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Il più grande rivenditore di videogiochi nuovi e usati nel mondo entra in crisi, ma tutto all’improvviso cambia, e in una trentina di giorni il suo titolo in borsa cresce del 333 per cento: merito di una campagna social, ma non solo. Giovanissimi e inesperti investitori sono entrati a gamba tesa nel cuore della Borsa e in qualche modo hanno sconfitto i vecchi “squali”: è una strada per il futuro?


27 gennaio 2021: annotate questa data, perché sarà ricordata come storica per il mondo della finanza. È stato il giorno col maggior volume di scambi dal 2007, ma anche quello in cui un esercito di operatori privati ha squassato Wall Street usando le azioni GameStop (GME) come cavallo di Troia.

Andiamo per ordine. GameStop è un’azienda statunitense, ed è il più grande rivenditore di videogiochi nuovi e usati nel mondo. La crisi l’ha colpita mortalmente, e la catena è stata obbligata a chiudere centinaia di negozi: un marchio di tradizione ha imboccato il viale del tramonto, ed è diventato preda perfetta per i fondi speculativi. Questi ultimi però non avevano fatto i conti con i tantissimi affezionati ancora presenti in rete.

Nelle scorse settimane, infatti, su una delle sezioni più frequentate di Reddit chiamata Wallstreetbets – Reddit è un social network usato ordinatamente come forum per le operazioni finanziarie – è partito un tam tam in difesa del titolo GameStop, GME sul mercato borsistico elettronico Nasdaq, con un’azione mirata diretta e semplice: essa è consistita nel convincere più persone possibili a investire sul titolo, a farne così alzare il valore e soprattutto a non rivenderlo, mantenendolo alto. Un cordone di protezione partito dal basso ha coinvolto centinaia di migliaia, forse milioni di piccoli investitori, uniti contro i fondi speculativi, che invece avevano scommesso contro. Il titolo GME, che valeva il 21 gennaio solo 44 dollari, il 28 gennaio ha sfiorato i 500 dollari, per poi precipitare il giorno dopo a un po’ meno di 200.

Che cosa succede quando le azioni di una società iniziano ad andare in direzione opposta rispetto a quella prevista dagli “squali” di Wall Street, che avevano scommesso che sarebbero crollate? È semplice: costoro per primi devono iniziare a comprarne le azioni, per evitare perdite enormi e attutire il colpo; infatti, se vendo un’azione che mi è stata prestata a 10 dollari e poi, quando la devo restituire, costa 100 invece dei due dollari che avevo previsto, la perdita è colossale. È un meccanismo noto come short squeeze: consiste nel prendere a prestito per rivendere alla scadenza, a prezzo più alto, un titolo contro cui si era scommesso e che, contrariamente alle attese, vede il proprio prezzo impennarsi proprio per effetto delle transazioni di coloro che operano lo “short”. Gli acquisti per chiudere le posizioni “short” finiscono, infatti, per accelerare i guadagni del titolo. Da ultimo, all’esito delle vendite, il titolo ritornerà a valere molto meno, se del caso anche meno del valore iniziale, precedente l’operazione di “shortaggio”.

E’ questo il meccanismo utilizzato dalle grandi banche d’affari che hanno aggredito il debito sovrano nel 2011, costringendo la BCE al primo intervento di QE–quantitative easing, il famoso whatever it takes di Mario Draghi, allora presidente della Banca, su cui è basato il plot della fortunata serie televisiva di SKY Diavoli. Se il fenomeno dello short squeeze si ampliasse, a rischio vi sarebbe la stabilità dell’intera borsa americana, e non solo essa. Le valutazioni dei titoli azionari verrebbero distorte a favore dei business apparentemente meno vivaci, o destinati a soccombere. La SEC-Securities end Exchange Commission, che negli USA corrisponde alla nostra Consob, non è ancora intervenuta, e non sembra volerlo fare, anche perché vuole comprendere meglio se le azioni dei trader siano coordinate e abbiano una precisa finalità, e quindi abbiano carattere di spregiudicata speculazione, o siano piuttosto il frutto di operazioni spontanee, influenzate semmai dalle discussioni sui forum. Tra le azioni ventilate, la chiusura di Reddit e la sospensione dei titoli oggetto di rialzi eccessivi.

È possibile e auspicabile fermare tale fenomeno? La causa di questa bolla finanziaria non risiede solamente e tanto nella crescita d’importanza dei social come luogo di confronto dei trader: è l’eccessiva liquidità disponibile a rendere possibili gli acquisti degli asset. Essa consegue alle politiche monetarie ultra-espansive delle banche centrali, che continuano a pompare liquidità nel sistema finanziario al ritmo di dieci miliardi l’ora, ultimamente non più frenate dal rischio di aumentare i deficit di bilancio con la giustificazione di dover combattere gli effetti della pandemia. Il mix tra stimoli monetari e deficit ha fatto fluire nelle tasche di molti americani – qualcosa di simile vale per Europa e Giappone – una quantità di denaro che non è finita solo in consumi. Una parte non indifferente ha intrapreso le strade della vie finanza, specie in periodi di lockdown parziali o totali, in cui le spese delle famiglie sono necessariamente represse dagli Stati: non è una questione che si risolve introducendo qualche limitazione al trading o stringendo le maglie della regolamentazione finanziaria.

Se infatti le banche prestano denaro a tasso zero o addirittura negativo, il risparmio dei popoli verrà presto eroso dall’inflazione, perché il piccolo risparmiatore che impiega il proprio denaro a tasso di rendimento di poco superiore al valore nominale subirà il deprezzamento del potere di acquisto, effetto dell’inflazione, fosse anche questa di solo uno o due punti percentuali.

Se tale è la prospettiva, sorge qualche dubbio che la questione si risolva con l’utilizzo da parte dei piccoli risparmiatori delle stesse tecniche della finanza d’assalto! È materia di riflessione per governi e per banche centrali: saggezza ed equilibrio consiglierebbe di orientare le risorse finanziarie verso il mercato dei beni e dei servizi, la cosiddetta economia reale, che invece appare sempre più lontana e invero sganciata dalla finanza.

Renato Veneruso e Daniele Onori

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