermata la piena compatibilità con il diritto europeo sia dell’art. 149 del TUIR, sia della normativa sull’imposta patrimoniale sugli immobili successiva al 2012 (IMU).
Sul piano pratico, la portata della sentenza in questione appare alquanto ridotta, a condizione che la Repubblica Italiana inizi a difendersi seriamente e non a rimanere sostanzialmente inerte come, fino al momento, ha fatto e come puntualmente evidenziato e stigmatizzato dalla decisione di primo grado ai punti 132 e 143-150. Anzitutto, e come esattamente evidenziato dalla decisione di primo grado ai parr. 143 ss., non modificata in parte qua, nella nuova istruttoria rimane aperto il campo alla dimostrazione che, almeno in alcuni dei comparti di attività benefiche cui si riferisce l’esenzione ICI, non sussistono i presupposti applicativi della disciplina europea in materia di aiuti di Stato, così come il campo rimane aperto alla dimostrazione della ricorrenza di motivi di esonero dalla relativa applicazione ai sensi del comma 2 dell’art. 106 o dei commi 2 e 3 dell’art. 107 TFUE. In ogni caso, considerato che il regime IMU post 2012 è stato ritenuto conforme al diritto europeo, la valutazione delle possibili alternative di recupero rispetto all’utilizzo dei dati catastali e fiscali si tradurrà essenzialmente nella verifica se nelle vicende antecedenti al 2012 le scuole paritarie avessero o meno sostanzialmente rispettato i requisiti che la normativa avrebbe successivamente positivizzato. E tale dato, che ovviamente nell’ambito di una procedura di carattere generale si presta ad essere fornito anche per aggregati, dovrebbe dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio non soltanto che gli eventuali sussidi sono ormai irrecuperabili, ma anche e in ogni caso che nulla dovrebbe essere recuperato sotto il profilo sostanziale.
Sotto il profilo giuridico, risulta quindi davvero difficile comprendere la ragione della tanta risonanza che la sentenza in commento ha avuto nella comunicazione generalista in Italia.
Francesco Farri