Bruxelles sacrifica la ricchezza delle produzioni agricole europee sull’altare dell’ideologia ambientalista.
La Politica Agricola Comune (PAC) della programmazione 2021-2027 è associata al Green Deal europeo sia per rispondere alla strategia climatica della Commissione europea, sia per implementare gli impegni ambientali derivanti dall’Agenda ONU 2030, ovvero gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Di fatto, l’attuazione concreta della PAC, che cerca di trasformare le pratiche agricole in un modello sostenibile, ha sollevato diverse criticità, non solo di natura tecnica, per le difficoltà di applicazione delle normative, ma anche dal punto di vista politico e sociale. Il tentativo di uniformare il settore agricolo europeo, senza considerare le diversità nella struttura produttiva tra i vari Stati membri, e, ancor più, all’interno dei sistemi produttivi nazionali, ha evidenziato limiti nell’efficacia dell’attuazione di queste misure.
Sebbene la Commissione europea collabori con i Paesi UE per far rispettare e mettere in pratica la legislazione, dal momento che le aree di interesse sono tra loro correlate per creare un’economia efficiente che raggiunga emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050, la mancanza di solide strategie di pianificazione territoriale per gestire la transizione verde ed un uso ottimale delle risorse naturali rende, tuttavia, più difficile l’attuazione della strategia.
Le rigorose normative e gli ambiziosi obiettivi del piano europeo hanno conseguenze in modo particolare sul settore agricolo. Gli Stati membri hanno dovuto redigere e presentare alla Commissione i cosiddetti Piani Strategici per perseguire i nove obiettivi della PAC concordati a livello europeo, tra cui quelli ambientali, in quanto vi è un collegamento diretto tra i finanziamenti e le pratiche verdi. Il 25% dei pagamenti diretti, che costituiscono il primo pilastro della PAC, è destinato a finanziare gli eco-regimi, mentre, il 35% dei fondi è assegnato alla spesa per ambiente e clima (secondo pilastro per lo sviluppo rurale).
Pertanto, il presente articolo ha come scopo d’illustrare i problemi principali legati all’implementazione della strategia per l’agricoltura italiana ed europea, con un focus su due dossier chiave della scorsa legislatura (2019-2024): il Regolamento (UE)202471991 sul ripristino della natura, e la Proposta di regolamento relativo all’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari.
Nondimeno, le criticità riguardanti le politiche europee, che penalizzano il settore agricolo italiano il cui tessuto produttivo è caratterizzato da aziende di piccole e medie dimensioni, non sono legate solo agli obiettivi ambientali della politica agricola. È doveroso, inoltre, sottolineare il fatto che l’attuale legislazione dell’UE permette ai Paesi extraeuropei, i cosiddetti Paesi terzi, di importare volumi crescenti di merci a prezzi concorrenziali. Spesso il valore dei prodotti esteri è nettamente inferiore a quello europeo dal momento che non vi è obbligo di rispettare i medesimi standard di sostenibilità ambientale e socioeconomica che l’UE applica nei confronti dei propri produttori. A causa della concorrenza sleale dei Paesi terzi, il settore agricolo continua a lavorare in perdita, mentre i costi di produzione aumentano e i prezzi di mercato crollano. Di conseguenza, molte aziende del settore sono costrette a chiudere, determinando gravi ripercussioni economiche, sociali, ambientali nei nostri territori.
Negli ultimi tre anni, in particolare dopo l’invasione russa in Ucraina nel febbraio 2022, gli agricoltori hanno dovuto affrontare ingenti perdite finanziarie, evidenziando la fragilità delle politiche europee in caso di sconvolgimenti geopolitici su larga scala. Fin dai primi mesi del conflitto, l’aumento dei costi delle materie prime, in primis carburante e fertilizzanti, ha gravemente pesato sui bilanci aziendali. In seguito, si è aggiunto un incremento dei prezzi di produzione del grano a fronte di un calo dei valori di vendita sul mercato, causando una contrazione dei margini di profitto. Si evidenzia così la forte dipendenza dell’UE dalle importazioni di grano e materie prime da Ucraina e Russia e la conseguente necessità di rafforzare la sicurezza alimentare. La risoluzione del Parlamento europeo del 14 giugno 2022 sul “Garantire la sicurezza alimentare e la resilienza a lungo termine dell’agricoltura dell’UE” (2022/2183(INI)) riflette l’importanza di incrementare l’autonomia strategica dell’Europa. Sebbene non sia una direttiva vincolante, ha avuto un ruolo fondamentale sull’impatto tra sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale, portando la Commissione europea a riconsiderare l’attuazione di alcune misure chiave del Green Deal agricolo.
In questo contesto storico, è aumentata la percezione che le normative ambientali e di sostenibilità, previste nell’ambito del Piano Verde, siano un ostacolo all’aumento della produzione del settore. Si ritiene quindi necessario garantire politiche e misure per migliorare la sicurezza alimentare e potenziare la capacità produttiva europea riducendo la dipendenza dai prodotti agroalimentari importati, non solo degli input, per assicurare un approvvigionamento sul lungo periodo.
Per comprendere le debolezze della PAC è necessario analizzare la sua evoluzione e la base giuridica di riferimento, a partire dalle prime riforme che hanno sempre più marcato il legame tra ambiente e agricoltura.
Con il Trattato di Roma del 1957, entrato in vigore l’anno successivo, è stato istituito il mercato comune europeo per i sei Stati membri fondatori. Di conseguenza, fu reso necessario garantire anche la libera circolazione dei prodotti agricoli e, contemporaneamente, uniformare i meccanismi di intervento a livello comunitario. Su queste basi, nel 1962, viene lanciata la Politica Agricola Comune (PAC) con l’obiettivo di proteggere le imprese e assicurare sicurezza alimentare.
L’agricoltura diventa così l’unico settore ad essere regolamentato da una politica comunitaria. A livello normativo, è definita dagli articoli dal 38 al 44 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU). Attualmente, gli aiuti diretti e indiretti hanno comportato un aumento della produttività ed efficienza, al punto che il 30% del budget europeo è destinato alla PAC, ovvero 50 miliardi di sussidi all’anno, per il periodo 2023-2027.
In principio, gli obiettivi iniziali della PAC erano strettamente di natura economica, in particolare le misure limitavano la volatilità dei prezzi causata da squilibri di mercato intervenendo sulla domanda e offerta dei prodotti agricoli. Per far fronte ad una situazione di instabilità strutturale, la PAC prevedeva di regolare i mercati attraverso meccanismi a sostegno del reddito degli agricoltori. Allo stesso tempo, questi interventi tutelavano anche gli interessi dei consumatori grazie a prezzi ragionevoli e sicurezza degli approvvigionamenti.
A partire dagli anni Novanta, con la riforma MacSharrey, non solo si arriva ad un sistema di sostegno diretto al reddito, ma vengono inserite misure in materia di protezione dell’ambiente ai fini della concessione degli aiuti, per arrivare, nel 2003, all’eco-condizionalità per gli agricoltori (riforma Fischler), ovvero l’obbligo di rispettare norme ambientali, sanitarie, sul benessere animale e vegetale come condizione per ottenere contributi.
Il processo avviato nel 1992, che intende integrare maggiormente nella PAC questioni ambientali e strutturali, viene poi ripreso nel documento strategico adottato dalla Commissione europea, Agenda 2000 (1997), che definisce il quadro programmatico della PAC per il periodo dal 2000 al 2006. La dimensione ambientale comincia ad acquisire un ruolo maggiore, introducendo la possibilità, per gli agricoltori, di ricevere un compenso per il mancato guadagno o per i costi aggiuntivi legati all’attuazione di azioni specifiche per l’ambiente.
Le riforme successive consolidano questo legame, fino ad arrivare al lungo processo per l’adozione della riforma quadro post 2020, che definisce la PAC per il periodo 2021-2027.
Nel 2020 la Commissione europea ha presentato il piano relativo al Green Deal europeo, la strategia “Farm to Fork” (o “Dal produttore al consumatore”), e, infine, la “Strategia sulla biodiversità”. Dal punto di vista normativo, questo ha comportato l’adozione di tre regolamenti sui piani strategici della PAC, sul finanziamento, sulla gestione e monitoraggio e sulla riforma dell’organizzazione comune unica dei mercati.
Gli obiettivi generali prevedono di creare un settore agricolo competitivo e un sistema alimentare sostenibile in linea con gli obiettivi climatici dell’Unione europea, compresi gli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi del 2015, diventando, di fatto, l’elemento unificante dei pilastri della PAC riformata. Si introduce quindi una “condizionalità rafforzata”, la quale collega il sostegno diretto al reddito a pratiche agricole rispettose dell’ambiente, i regimi ecologici e i Piani Strategici Nazionali. La nuova “architettura verde” messa in atto dagli Stati membri prevede, tra l’altro, rotazione delle colture, agroecologia, difesa fitosanitaria integrata, protezione dei suoli ricchi di carbonio e pratiche per il benessere degli animali. Viene stanziato il 40% del bilancio della PAC al conseguimento di tali obiettivi contribuendo in modo significativo alla spesa complessiva UE per il clima, ed un ulteriore impegno del 10% del bilancio per il periodo 2023-2027 è erogato in materia di biodiversità. Inoltre, con l’inserimento della clausola “no backsliding”1, gli Stati membri sono obbligati ad adottare piani strategici più ambiziosi in materia di ambiente e clima rispetto allo scorso periodo di programmazione. Allo stesso tempo aumenta l’impegno degli agricoltori nell’attuazione delle suddette pratiche.
Attualmente la Commissione europea ha presentato la sua roadmap per il futuro dell’agricoltura europea, nel documento “Vision for Agricolture and food”, in vista della nuova PAC 2028-2034, in cui la sostenibilità rimane sempre un punto cruciale, sebbene siano previste riduzioni dei vincoli ambientali, ma si inseriscono nuove posizioni che favoriscono la competitività del settore e la resilienza sia alla luce delle sfide della concorrenza globale sia per mitigare gli effetti della crisi climatica.
In riferimento alla base giuridica, le politiche strutturali e di coesione, di cui la PAC fa parte, quindi il conferimento della competenza esclusiva in materia di mercato agricolo, sono regolate dal Titolo III del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea2 (TFEU). Dagli articoli 38 a 44 viene definita la politica comune dell’agricoltura e della pesca e si stabiliscono le finalità, gli strumenti e le competenze. Gli articoli 40 e 42 del TFUE, disciplinano gli strumenti attuativi della politica agricola, come l’organizzazione comune dei mercati (OCM) e le misure di sostegno finanziario; per l’adozione degli atti in materia è stata stabilita la “procedura legislativa ordinaria”, attribuendo il potere legislativo congiunto al Parlamento europeo e al Consiglio, che adotta misure su proposta della Commissione (Art.43 TFEU).
La PAC attualmente in vigore è riferita al periodo di programmazione 2021-2027, in linea con il quadro finanziario pluriennale della UE. A causa di ritardi ed un periodo transitorio di due anni, a gennaio 2023 sono entrati in vigore i tre regolamenti della PAC riformata. In particolare, il Regolamento3 (UE) 2021/2115 del Parlamento europeo e del Consiglio del 2 dicembre 2021 recante norme sul sostegno ai piani strategici che gli Stati membri devono redigere; il Regolamento (UE) 2021/2116 sul finanziamento, la gestione e il monitoraggio della PAC; e il Regolamento (UE) 2021/2117, che modifica l’organizzazione comune dei mercati. I regolamenti si configurano come atti legislativi vincolanti, quindi obbligatori in tutti i loro elementi nell’intera Unione, con la conseguenza che le norme in essi contenute producano direttamente i loro effetti giuridici senza misure di recepimento da parte degli Stati membri nel loro ordinamento giuridico interno.
Secondo il Reg. (UE)2021/2115, ciascuno Stato adotta il proprio Piano Strategico Nazionale cofinanziato dai fondi UE, FEAGA e FEASR, in cui stabilisce obiettivi, eco-schemi, autorità di gestione e monitoraggio in quanto i pagamenti diretti sono vincolati a condizioni ambientali e sociali, mentre gli eco-schemi incentivano pratiche ecologiche aggiuntive. Ciascun Piano deve essere sottoposto all’approvazione dalla Commissione europea e il sistema di attuazione prevede un meccanismo di gestione e controllo per garantirne l’efficacia e la trasparenza ed evitare un disallineamento dagli obiettivi fissati.
A livello strutturale, la materia ambientale rientra tra quelle di competenza concorrente tra l’UE e i singoli Stati, secondo gli artt. 191 e ss. del TFEU, così che la sostenibilità sia integrata tra le politiche europee a forte impatto economico, come quella agricola. In base al diritto primario attualmente vigente, è prevista anche l’attuazione del principio di integrazione (art. 11, TFEU), il quale stabilisce che “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.
Dal momento che viene riconosciuta all’Unione europea una competenza concorrente in materia, essa deve essere esercitata in rispetto del principio di sussidiarietà4 conformemente all’art. 5, paragrafo 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE), motivo per cui le azioni legislative proposte nell’ambito del Green Deal sono sottoposte a valutazioni di impatto che giustificano l’intervento dell’Unione, qualora le azioni a livello nazionale non garantiscano una corretta efficacia. Si sottolinea, tuttavia, che tale principio non trova totale applicazione nella Politica Agricola Comune, limitatamente ad aspetti esecutivi come i Piani Strategici Nazionali e, in misura minore, al regolamento orizzontale sui finanziamenti (Reg. (UE)2021/2116).
Nonostante il quadro normativo preveda l’integrazione della sostenibilità ambientale nelle politiche settoriali, l’attuale configurazione della PAC presenta rilevanti criticità nella sua attuazione concreta.
Il legislatore europeo non ha accuratamente tenuto conto delle diversità del settore e ne è dimostrazione la protesta su larga scala che ha coinvolto gli agricoltori ad inizio 2024. Le manifestazioni, promosse da aziende di varie dimensioni e di diversi Paesi europei, in cui il settore contribuisce in modo sostanziale al PIL, hanno espresso l’urgenza da parte delle Istituzioni di una revisione della strategia F2F (Farm to Fork), in particolare il Regolamento (UE)2024/1991 sul Ripristino della Natura. Un’altra richiesta chiave avanzata riguardava la Proposta di Regolamento relativo all’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (SUR) che avrebbe dovuto abrogare e subentrare alla Direttiva 2009/128/EC, proposta che è stata poi ritirata dalla stessa Commissione europea a febbraio 2024.
Tali regolamenti sono parte integrante del Green Deal, concepito per aiutare l’Unione Europea a raggiungere i suoi principali obiettivi: contenere il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5°C, raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ridurre l’uso di pesticidi del 50% entro il 2030, ripristinare gli ecosistemi, promuovere una produzione alimentare sostenibile e favorire l’innovazione nel settore.
Sebbene, rispetto alla precedente programmazione, venga abolito il pagamento greening con gli obblighi di diversificazione, la nuova PAC introduce nuove condizionalità per la transizione verde. Agricoltori e associazioni di categoria sollevano critiche sull’efficacia delle nuove misure, ritenendo che risultino sproporzionate rispetto agli obiettivi dichiarati e che impongano oneri burocratici, nonché potenzialmente sostenibili solo da grandi aziende o multinazionali.
A conferma di ciò, la Relazione Speciale 20/2024 della Corte dei Conti Europea (Special Report 20/2024: Common Agricultural Policy Plans – Greener, but not matching the EU’s ambitions for the climate and the environment) conferma che i requisiti ambientali più stringenti e le riduzioni del budget complessivo hanno imposto ulteriori oneri agli agricoltori, la stessa Commissione europea nella valutazione di impatto5 presentata nel 2018 riguardante la proposta normativa aveva stimato una possibile riduzione del reddito degli agricoltori tra il 5% e il 10%. È necessario sottolineare che dall’audit emerge come non sia stata effettuata una valutazione dettagliata dei costi sostenuti dagli agricoltori né dei benefici ambientali e climatici derivanti dalla nuova PAC, ad esempio analizzando singolarmente i benefici e i costi di ciascun BCAA (beni comuni agricoli e ambientali) e CGO (obiettivi climatici generali). Di conseguenza, un’analisi più approfondita sarebbe stata utile per bilanciare in modo più trasparente l’efficacia e l’impatto economico delle singole componenti della PAC 2023-2027.
In aggiunta, si evidenzia che l’attuale sistema si applica in modo uniforme a tutte le realtà agricole, indipendentemente dalla loro struttura o capacità produttiva, con il rischio che l’approccio “one size fits all” penalizzi in modo particolare le piccole e medie imprese a conduzione familiare, che rappresentano il tessuto agricolo italiano. Il pericolo riguarda anche la continuità di produzioni tradizionali o legate a territori specifici, aggravando ulteriormente le difficoltà delle aziende.
Paola Ghidoni e Silvia Pasquinetti
- https://documenti.camera.it/leg19/dossier/testi/RI025.htm ↩︎
- https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:12012E/TXT:it:PDF ↩︎
- https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32021R2115 ↩︎
- https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/7/il-principio-di-sussidiarieta ↩︎
- https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=SWD%3A2018%3A301%3AFIN ↩︎