Opinione del Centro Studi Livatino alla Corte Costituzionale sull’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. (aiuto al suicidio) sollevata dal Tribunale di Bologna. Analisi di inammissibilità per violazione del giudicato costituzionale (art. 137 Cost.), travisamento del parere CNB sui trattamenti di sostegno vitale (TSV) e questioni di competenza territoriale. Focus sul requisito dei TSV dopo sentenze n. 135/2024 e n. 66/2025.

ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE

OPINIONE EX ART. 6 N.I.G. DINNANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE

Per il Centro Studi “Rosario Livatino”, C.F. 97853360580, con sede in Roma (RM), Via Crescenzio n. 86, in persona del legale rappresentante p.t., Prof. Avv. Mauro Ronco (C.F. RNCMRA46B19L219R), assistito, ai fini della redazione della presente opinione, dallo stesso Prof. Avv. Mauro Ronco, del foro di Torino, dal Prof. Avv. Mario Esposito, del foro di Roma, dal Prof. Avv. Carmelo Leotta, del foro di Torino, dal Prof. Avv. Alessandro Candido, del foro di Piacenza (all. n. 1)

IN RELAZIONE A

reg. ord. n. 223/2025 (G.U. 19.11.2025 n. 47), ord. del Tribunale di Bologna del 29.9.2025

  1. L’Amicus Curiae

Il Centro Studi Livatino è un’associazione aconfessionale, apartitica e senza fini di lucro, il cui scopo è «l’approfondimento, l’elaborazione e la promozione di studi giuridici riguardanti: a) la tutela del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale, b) la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna come base imprescindibile della convivenza sociale e civile, c) la difesa della libertà religiosa, d) in un quadro di riferimento costituito dal diritto naturale, il rispetto dei limiti di ogni autorità temporale, incluse le magistrature»; per il raggiungimento dei propri fini«utilizza gli strumenti giuridici e processuali che ritiene di volta in volta più idonei, tra i quali, in particolare ed esemplificativamente, … l’intervento davanti alla Corte costituzionale …» (art. 3 Statuto – all. 2).

  • La q.l.c.

Il Tribunale di Bologna ha sollevato q.l.c.

«dell’art. 580 del codice penale, limitatamente alle parole «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale» – ponendosi le stesse in contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32, secondo comma, e 117, primo comma della Costituzione, quest’ultimo in riferimento all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – e ravvisando nella parte di norma segnalata il concreto pericolo di una arbitrarietà applicativa e di un pregiudizio lesivo del principio di eguaglianza in relazione a casi di pazienti affetti da patologie gravissime che non implichino, tuttavia, il necessario ricorso a trattamenti di sostegno vitale».

Ritiene il rimettente che il requisito della necessità che la persona, vittima dell’altrui condotta di aiuto al suicidio, «sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale» – richiesto, insieme con gli altri requisiti sostanziali e procedurali, affinché possa esplicare i propri effetti la causa di non punibilità per l’autore di tale fatto – presenti profili di contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 32 e 117 Cost. (in riferimento all’art. 8 CEDU).

Limitandosi la presente Opinione ad approfondire taluni profili che ineriscono la inammissibilità della q.l.c.,

SI OSSERVA

  1. Il richiamo parziale alla pregressa giurisprudenza costituzionale sul tema del fine vita – e, in particolare, l’omesso richiamo alle sent. n. 135/2024 e n. 66/2025 – è indice di un tentativo di impugnazione surrettizia di precedenti decisioni della Corte

L’ordinanza di rimessione presenta profili di manifesta inammissibilità per violazione di principi fondamentali che governano il giudizio incidentale di legittimità. Anche in considerazione del richiamo abnorme e manifestamente incompleto alla giurisprudenza costituzionale in materia di suicidio assistito, l’atto del Tribunale di Bologna configura un’inammissibile impugnazione surrettizia delle precedenti decisioni della Corte, in violazione del divieto sancito dall’art. 137, 3° comma, Cost.

Com’è noto, il principio di non impugnabilità delle decisioni della Corte rappresenta un pilastro dell’ordinamento costituzionale, precludendo in modo assoluto ogni tipo di gravame diretto a contrastare, annullare, riformare, in tutto o in parte, le decisioni della Corte e impedendo anche il ricorso alla stessa Corte contro decisioni che essa ha emesso. La ratio di tale previsione è duplice: garantire la particolare natura dell’organo, tutelando la sua indipendenza, e preservare il carattere peculiare delle sue pronunce, conferendo stabilità ai relativi effetti.

Nella fattispecie in esame, il GIP manifesta, per cominciare, una comprensione distorta della giurisprudenza costituzionale in materia di aiuto al suicidio, omettendo, in particolare, di confrontarsi con le sent. n. 135/2024 e n. 66/2025. L’ordinanza si limita a richiamare selettivamente alcuni passaggi dell’ord. n. 207/2018 e della sent. 242/2019. In effetti, è a dir poco sorprendente notare come nell’ordinanza non siano neppure menzionate le sent. n. 135 e n. 66 che hanno già affrontato – dichiarando le relative q.l.c. infondate – il tema della costituzionalità del requisito dei trattamenti di sostegno vitale (TSV) tra le condizioni di non punibilità del suicidio assistito.

Il giudice delle leggi ha, peraltro, chiarito in modo inequivocabile, con la sent. n. 135/2024, che il requisito della dipendenza da TSV non è integrato solo nella situazione in cui il paziente sia già sottoposto a tali trattamenti, ma si estende anche al caso del paziente che, pur in presenza di una valutazione medica relativa alla necessità di attivare il trattamento, lo rifiuti. Come precisato, poi, nella sent. n. 66/2025, “non c’è dubbio […] che i principi affermati nella sentenza n. 242 del 2019 valgano per entrambe le ipotesi. Sarebbe, del resto, paradossale che il paziente debba accettare di sottoporsi a trattamenti di sostegno vitale solo per interromperli quanto prima, essendo la sua volontà quella di accedere al suicidio assistito”.

Il rimettente bolognese ignora completamente quanto sopra riportato costruendo la propria argomentazione su un presupposto ermeneutico già smentito dalla giurisprudenza costituzionale. Tale omissione rivela un approccio metodologicamente erroneo e comunque inadeguato, che compromette l’attendibilità dell’intera ordinanza di rimessione.

Strettamente connesso è il profilo dell’impugnazione surrettizia delle precedenti decisioni della Corte, che emerge con evidenza dall’ordinanza.

Sul punto la giurisprudenza costituzionale ha stabilito con fermezza il divieto di qualsiasi forma di impugnazione delle proprie decisioni. La violazione del giudicato costituzionale può realizzarsi in due forme diverse: in modo diretto, procedendo all’impugnazione di una pronuncia costituzionale, in violazione del giudicato nel suo aspetto formale; in modo indiretto, contestando, pur senza incidere direttamente sulla pronuncia, il decisum in essa contenuto, e quindi violando il giudicato nel suo aspetto sostanziale.

Ricorrendo a questa (seconda) forma di (sostanziale) gravame, il GIP pare riconoscere che la regola fissata con la sentenza n. 242/2019 sia conferente al caso sottoposto al suo giudizio, ma rifiuta di applicarne le conseguenze. L’intento riformatore dell’ordinanza è eloquentemente attestato dalla dichiarata necessità di non poter procedere in quella che è definita dal rimettente una “defatigante lettura costituzionalmente orientata” dell’art. 580 c.p., “ravvisando la possibilità di un miglior profitto in un autorevole intervento della Corte”.

Tale prospettiva si oppone non solo al dispositivo, ma prima ancora all’impianto delle sent. n. 242 del 2019, n. 135 del 2024 e n. 66 del 2025, che tutte muovono da un’irrefragabile premessa di perdurante meritevolezza dell’incriminazione dell’aiuto al suicidio, ammettendo un limitato spazio in cui la tutela della vita può cedere a fronte della richiesta del malato di sottrarsi a un mantenimento artificiale in vita non più voluto. Quanto ora detto è stato confermato, rispetto al tema dei TSV, in modo particolarmente chiaro nella sent. n. 135 in cui si ribadisce che lo spazio di libertà di richiedere la morte che la Corte assegna alle persone gravemente malate sia quello in cui risulta eccessiva, e pertanto, a dire di quella decisione, costituzionalmente insostenibile, la compressione dell’autodeterminazione del paziente nella peculiare situazione «in cui questi avrebbe – comunque sia – la possibilità di porre termine alla propria vita rifiutando i trattamenti che ne assicurano la sopravvivenza, ovvero chiedendone l’interruzione». Questo è l’unico profilo di incostituzionalità ravvisato. Concludeva, infatti, la Corte nel 2024 dichiarando infondata la q.l.c. portata alla sua attenzione: «Il che esclude possa ravvisarsi, nella situazione normativa attuale, una violazione del loro diritto all’autodeterminazione» (Considerato in diritto, 7.2).

Alla luce di ciò, è evidente che il rimettente mira – peraltro, sia consentito dire, in modo fragile e precario, perché lo fa omettendo due decisioni di cui lo stesso Giudice adito è autore – a un revirement da parte di questa Ecc.ma Corte, obliterando del tutto il fatto che la stessa abbia stabilito il divieto assoluto di qualsiasi forma di impugnazione delle proprie decisioni. Come affermato nella sent. n. 29 del 1998, “[l]a Costituzione, nello stabilire che contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione (art. 137, terzo comma), preclude in modo assoluto ogni tipo di gravame diretto a contrastare, annullare o riformare, in tutto o in parte, le decisioni della Corte. L’espressa esclusione di qualsiasi impugnazione, in coerenza con la natura della Corte costituzionale e con il carattere delle sue pronunce, pone una regola generale, priva di eccezioni, che non si limita ad interdire gravami devoluti ad altri giudici, giacché non è configurabile un giudizio superiore rispetto a quello dell’unico organo di giurisdizione costituzionale, ma impedisce anche il ricorso alla stessa Corte contro le decisioni che essa ha emesso”. Il principio è stato ulteriormente confermato dalla sentenza n. 344 del 2000, che ribadisce il divieto di “qualsiasi forma, anche indiretta o impropria, di impugnazione” delle decisioni costituzionali.

L’ordinanza bolognese, richiedendo una riformulazione della complessiva fattispecie risultante dall’art. 580 c.p. all’esito delle precedenti pronunce, configura precisamente una di quelle forme indirette di impugnazione. Ciò perché la sedicente apertura prospettata e richiesta dal rimettente smentirebbe irreparabilmente il nesso di analogia che la Corte ha instaurato tra le situazioni di non punibilità per l’aiuto al suicidio e la scelta di lasciarsi morire del malato tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, attuabile ai sensi della legge n. 219/2017 con l’interruzione delle cure e la successiva sedazione profonda.

All’esito delle sent. n. 242/2019, 135/2024 e 66/2025, la Corte costituzionale ha costruito un sistema di garanzie fondato su criteri oggettivi e verificabili, in cui il requisito della dipendenza da TSV assume un ruolo centrale nel distinguere situazioni di assoluta gravità e prossimità alla morte da altre situazioni necessariamente diverse. A fronte di tale dato consolidato, l’ordinanza di rimessione non adduce alcun elemento fattuale o normativo nuovo e diverso rispetto a quelli già ampiamente considerati e valutati dal Giudice delle leggi nelle precedenti pronunce. Anche per tale ragione, l’ordinanza configura un tentativo inammissibile di ottenere dalla Corte una riforma delle proprie pregresse decisioni. Ciò a maggior ragione perché tale tentativo è perseguito con un richiamo scorretto alla stessa giurisprudenza costituzionale che già si è espressa sul tema.

Per tali ragioni, si ritiene e si chiede che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata manifestamente inammissibile per violazione dell’art. 137, 3° comma, Cost.

  • Il travisamento del parere del CNB del luglio 2019 in materia di suicidio assistito e l’omesso richiamo alla Risposta dello stesso CNB del giugno 2024

Il rimettente non solo non riporta in modo compiuto la giurisprudenza costituzionale sul tema inerente alla q.l.c., ma azzarda altresì un richiamo sostanzialmente travisato al parere Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) del 18 luglio 2019 e, infine, omette del tutto di riferire le più recenti riflessioni del CNB a proposito dei TSV contenute nella Risposta al quesito del CET Umbria sui trattamenti di sostegno vitale del 20 giugno 2024. Il risultato è che il Giudice bolognese, per avvalorare la sua tesi, “fa dire” al Comitato di Bioetica – intenzionalmente o meno non rileva ai fini della presente Opinione – quanto il Comitato nei suoi testi non dice e cioè che sia opportuno prevedere che l’accesso al suicidio assistito non punibile non dipenda dal requisito dei TSV.

La gravità del travisamento del testo è tanto rilevante e tanto sorprendente che rigore impone una consultazione diretta dell’ordinanza, per meglio coglierne la portata. A p. 8, cpv. 5, quest’ultima, dopo aver affermato che il requisito del TSV sia arbitrario per stabilire la liceità o meno del suicidio assistito, recita:

«A sostegno, non può non richiamarsi l’autorevole parere reso dal Comitato nazionale di bioetica il 18 luglio 2019 in materia di suicidio medicalmente assistito. Il Comitato, senza soffermarsi sulla nozione di “trattamento di sostegno vitale” che, peraltro, risulta privo di definizione nello stesso ambito medico, ha affermato che dovrebbe trattarsi di una “condizione aggiuntiva, solo eventuale; ritenerla necessaria, viceversa, creerebbe una discriminazione irragionevole e incostituzionale fra quanti sono mantenuti in vita artificialmente e quanti, pur affetti da patologia anche gravissima e con forti sofferenze, non lo sono o non lo sono ancora”. A ben vedere, il Comitato nell’occasione si spinge addirittura oltre, arrivando a sostenere che “si imporrebbe a questi ultimi di accettare un trattamento anche molto invasivo, come nutrizione e idratazione artificiali o ventilazione meccanica, al solo scopo di poter richiedere l’assistenza al suicidio, prospettando in questo modo un trattamento sanitario obbligatorio senza alcun motivo ragionevole”» (p. 23 parere).

Il richiamo al passaggio, ora riportato, del testo del Parere svisa la posizione del CNB circa la rilevanza/irrilevanza del TSV nella disciplina di accesso al suicidio assistito. Per comprendere in che senso ciò avvenga occorre prendere visione della Presentazione del medesimo Parere (pp. 3-5) in cui lo stesso CNB spiega che al proprio interno (nella sua composizione di allora) sul tema del suicido assistito fossero maturate tre posizioni: una contraria al suicidio assistito, una favorevole, una volta a tenere distinto l’ambito morale da quello giuridico. Nonostante le tre posizioni interne, il Comitato perviene a un testo condiviso, nel quale sono contenute sia affermazioni del Comitato – qual è ad es. quella sulla obiezione di coscienza – sia chiarificazioni sulle specificità di ciascuna delle suddette posizioni. Ciò premesso, la frase riportata dal Gip bolognese non è tratta da una parte del Parere in cui si esprime una valutazione condivisa e decisa dal CNB in quanto tale, ma quella di alcuni suoi membri – precisamente 13 (nominativamente indicati alla p. 24) – la cui prospettiva è espressa compiutamente al par. B) del punto 5 intitolato, appunto, Opinioni etiche e giuridiche all’interno del CNB (pp. 23-24). È solo questo gruppo di esperti – uno dei 3 gruppi presenti allora nel Comitato – che si dichiara contrario alla conservazione del requisito dei TSV. E’ da notare, pertanto, che quella riportata nell’ordinanza a proposito dei TSV non è la posizione del Comitato, che approva i propri documenti ai sensi dell’art. 4 reg. per il tramite dell’assemblea, ma solo di alcuni suoi membri.

Non basta: questi ultimi criticavano nel 2019 la conservazione del TSV ritenendo tali la nutrizione e l’idratazione artificiale e la ventilazione meccanica (p. 23) e affermavano che sarebbe stato illogica la conservazione del requisito in parola perché avrebbe obbligato il malato a intraprendere il TSV solo al fine di accedere al suicidio assistito. Ora, non può passare inosservato come tali due argomenti siano già stati trattati e superati dalla sent. n. 135 che ha chiarito come il requisito abbia un’accezione più ampia, oggetto di disamina in particolare al p. 8 del Considerato in diritto. Esso, peraltro, come già si è detto, è da ritenersi integrato per il solo fatto che sia necessario, senza necessità che sia anche attivato.

Il rimettente, infine, sembra non accorgersi che il Parere del 18 luglio 2019 citato (maldestramente) in ordinanza è precedente alla sentenza n. 242 pubblicata a settembre di quello stesso anno, il che di per sé dimostra ulteriormente l’incongruità e la strumentalità del ragionamento proposto.

Per concludere sul punto, non può passare inosservato che nelle Raccomandazioni finali del Parere (pp. 26 ss.) nulla si dica sulla asserita inadeguatezza del requisito dei TSV.

Quanto alla posizione del CNB sul tema dei TSV, deve anche osservarsi che l’ordinanza neppure menziona la Risposta 20 giugno 2024 al Quesito del Comitato Etico Territoriale della Regione Umbria 3 novembre 2023. Si tratta di una grave omissione che contribuisce a rappresentare erroneamente la posizione del Comitato sul tema in questione. Nella Riposta del 2024, ricorre, infatti, il seguente passaggio (cfr. pp. 9-10):

«I TSV rappresentano un requisito che si aggiunge agli altri e va dunque sempre considerato all’interno di un quadro clinico la cui gravità non si riduce al solo fatto che la persona è “tenuta in vita” da uno specifico trattamento. Si tratta di un requisito la cui importanza risalta, per esempio, nel caso di condizioni irreversibili di disabilità che possono certamente essere fonte di grandi sofferenze per le persone e potrebbero dunque essere di per sé sufficienti, in assenza appunto di questo requisito, a giustificare la richiesta di suicidio medicalmente assistito. Tuttavia, anche per la necessità di applicare alcuni criteri generali alla concretezza della situazione di ogni singolo paziente, possono esserci prospettive diverse sul modo di tracciare il perimetro di quest’area circoscritta. A questo proposito, all’interno del CNB sono emerse posizioni differenziate.

Alcuni componenti del Comitato, la maggioranza […] ritengono che i TSV costituiscono il presupposto e la precondizione per attuare la distinzione, operata dalla sentenza, tra situazioni in cui l’art. 580 cod. pen. affievolisce la sua portata applicativa, con la non punibilità dell’aiuto al suicidio, e situazioni in cui la norma penale si applica in tutta la sua portata, privilegiando la ratio che la ispira: la tutela della vita (propria e altrui) quale bene primario ed incomprimibile».

Perché il Giudice di Bologna nulla dice a proposito?

È evidente che, a fronte dell’“uso” dei testi del CBN fatto dal giudice rimettente, l’ordinanza appare gravemente e irrimediabilmente viziata sul piano logico, con inevitabili ricadute sull’ammissibilità della q.l.c. Le gravi omissioni e gli errori nei richiami sia alla giurisprudenza costituzionale che ai testi del CNB rende infatti la q.l.c. irricevibile e, almeno, inammissibile per grave carenza di motivazione sulla sua non manifesta infondatezza e rilevanza.

Si chiede, pertanto, che, anche per questo secondo motivo, la questione sia dichiarata inammissibile.

  • Incompetenza per territorio del Tribunale di Bologna a conoscere il fatto oggetto giudizio

Pur non disponendosi degli atti del procedimento a quo, dagli elementi a disposizione è fondato ritenere che il Tribunale di Bologna non sia competente per territorio a giudicare i fatti oggi contestati agli indagati. Ne deriva l’inammissibilità della q.l.c. per irrilevanza.

Il tema della incompetenza per territorio è già stato trattato nelle opinioni di questo Amicus nell’ambito dei giudizi di costituzionalità sull’art. 580 c.p. conclusi rispettivamente con le sentenze 135/2024 e 66/2025. In entrambi le occasioni Codesta Ecc.ma Corte ha ritenuto di non potersi esprimere sul punto per carenza di rilevabilità ictu oculi della questione. 

Nel presente caso si evidenziano, tuttavia, talune particolarità che rendono particolarmente urgente la considerazione da parte della Corte della questione della incompetenza per territorio e la sua rilevabilità ictu oculi.

Anzitutto la necessità di porre rimedio alla incompetenza del giudice a quo, garantendo il rispetto del vincolo del giudice naturale, è resa più cogente dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione, che presenta profili di gravissima inadeguatezza formale (e sostanziale) stante l’uso travisato compiuto sia dei precedenti costituzionali sia degli interventi del CNB per accreditare la tesi della fondatezza della questione. Il tenore complessivo dell’atto di rimessione – che rivela una l’approssimazione con cui l’atto è stato redatto – obbliga a uno scrutinio estremamente  attento affinché non si verifichino ulteriori distorsioni (intenzionali o no, non rileva) nel momento generico del presente incidente di costituzionalità, che necessariamente può essere promosso solo ed esclusivamente dal giudice competente a giudicare la responsabilità degli indagati (e non da qualsiasi giudice). Il rispetto della competenza per territorio è, infatti, strumento di imparzialità del giudice che trova il proprio fondamento certo in Costituzione. E sul rispetto di tale principio si chiede a questa Corte di svolgere un opportuno controllo.

In secondo luogo, si deve tener conto che le osservazioni svolte nei precedenti giudizi (conclusosi, come si è detto, con le sent. 135/2024 e 66/2025) sul tema della incompetenza per territorio, si sono rivelate fondate; infatti, il Tribunale di Firenze (nella causa per aiuto al suicido da cui era originata la q.l.c. conclusasi con la sent. n. 135/2024) nei mesi scorsi ha dichiarato la propria incompetenza per territorio trasferendo il processo al Tribunale di Varese. Tale evenienza consente di affermare che oggi la incompetenza per territorio del giudice rimettente sia rilevabile ictu oculi.

In breve: nel caso in esame si deve applicare, ai fini della individuazione del locus commissi delicti, la regola, ispirata al principio di ubiquità, per cui si considera consumato in Italia il reato se l’azione è avvenuta anche solo in parte in Italia (art. 6 c.p.). Coerentemente con tale principio, l’art. 10, 3° co., c.p.p., stabilisce che, nel caso di reato commesso in parte all’estero, la competenza per territorio è determinata in base agli artt. 8 e 9 c.p.p., cioè applicando le stesse regole per il reato commesso sul territorio dello Stato. Non potendosi applicare, nella odierna vicenda, le regole dell’art. 8 c.p.p., riferite a ipotesi non ricorrenti nel presente caso, la competenza si stabilisce ex art. 9 c.p.p., 1° co.: è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione. Tale luogo coincide con la zona di confine attraversata per accompagnare l’anziana signora in Svizzera.

La q.l.c. è, dunque, irrilevante e se ne deve dichiarare l’inammissibilità.

  • Irrilevanza della questione per mancato rispetto delle condizioni procedurali di non punibilità

Il tema è qui solo accennato perché rappresenta ormai un punto fermo della giurisprudenza di questa Corte: il rispetto delle condizioni procedurali fissate nella sent. n. 242/2019 è parte integrante della disciplina introdotta con tale decisione, per cui la non punibilità non può prescindere dall’accertamento del rispetto anche di tali condizioni. Nel caso di specie, non sono state in alcun modo rispettate le condizioni procedurali. La questione pertanto è inammissibile, per carenza di rilevanza. Infatti, è prescindere da una eventuale decisione di questa Corte, nessun effetto ne deriverebbero ai fini dell’accertamento della penale responsabilità degli odierni indagati i quali, comunque, non hanno rispettato le condizioni procedurali prescritte nella sent. n. 242.

Anche per tale ultimo motivo, la q.l.c. è inammissibile.

         *.  *.  *

Per quanto qui esposto, si chiede che la Ecc.ma Corte Costituzionale dichiari la q.l.c. irricevibile o inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.

Roma-Torino, 8 dicembre 2025

Prof. Mauro Ronco (Presidente del Centro Studi R. Livatino)
Prof. Mario Esposito     Prof. Carmelo Leotta      Prof. Alessandro Candido

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