Leo Strauss in “Diritto naturale e storia” sostiene la tesi provocatoria secondo cui la filosofia politica degli antichi greci è di gran lunga superiore alla scienza politica dei moderni, in un’ampia trattazione che ha per oggetto la storia del concetto di diritto naturale. Strauss vuole dimostrare che la teoria classica del giusnaturalismo è l’unica capace di conferire un genuino fondamento filosofico ai diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino sanciti nelle costituzioni delle democrazie occidentali.
1. Leo Strauss nacque nel 1899 a nord di Francoforte. Compì i suoi studi a Friburgo e Marburgo, dove venne in contatto, tra gli altri, con Husserl, Heidegger e Gadamer. Durante la sua istruzione conobbe anche Jacob Klein, che gli resterà amico per tutta la vita. Il contesto in cui mosse i suoi primi passi nella filosofia era dominato allora da Hermann Cohen, esponente di spicco del Neokantismo e del liberalismo religioso, nonché dell’assimilazionismo per quanto riguarda la questione ebraica, cioè continuatore del lungo percorso di emancipazione inaugurato da Moses Mendelssohn nel XVIII secolo.
Tale filosofia si dimostrò inadatta per il mondo tedesco successivo alla Prima Guerra Mondiale, tanto da provocare nei giovani intellettuali ebrei una sorta di disillusione:oltre a Strauss, H. Arendt, K. Löwith, H. Jonas, T.W. Adorno, M. Horkheimer, W. Benjamin, M. Buber, G. Scholem. Già nella sua tesi di laurea, Strauss si distanziò sia dal neokantismo che dalle posizioni politiche di Cohen, che era social-democratico, nonché da quelle del suo supervisore Ernst Cassirer, filosofo eokantiano come Cohen: infatti essa tratta di Jacobi quale oppositore dell’illuminismo tedesco e dunque critico di Kant e Moses Mendelssohn per l’introduzione del nichilismo (Jacobi si è sollevato a difesa della fede cristiana tradizionale contro le posizioni antireligiose illuministe).
Negli anni 1920 Strauss era immerso in un fervido clima intellettuale: le analisi sociali di Weber, le teorie politiche Schmitt, le lezioni di Heidegger, senza dimenticare Nietzsche, centrale per Strauss tra i 25 e i 30 anni, contribuirono alla diagnosi di quel disagio della civiltà, dal titolo di uno dei capolavori di Freud, dominante nei circoli intellettuali di quegli anni. Dal punto di vista dell’ebraismo, all’assimilazionismo di Cohen si opposero le nuove teologie di K. Barth e F. Rosenzweig (Strauss partecipò alle attività organizzate da Rosenzweig tra il 1922 e il 1924 a Francoforte sul Meno). Rosenzweig sosteneva anche che il problema dell’ebraismo fosse oltre la storia, tesi a cui si avvicinerà molto Strauss con il suo primo lavoro maturo (Spinoza e la critica della religione). In opposizione a questa tesi, si rafforzava in quegli anni il movimento del Sionismo.
Strauss, anche se è incerto se egli ne sia stato affascinato inizialmente, in seguito lo reputò fallimentare poiché la questione ebraica veniva posta e risolta su un piano puramente secolare. Ciò che era tralasciato era la questione centrale della Fede. Allo stesso modo anche nella tesi assimilazionista di Cohen la democrazia liberale riusciva a risolvere il problema legale (uguaglianza davanti la legge) ma non quello sociale, “l’essere ebrei” del popolo ebraico. Per riassumere queste due posizioni, fondamentali poiché è dal riconoscimento del loro fallimento che Strauss inizierà il suo cammino filosofico, si può affermare che entrambe sono soluzioni secolari: l’assimilazionismo chiede la sottomissione interiore, mentre il sionismo politico fonda uno stato ebraico tra altri stati (non dunque l’ebraismo inteso come fede ma come culturapolitica).
2. Per Strauss dunque il problema ebraico diviene il banco di prova per vagliare qualunque modello moderno di società. Ciò comporta in primis un ritorno alle origini della modernità per saggiarne le fondamenta: questo fu un percorso comune a molti intellettuali tedeschi, ma la strada intrapresa da Strauss resta peculiare a lui soltanto. Tralasciando il pensiero di Strauss che scaturì da questo magma culturale, restano pochi cenni biografici da segnalare nella vita del filosofo. All’inizio degli anni 1930 ottenne una borsa di studio dalla Rockefeller Foundation di Londra, anche grazie all’intercessione di Carl Schmitt, che lo portò prima a Parigi, dove conobbe Alexandre 13 Kojève, e poi nella stessa capitale britannica, consentendogli di sfuggire al neonato regime nazista. Nel 1937 si trasferì negli USA, con impieghi prima alla Columbia University e alla New School di New York, e dal 1949 all’University of Chicago.
Fu Oltreoceano che, seppur già riconosciuto come importante intellettuale, raggiungerà una modesta fama, scrivendo in inglese per un pubblico americano. Ciò fu possibile per l’impatto da lui avuto nella riscoperta della filosofia politica e del suo carattere normativo, in contrapposizione alla scienza politica basata sulla distinzione tra fatti e valori. Un altro elemento di novità del suo insegnamento per il pubblico americano fu l’attenzione prestata ai filosofi ebrei e islamici medioevali, nonché la freschezza con cui ripresentò autori classici e moderni, da Platone a Machiavelli. I suoi due testi più famosi sono le Walgreen Lectures, tenute nel 1949 a Chicago, che saranno poi rielaborate e pubblicate con il titolo “Diritto Naturale e Storia” nel 1953 e la “Storia della Filosofia politica”, in collaborazione con Cropsey. Strauss morì nel 1973 di polmonite.
3. L’interesse prevalente dell’ermeneutica straussiana ruota attorno al problema politico inteso come luogo in cui la filosofia è chiamata a misurare la sua credibilità in quanto scienza rigorosa. Da questo punto di vista, per Strauss la nascita, a opera di Socrate, della filosofia politica, della “trattazione politica, ossia popolare della filosofia”[1], ovvero della “filosofia delle cose umane” comprese nella loro essenza, rappresenta il momento da cui ha inizio la filosofia classica tout court, nonché la motivazione della necessità del modo di vivere filosofico come sommamente giusto. Più ci si allontana da una differenziazione netta tra cose umane e cose naturali o divine, più c’è il rischio della fuga nella Weltanschauung, nella soluzione perfetta che rende omogenei tipi di ricerca qualitativamente diversi, come per es. la soluzione del problema umano e quella del problema cosmologico. Strauss suggerisce di rispondere riflettendo sul fatto che Socrate riuscì a fondare la filosofia politica, indirizzandosi così alle questioni umane, proprio perché fu il primo filosofo a portare alla luce un concetto di essere completamente nuovo, caratterizzato primariamente dalla sua articolazione in forme o caratteri visibili delle cose. Socrate avrebbe di fatto compreso la ‘natura’ più rigorosamente, più scientificamente dei suoi predecessori.
Precedentemente a ogni speculazione filosofica, l’uomo constata da sempre l’esistenza di una certa regolarità dei fenomeni, di un certo costume o carattere che ogni cosa manifesta di per sé, nonché di quella via abituale per eccellenza che è la via della propria comunità, la via buona perché nostra ed antica, la via ancestrale o divina: il theos nomos[2] . Alla luce di ciò, potremmo addirittura asserire che in generale l’uomo non può mai fare a meno di idee sulle cose prime, di essere soggetto ad un codice o ad una legge che ne manifesti l’origine. Tuttavia, i costumi degli aggregati umani sono molteplici e spesso in conflitto fra loro, ed è qui che entra in gioco l’idea di natura scoperta dalla filosofia. Quest’ultima deve necessariamente trascendere il divino e fondare una netta distinzione tra la via per natura e la via per convenzione, tra l’essere in verità e l’essere in virtù della legge.
4. Ma siamo solo alle prime battute della nascita della scienza politica o della scienza tout court. Infatti, è solo grazie all’ignoranza socratica, all’indagine sull’essenza di ciascuna cosa e non sulle radici nascoste del kosmos, che la ragion sufficiente della distinzione tra natura e convenzione viene alla luce. Socrate è il primo tra i filosofi a riflettere seriamente sul fondamento della comprensione scientifica che la filosofia stessa aveva aperto, ossia sull’unico carattere che una conoscenza filosofica possa mai rivendicare e sui pericoli di una mancata attenzione di ciò che è alla base di ogni processo conoscitivo. La ‘moderazione’ socratica, opposta alla follia dei presocratici, è un insieme di rigorosità e ignoranza perenne intorno alle cose più importanti, che non possiamo esimerci dal paragonare alla critica husserliana nei confronti del naturalismo trionfante e della sua distruzione di ogni obiettività.
In certo qual modo, Socrate riteneva che i suoi predecessori saltassero, con grande ingenuità e noncuranza, dai fenomeni alla natura, dalla legge divina alla legge naturale, senza riflettere sul punto di partenza, sul terreno originario da cui la scientificità stessa non può fare a meno di sorgere e trovare la sua giustificazione. La natura è primariamente l’articolazione di un Tutto, una presa di coscienza delle idee del Tutto che ogni uomo presuppone, prima di qualsiasi percezione delle cose singole. Il dibattito tra opinioni contraddittorie, da cui si innalza la filosofia, è la prova più concreta di una tensione verso la verità, del possesso in nuce dei semi di un mondo dei valori, senza il quale sarebbe impossibile proferire parola o pretendere come valido il proprio giudizio. Una volta riconosciuta una dimensione alta, la dimensione delle essenze o dell’episteme, la chiave per la sua comprensione risiederà in un percorso ascensionale che non potrà prender congedo da ciò che è primo per noi, dalle opinioni, dalla superficie delle cose: è nelle verità più ovvie che risiedono in origine i sommi principi. Socrate è costretto così a ripetere il passaggio dalla legge alla natura, ma con innovata consapevolezza, prudenza e attenzione, trascendendo le opinioni in modo esauriente ed efficace e dimostrando in tal modo la necessità della verità.
Nel 1953 Strauss pubblicò Natural Right and History, il suo testo più famoso e certamente uno dei suoi più importanti, anche se non gode di una posizione a sé nel suo corpus: si tratta della rielaborazione di alcune lezioni tenute da Strauss qualche anno prima. In esso Strauss si accorse che in Hobbes operava ancora una riserva che invece Machiavelli non faceva. Spetta dunque all’italiano il ruolo di scopritore del Nuovo Mondo per la filosofia e per la politica: le nozioni antiche vengono capovolte. In aggiunta a ciò, si sottolinea l’importanza della propaganda quale coincidenza tra filosofia e politica. Per Strauss è lo stesso Machiavelli il nuovo principe, il profeta disarmato che non sceglie tra carità e severità ma tra umanità e disumanità, moralità e immoralità. Fu Machiavelli colui che scoprì il continente su cui Hobbes avrebbe potuto erigere la sua struttura.
5. Nei primi 2 capitoli di Natural Right and History il leitmotiv dell’argomentazione di Strauss risiede nell’indifferenza alla morale propria delle scienze moderne, a partire da Machiavelli ed arrivando poi allo storicismo, al relativismo, come particolare forma di positivismo che sostituisce all’empiria il processo. Lo storicismo però non può trattare la propria obsolescenza: gli storicisti si autoescludono dal processo, invocando una sorta di fine della storia. Hegel cerca di superare tale contraddizione con l’esistenza di un momento assoluto nella storia: ma in tale mondo la ricerca della verità dovrebbe divenire verità e la filosofia terminare; al contrario in Marx vi è un abbassamento dal livello hegeliano: la metafisica è scambiata per la storia materiale.
Nel terzo capitolo Strauss analizza la distinzione fatti-valori confrontandosi con Weber: per Strauss l’esame fattuale dei valori presuppone la scelta/apprezzamento di cosa si sta analizzando, quindi presuppone dei valori personali: il diritto naturale è oggi rifiutato non solo perché tutto il pensiero umano è considerato essere storico, ma anche perché si ritiene che ci sia una varietà di principi intercambiabili di Giustizia e Bontà che confliggono tra loro, e nessuno può dimostrarsi superiore agli altri. Sostanzialmente, questa è la posizione presa da Max Weber. Le lezioni che diventeranno Natural Right and History sono ricche di polarità, tra cui modernità contro antichità. Strauss in questo modo traccia una sua interpretazione della storia del pensiero per quanto riguarda i temi che gli interessano. La prima dicotomia è quella tra diritto naturale classico e moderno: il primo prevede un fine per ogni ente comprensibile con la ragione (teleologismo), mentre il secondo ha una concezione dualistica della natura.
6. Esso infatti si divide tra una scienza non finalistica della natura (la scienza moderna, la moderna immagine scientifica della realtà) e una scienza finalistica dell’uomo. In realtà tale concezione moderna si rivela una forma di dogmatismo, dovuto allo scetticismo cartesiano: la fondazione metafisica della nuova scienza è la fede che la scienza moderna abbia confutato l’immagine naturale del mondo. Il problema della scienza è che, limitandosi a giudizi di fatto, ed escludendo quelli di valore, non riesce a dare conto di sé stessa, delle domande soggettive cha la spingono a cercare risposte oggettive. Anch’essa si rivela dunque essere storica. Il positivismo moderno si riduce a storicismo, che in quanto mezzo per ogni fine, diviene nichilismo.
Le critiche frequenti che vengono mosse a Strauss sono quelle di anti-democraticismo e antiegualitarismo; sono mal poste perché per il filosofo la razionalità non dipende dalla maggioranza. Allo stesso modo la sua ermeneutica non è elitaria o mistica quanto razionale, in linea con una visione anticonformista della filosofia, che rende i filosofi del passato vivi. Essa si origina nella contrapposizione tra filosofia e città, ed è inscindibile dal problema dell’educazione liberale, costituita dalla lettura e dal confronto con i grandi classici. Inoltre, se Strauss si fa portavoce di una linea politica, cosa che è per altro dubbia, essa assume la forma di un conservatorismo politico moderato, ben distante dalla politica bellicista radicale dei neoconservatori. Strauss infatti avversa ogni messianismo che miri alla perfezione nel mondo, come si ricava dalla sua concezione della filosofia (politica), che ha come scopo non ciò che è realizzabile ma ciò che è giusto. La sua visione dunque non è progressiva ma tantomeno apocalittica. Questo breve elenco delle errate interpretazioni più diffuse non fa che sottolineare la centralità goduta da Strauss nel dibattito conservatore della fine del secolo e contemporaneo.
La sua centralità nel pensiero conservatore è dovuta in larga parte alla sua interpretazione del liberalismo moderno: infatti sia il liberalismo che il conservatorismo agiscono all’interno della moderna democrazia.
Daniele Onori
[1] L. Strauss, La filosofia politica classica, in Gerusalemme e Atene, Torino 1998, p.226
[2]Sulle diverse soluzione a cui pervengono la filosofia e a rivelazione di fronte al problema dell’opposizione tra codici divini cfr. Strauss, Progresso o ritorno?, in Gerusalemme e Atene, pp.37-85.