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Nota a Cass. pen.,  Sez. VI, n.2173 del 20/12/2018 ( dep. 17/01/2019)

di Giuseppe Marra – Magistrato

Il titolo di questa breve nota sintetizza provocatoriamente il principio di diritto espresso dalla recente sentenza della Suprema Corte, poiché la questione della rilevanza penale dell’affidamento a terzi di un minore a titolo gratuito, la cui soluzione potrebbe sembrare scontata secondo il comune sentire, era in realtà oggetto specifico di ricorso da parte dell’imputata (la madre del minore) al fine di ottenere l’assoluzione dal reato di cui all’art. 71, comma 1, della Legge 4 marzo 1983, n.184 (Diritto del minore ad una famiglia), per il quale era stata condanna sia in primo che in secondo grado. La norma citata prevede che : “ Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero perche’ sia definitivamente affidato, e’ punito con la reclusione da uno a tre anni .”, senza che sia richiesto al fine dell’integrazione del reato che l’affidamento del minore avvenga a seguito del pagamento di un corrispettivo (ipotesi certamente più frequente), e con un aggravamento di pena per il caso in cui l’affidamento a terzi avvenga ad opera del genitore o del tutore .

La triste vicenda umana vedeva come protagonista una giovanissima donna che, malgrado fosse in stato avanzato della gravidanza, era intenzionata ad abortire e per tale ragione si era rivolta ad un ginecologo. Il medico per praticare l’aborto illegale le aveva chiesto una consistente somma di denaro, che la ragazza non era in grado di pagare. Ed allora il medico, con una notevole pervicacia criminale, aveva concordato con la gestante che, una volta nato il bambino, esso sarebbe stato affidato ad una coppia desiderosa di avere un figlio, al di fuori ovviamente da qualsivoglia pratica legale di adozione. L’accordo non prevedeva alcun compenso per la giovane mamma, mentre il medico, all’insaputa della donna, aveva ottenuto dalla coppia di aspiranti genitori la promessa di ricevere per la sua attività la somma di 20.500 euro.

Per queste condotte illecite il medico e la coppia dei cosiddetti genitori intenzionali erano stati condannati anche in appello per il delitto di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, nonché per l’art. 7, commi 1-4-5, della citata legge n.184/1983.

La giovane mamma era stata condannata invece solo per il reato di cui all’art. 71, comma 1, sopra descritto, ossia per l’affidamento a terzi di un minore, in violazione delle norme di legge in materia di adozione.

Il ricorso per cassazione di quest’ultima imputata era formulato sostanzialmente con due motivi : in primo luogo si eccepiva che l’art. 71, comma 1, L. n.184/1983 troverebbe applicazione solo nell’ambito di una formale procedura di adozione, che nella specie non era neppure iniziata; in secondo luogo si contestava che la sentenza di condanna per l’affidamento illegale del minore non aveva tenuto conto del fatto che l’imputata non aveva ricevuto alcun compenso, né era stata parte dell’accordo corruttivo tra il ginecologo e la coppia a cui era stato affidato il minore, ragion per cui  la norma andava interpretata in maniera difforme da come avevano fatto i giudici di merito, mancando, ad avviso della difesa, un elemento costitutivo della fattispecie.

La Cassazione ha rigettato il ricorso perché infondato sotto entrambi i profili, con una motivazione sintetica ma puntuale. La Corte ha infatti sostenuto che il delitto di cui all’art. 71, comma 1, L. n.184/1983 “…non richiede affatto che l’affidamento illegale del minore sia avvenuto nell’ambito di una procedura formale di adozione, né è richiesto per colui che affida il minore la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso, essendo tale compenso previsto solo come condizione di punibilità per colui che “riceve” il minore in illecito affidamento”. Nel passaggio successivo viene poi chiarita la ratio della norma incriminatrice, secondo cui : “… chi affida illegittimamente il minore viola sempre l’interesse del minore ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela (stabilità della coppia, maturità e capacità educativa della stessa etc.); chi lo riceve è punito, invece, solo se ha pagato, evidentemente perché non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità, senza ricorso a strumenti  latamente corruttivi.”.

In conclusione chi affida un minore a terzi, al di fuori dai casi disciplinati dalla legge sull’adozione, è sempre punito con la reclusione da uno a tre anni, pena aumentata per i genitori e gli altri soggetti indicati dal comma secondo dell’art. 71 citato.

Va infine evidenziato che la tutela penale di cui alla presente nota, non riguarda il cosiddetto fenomeno della maternità surrogata o utero in affitto, nel quale l’accordo illecito per dare il proprio figlio ad altri comprende necessariamente la donna gestante, che deve portare a termine la gravidanza, e precede la nascita del minore; in tali casi la tutela penale viene offerta dall’art. 12, comma 6, legge 19 febbraio 2004, n. 40, che prevede la sanzione penale della reclusione da tre mesi a due anni e la multa da € 600.000,00 ad 1.000.000 di euro nei confronti di  “..chiunque, in qualsiasi forma, realizza organizza o pubblicizza … la surrogazione di maternità”.

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