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Nella giornata in cui si celebra la festa della mamma siamo tutti chiamati non soltanto a ringraziare ciascuno la propria madre per l’amore e la cura ricevuti, ma anche a riflettere più in generale sulla maternità e sulla necessità di tutelarla in maniera adeguata, sia sotto il profilo economico sociale, contro un mercato del lavoro ostile alle donne con figli, sia sotto il profilo culturale, contro le false idee di eguaglianza e di progresso frutto di un’ideologia contraria alla dignità umana, di cui è espressione ad esempio la maternità surrogata.

La seconda domenica di maggio, in Italia, come in altri Paesi Occidentali, si celebra la festa della mamma. Numerosi sono i racconti circa le origini di questa festa, per alcuni risalente addirittura all’antica Grecia e più precisamente ai riti che venivano celebrati per rendere omaggio alle dee della fertilità e della fecondità. Nei libri di storia si rinvengono interessanti citazioni di festività legate alla maternità anche in epoca medievale e rinascimentale, con la centralità della figura di Maria Madre di Dio. È tuttavia nella seconda metà dell’Ottocento che la festa assume il carattere di ringraziamento e valorizzazione della figura materna per il fondamentale ruolo svolto in ambito sociale e familiare: le prime feste, in quest’ottica, sono state promosse in America al termine della guerra civile, allo scopo di favorire, attraverso incontri conviviali, l’amicizia tra le madri dei Nordisti e le madri dei Sudisti. La festa fu poi ufficializzata dal Presidente Wilson nel 1914, il quale stabilì che dovesse essere celebrata la seconda domenica di maggio, in ricordo della donna pacifista che per prima ispirò la Festa della Mamma, Ann Reevers Jarvis, morta il 9 maggio 1905.

Ad eccezione, ad esempio, di Spagna e Portogallo, di San Marino o di alcuni Paesi arabi (che festeggiano rispettivamente la prima domenica di maggio, il 15 marzo e il 21 marzo in coincidenza con l’equinozio di primavera), gran parte dei Paesi hanno aderito alla data della seconda domenica di maggio, per ragioni di praticità e anche per ragioni economiche legate alla commercializzazione di prodotti da regalare alle mamme in occasione della loro festa, stimata quale terza più celebrata nel mondo dopo il Natale e la Pasqua.

Ad ogni modo, a prescindere dal giorno in cui si celebra, si tratta di una festa gioiosa, di un’occasione per manifestare gratitudine ed amore alle madri, a coloro che sono state aperte alla vita, portando in grembo i propri figli o accogliendo con amore nella propria famiglia – attraverso l’adozione ‒ i figli di altri rimasti privi delle cure necessarie per una sana ed armoniosa crescita.

Ogni persona umana, come affermato da Papa Francesco all’udienza generale del 7 gennaio 2015, «deve la vita ad una madre, e quasi sempre deve a lei molto della propria esistenza successiva, della formazione umana e spirituale». Tuttavia, per usare ancora le parole di Papa Francesco, la figura della madre «pur essendo molto esaltata dal punto di vista simbolico […] viene poco ascoltata e poco aiutata nella vita quotidiana, poco considerata nel suo ruolo centrale nella società. Anzi, spesso si approfitta della disponibilità delle madri a sacrificarsi per i figli per “risparmiare” sulle spese sociali».

Un’osservazione che ancora oggi trova corrispondenza nella realtà, soprattutto se si considera il rapporto fra maternità e lavoro. Secondo i dati Istat degli ultimi anni, in Italia si diventa madri sempre più tardi (attualmente, in media, a 32 anni), inoltre molte donne hanno difficoltà a coordinare gli impegni familiari e quelli lavorativi, laddove non possano contare sull’aiuto dei nonni nella gestione dei figli (secondo l’indagine INAPP-PLUS del 2022 ricorre all’aiuto dei nonni il 57,9% dei genitori italiani, media tra le più alte in Europa).

Nel rapporto Save the Children del 2023 sulla maternità in Italia, fra i diversi dati raccolti, si evidenzia come nonostante vi sia ancora la convinzione che la maternità porti gioia, tuttavia il 43% delle donne intervistate ha dichiarato di non desiderare altri figli per le seguenti ragioni: difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia (33%), mancanza di servizi per aiutare le donne a gestire il rientro al lavoro, la vita sociale e di coppia (26%), il senso di fatica nell’affrontare la nascita di un altro figlio. Dalle interviste è emersa la necessità di politiche più rispondenti ai bisogni delle mamme, politiche che potrebbero anche influenzare le decisioni legate all’esclusione o limitazione della maternità: per il 23% delle donne intervistate sarebbe utile un assegno unico di maggiore entità e per il 21% asili nido gratuiti di qualità. Lo studio di Save the Children mette altresì in rilievo il rapporto direttamente proporzionale fra lavoro e natalità: dalla comparazione dei dati relativi ad altri Paesi risulta infatti che ad una maggiore occupazione femminile corrisponde un maggior numero di nascite.

Ma non sono soltanto le difficoltà organizzative a porre le donne davanti alla scelta fra lavoro e maternità; spesso la decisione di avere figli è condizionata dalla paura di perdere il lavoro, come testimoniano le storie di tante donne rimaste disoccupate perché diventate madri. Da una ricerca realizzata nel 2022 da Sfera MediaGroup è emerso che 8 donne su 10 avrebbero subito conseguenze negative sul lavoro dopo la nascita di un figlio e il 60% ha riferito di aver rimandato la decisione di avere un figlio per timore di ripercussioni sulla carriera. Inoltre, dopo una flessione registrata nel 2020 e dovuta alla pandemia, è stato riscontrato un aumento delle dimissioni volontarie delle donne, in percentuale molto maggiore rispetto a quelle degli uomini (71,8% delle donne, contro il 28,2% degli uomini), secondo gli ultimi dati pubblicati nel 2022 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Maternità, lavoro, sviluppo e benessere della società sono temi strettamente legati fra loro e proprio allo scopo di promuovere la natalità e favorire l’occupazione delle donne il Ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità Eugenia Roccella lo scorso mese di marzo ha promosso un Codice di Autodisciplina delle Imprese, che si basa su tre obiettivi in particolare: favorire la continuità di carriera delle mamme lavoratrici, promuovere la cura dei bisogni di salute delle donne, incentivare tempi e modalità di lavoro rispettosi delle esigenze delle madri, favorendo ad esempio lo smart working, la flessibilità di orario, il part time e la fruizione di asili nido.

Il tema è stato di recente oggetto di confronto in occasione della terza edizione degli Stati Generali della natalità, evento che si è tenuto a Roma l’11 e il 12 maggio. Il Presidente Mattarella, richiamando l’impegno dello Stato a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù di cui all’art. 31 della Costituzione, ha ricordato che la nascita di un figlio «è segnale di speranza e di continuità della comunità», ed ha indicato quali obiettivi prioritari da realizzare: l’attuazione di politiche abitative, fiscali e sociali appropriate, nonché la conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa. Parole di speranza sono state pronunciate anche dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che alla presenza di Papa Francesco ha indicato l’obiettivo del Governo: «vogliamo avere il punto di vista della famiglia su tutte le politiche che il governo porta avanti, non solo varare provvedimenti specifici, ma considerare in ogni ambito il valore aggiunto che chi fa figli dà a questa società». Le donne che sono costrette a rinunciare alla maternità per timore di perdere il lavoro, ha aggiunto la premier, sono private di una libertà fondamentale. Su posizioni simili anche Papa Francesco, che ha ribadito la necessità di alimentare la speranza: la nascita dei figli, ha osservato il Pontefice, «è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo, così se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza».

La festa della mamma deve essere dunque non soltanto un giorno gioioso di ringraziamento ma anche un giorno di riflessione sugli ostacoli che la maternità incontra nella società attuale e sui pericoli determinati dall’ideologia che insinua nella società l’dea per cui i figli sono diritti e quindi qualsiasi mezzo è lecito pur di realizzare il – seppur legittimo – desiderio di genitorialità.

Il riferimento è all’uso della tecnica senza remore pur di avere un figlio ‒ in età avanzata e anche da single, attraverso le tecniche di fecondazione artificiale ‒ senza preoccuparsi delle conseguenze che questo può avere sul sano ed equilibrato sviluppo psicofisico del bambino che viene alla luce. Il discorso si fa ancora più grave quando si arriva alla maternità surrogata, ossia a quella pratica disumana che consente ad una coppia (omosessuale o eterosessuale) o ad un singolo di avere un bambino dietro corrispettivo di denaro. Negli anni c’è stato chi ha cercato di “sdoganare” questa pratica facendo credere che alla base vi siano intenti filantropici e solidaristici e che il denaro dato dai committenti sarebbe un mero “rimborso spese”. A parte il fatto che i figli non si donano e non si vendono, giova ricordare che per un bambino nato da maternità surrogata, in realtà, vengono corrisposte ingenti somme.

Va ricordato inoltre che in Italia il ricorso alla maternità surrogata è illegale, così come è illegale il ricorso alla fecondazione eterologa da parte delle coppie omosessuali: a tal ultimo proposito la Corte costituzionale (sent. n. 221/2019), in coerenza con quanto già affermato dalla Corte EDU, ha spiegato che «l’infertilità fisiologica della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all’infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive», osservando altresì che «la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori … di sicuro non implica che la libertà in esame possa esplicarsi senza limiti (cfr. Corte cost. n. 162 del 2014). Essa deve essere, infatti, bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti e ciò particolarmente quando si discuta della scelta di ricorrere a tecniche di PMA, le quali, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale, attorno ai quali è evidentemente costruita la disciplina degli artt. 29, 30 e 31 Cost., suscitando inevitabilmente, con ciò, delicati interrogativi di ordine etico».

Le pretese di genitorialità che negano il limite naturale prima ancora che giuridico, si fondano su un uso improprio della terminologia giuridica e in particolare del principio di eguaglianza e della tutela della genitorialità.

Non esiste il “diritto ad avere un figlio”, bensì il diritto ad essere aiutati a realizzare un progetto familiare conforme ai valori dell’ordinamento e nel rispetto dei diritti fondamentali, primi fra tutti i diritti dei bambini. Il passaggio dal considerare il figlio come dono al considerare il figlio come diritto comporta delle inevitabili conseguenze sul piano giuridico, sociale e di tutela dei minori. La pretesa di ottenere un figlio sovvertendo le leggi naturali e violando le leggi dello Stato cela in realtà l’oggettivizzazione del figlio, che diviene strumento per appagare un proprio desiderio individuale.

La dimostrazione è data dal fatto che tanto nella fecondazione eterologa nei casi non ammessi dalla legge quanto (e ancor di più) nella maternità surrogata, le persone che accedono a queste pratiche, rivendicando il proprio diritto ad avere un figlio, non si pongono il problema di rendere orfano quel bambino o di privarlo della conoscenza delle proprie origini biologiche, così come non si pongono il problema di quali conseguenze questo potrà avere nella sua vita: tutto ciò, per gli adulti, passa in secondo piano, pur di assecondare il proprio desiderio di genitorialità. Probabilmente le conseguenze di certe scelte le vedremo fra qualche anno.

Nella maternità surrogata non solo il bambino viene privato della possibilità di conoscere le proprie origini biologiche ma viene persino considerato oggetto di un contratto, il cui benessere conta ben poco rispetto al diritto rivendicato dai suoi committenti: subito dopo il parto, infatti, i bambini nati da surrogata vengono consegnati ai committenti (anche per evitare che le partorienti si affezionino) e sono quindi privati di quel fondamentale contatto materno che è universalmente riconosciuto come essenziale per la salute del neonato. L’OMS, come ricordato anche dall’Istituto Superiore di Sanità, raccomanda il contatto tra madre e figlio, sia fisico che visivo, dal momento della nascita e durante tutto il periodo neonatale ed infantile.

Ebbene, l’augurio per tutte le mamme è che la festa a loro dedicata possa essere anche l’occasione per fermarsi a riflettere sull’importanza di tutelare la maternità e sui rischi che l’uso incontrollato della tecnica applicata al concepimento degli esseri umani può avere per le generazioni future.

                                                                        Daniela Bianchini

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