Articolo di Pietro Dubolino, pubblicato sul quotidiano La Verità il 27 dicembre 2022.
La vicenda narrata nella parabola comunemente detta dei “lavoratori dell’ultima ora” (Matteo, 20, 1-16), è, nell’essenziale, molto semplice. Il proprietario di una vigna, avendo bisogno di operai a giornata, esce di buon mattino e, trovati in piazza alcuni che erano in attesa di chi li chiamasse, li assume promettendo la retribuzione di un denaro per ciascuno. Dopodiché, uscito ancora a più riprese nel corso della stessa giornata e trovati ogni volta, fin quasi al tramonto del sole, altri operai in attesa, assume anche loro e li manda a lavorare nella vigna. A fine giornata, dovendo provvedere al pagamento e cominciando dagli ultimi assunti, dà a ciascuno di loro un denaro. A questo punto i primi assunti, avendo lavorato per un maggior numero di ore, si sarebbero aspettati di ricevere una retribuzione superiore. Ma il padrone dà anche a loro un denaro per ciascuno. E, a fronte delle loro rimostranze, risponde ad uno di essi, per tutti: “Amico mio, io non ti faccio torto. Non hai forse pattuito con me per un denaro? Dunque prendi il tuo e vattene. Se io voglio dare all’ultimo lo stesso che do a te non posso fare del mio quello che voglio? O forse sei tu invidioso perché io sono buono”?
Non è qui il caso di illustrare in dettaglio i significati allegorici che di norma vengono attribuiti a questa parabola, tra i quali, in particolare, quello secondo cui, con essa, Gesù avrebbe voluto far capire ai Giudei che essi, pur essendo stati chiamati per primi alla salvezza, come “popolo eletto”, dovevano accettare l’idea di essere equiparati a tutti gli altri popoli, ai quali il messaggio di salvezza sarebbe stato successivamente trasmesso; oppure anche quello secondo cui dovrebbe intendersi che coloro i quali abbiano, per tutta la vita, osservato i comandamenti di Dio non dovrebbero, solo per questo, pretendere, ai fini della salvezza eterna, di essere privilegiati rispetto a coloro che si siano decisi ad osservarli (purché lo abbiano fatto con convinzione), solo quando abbiano avvertito l’approssimarsi della morte.
Quello che invece si vuol qui mettere in luce è un diverso profilo della parabola, generalmente trascurato e costituito dalla assoluta ineccepibilità, sotto l’aspetto giuridico, del ragionamento che l’evangelista pone in bocca al proprietario della vigna. Questi, infatti, invoca, da una parte, i termini del contratto validamente concluso con i primi lavoratori e, dall’altra, il proprio insindacabile diritto di renderli applicabili, per pura generosità e senza danno per alcuno, se non per sé stesso, anche ai lavoratori assunti successivamente.
Potrebbe affermarsi, con relativa certezza (la certezza assoluta, nel mondo del diritto, è merce rarissima), che, trasferita la situazione al tempo presente, qualora i primi lavoratori intraprendessero una causa di lavoro per ottenere una maggiorazione della retribuzione originariamente convenuta, il giudice respingerebbe la loro richiesta, siccome priva di fondamento giuridico. E ciò anche alla luce dell’art. 36 della Costituzione, secondo cui “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. Tale norma, infatti, secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità (ved., per tutte, la sentenza della Cassazione civile, sez. lavoro, n. 9643 del 2004), non implica che a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni debba essere garantita parità di retribuzione, quale invece sarebbe quella pretesa, nel caso della parabola evangelica, dai lavoratori della prima ora, considerando che, su base oraria, la retribuzione degli altri, la cui prestazione lavorativa aveva avuto una durata inferiore, veniva ad essere superiore alla loro. E neppure potrebbe essere validamente invocato, dai lavoratori della prima ora, il principio stabilito dall’art. 1375 del Codice civile, secondo cui “il contratto dev’essere eseguito secondo buona fede”, dal momento che tale principio, come pure è stato affermato più volte dalla Cassazione, pone soltanto, alle parti di ciascun contratto, un obbligo di reciproca lealtà che, nel caso che ci interessa, da nessuno potrebbe dirsi violato.
Ciò non toglie, naturalmente, che il proprietario della vigna ben avrebbe potuto mostrarsi generoso anche nei confronti dei primi lavoratori, corrispondendo ad essi una retribuzione più elevata di quella convenuta, per renderla proporzionata a quella corrisposta agli altri. Ma la rappresentazione di una tale generosità sarebbe stata del tutto estranea alle finalità della parabola e, anzi, le avrebbe contraddette, dal momento che il messaggio in essa contenuto era rivolto essenzialmente a quanti potessero idealmente identificarsi con i lavoratori della prima ora, per far loro capire la necessità di non provare invidia, avversione o senso di superiorità nei confronti degli altri. E a tal fine occorreva che il proprietario della vigna apparisse, al tempo stesso, rispettoso dei diritti dei primi e generoso verso gli altri.