Articolo di Pietro Dubolino, pubblicato sul quotidiano La Verità il 17 gennaio 2023.
L’episodio di Gesù e l’adultera, riportato nel solo Vangelo di Giovanni, cap.8, vv. 1-11, era omesso in parecchi dei codici manoscritti più antichi e fu definitivamente inserito nel testo canonicamente approvato del vangelo soltanto a seguito del Concilio di Trento, nel XVI secolo. La ragione della precedente omissione, come ci attesta s.Agostino in De coniugiis adulterinis, II, 6, era quella che, secondo alcuni “di poca fede o piuttosto nemici della vera fede”, l’episodio in discorso sarebbe stato interpretabile come una sorta di giustificazione del peccato di adulterio del quale la donna era accusata da coloro che l’avevano condotta davanti a Gesù. E ciò nonostante che, in realtà – come lo stesso s.Agostino sottolinea in un’altra sua opera (omelia 33 sul Vangelo di Giovanni, par. 6) – se è vero che Gesù, una volta messi a tacere gli accusatori, dice alla donna che neppure lui la condanna, è altrettanto vero che egli, subito dopo, nel congedarla, le raccomanda di “non peccare più”. Se la donna si fosse poi attenuta o meno a tale raccomandazione, non è dato saperlo e non ha, in fin de’ conti, molta importanza.
E’ importante, invece, ricordare che, come riferito nel racconto evangelico, lo scopo per il quale taluni scribi e farisei avevano condotto la donna davanti a Gesù era quello di metterlo alla prova e poterlo quindi accusare di ribellione al chiaro e tassativo disposto contenuto nella legge mosaica (in particolare, nel Deuteronomio, cap. 22, v. 22), secondo cui, in caso di flagrante adulterio, entrambi i responsabili dovevano essere messi a morte. Essi, infatti, si aspettavano che Gesù, alla loro domanda su cosa egli avesse da dire nel caso portato davanti ai suoi occhi, avrebbe preso le difese dell’adultera e si sarebbe dichiarato contrario alla sua condanna, se non altro per non porsi in contrasto con l’atteggiamento di misericordia e indulgenza da lui sempre manifestato nei confronti dei peccatori, tra cui, in particolare, gli odiati pubblicani, incaricati dell’esazione delle imposte per conto del fisco imperiale romano. Gesù, invece, dopo avere a lungo mostrato di voler ignorare quella insidiosa domanda, tacendo e continuando a scrivere qualcosa (non si dice che cosa) sul terreno polveroso con un dito, si decise a rispondere con la famosa espressione: “chi di voi è senza peccato, scagli su di lei la prima pietra”. Al che tutti gli accusatori si allontanarono uno per uno, a cominciare dai più vecchi, ed alla donna, rimasta sola, Gesù si rivolse con le parole dianzi ricordate.
Questo racconto, apparentemente semplice e lineare, può tuttavia suscitare diversi interrogativi. Anzitutto ci si può chiedere, infatti, perché non fosse stato condotto davanti a Gesù anche l‘uomo con il quale la donna aveva commesso l’adulterio. La risposta potrebbe essere, tuttavia, abbastanza facile, ipotizzando che egli fosse in qualche modo riuscito a sottrarsi alla cattura.
Più difficile appare la risposta all’ulteriore interrogativo che sorge dal fatto che coloro i quali avevano condotto la donna davanti a Gesù, apparentemente decisi a lapidarla in ossequio alla legge, avrebbero poi desistito dal loro proposito sol perché riconosciutisi tutti peccatori e, quindi, non legittimati a scagliare la prima pietra; e ciò nonostante che la legge non richiedesse affatto che gli esecutori della condanna, o almeno i primi tra essi, fossero in condizione di “non peccato”. Non è pensabile che fossero stati tutti subitaneamente soggiogati dal fascino emanante dalla persona di quello stesso Gesù al quale, fino ad un attimo prima, volevano tendere un mortale tranello. Più logico è, invece, pensare che, resisi conto che Gesù, con la risposta data alla loro domanda, si era abilmente sottratto all’insidia e che altro non sarebbe stato possibile cavargli dalla bocca, avessero puramente e semplicemente deciso di lasciar perdere il loro progetto e tornarsene da dove erano venuti. Ma perché mai, in tal caso, non avrebbero portato via con loro anche la donna, se veramente la stessa doveva essere destinata alla lapidazione ? Si tratta di un interrogativo al quale, in effetti, non è facile rispondere, se non avanzando un’ipotesi che, per quanto è dato sapere, non risulta sia mai stata avanzata da alcun commentatore: quella, cioè, che, in realtà, fermo restando che lo scopo perseguito dagli accusatori sarebbe comunque stato quello di “incastrare” Gesù, essi avessero creato, per realizzarlo, un’astuta messa in scena, avvalendosi della collaborazione, magari prezzolata, di una qualche donna di facili costumi e, quindi, poco preoccupata, presumibilmente, dell’ulteriore disdoro che da quella collaborazione le sarebbe derivato. Nell’improbabile ipotesi che Gesù, contrariamente alle aspettative, avesse approvato la lapidazione – non eseguibile, però, nell’immediato, perché ci si trovava all’interno del Tempio – gli accusatori si sarebbero facilmente tratti d’ impaccio portando via con loro la donna per poi, una volta lontani, lasciarla andare.
L’ipotesi ora descritta, se fosse vera, non ridurrebbe affatto, ma, anzi, accrescerebbe il valore degli insegnamenti offerti dall’episodio in questione. Tra essi, in particolare, quello che occorre guardarsi da coloro i quali, oggi più che mai, spacciandosi (al pari degli scribi e farisei menzionati nel Vangelo) come adamantini custodi della legalità e della giustizia, in forza della loro pretesa superiorità tanto nella sfera morale quanto in quella giuridica, non esitano a ricorrere ad ogni e qualsiasi espediente pur di screditare chiunque abbia l’unico torto di non condividere la loro visione delle cose.