Torno sulla sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio, per la sua obiettiva importanza, al fine di dare conto dei passaggi giuridici che hanno condotto non solo e non tanto alla sostanziale pronuncia di non conformità del QE– quantitative easing della BCE–Banca Centrale Europea alla legge fondamentale della Repubblica di Germania, quanto alla rivendicata legittimazione del giudice delle leggi dello Stato nazionale ad andare in contrario avviso a quanto statuito dalla CJEU -Corte europea di Giustizia di Lussemburgo, e quindi a compromettere il primato del diritto dell’UE su quello interno.
1. Distinguendo i due profili, dedico l’intervento di oggi al primo – QE e Costituzione – rinviando il secondo a domani. Il contrasto con la Grundgesetz riguarda non il rispetto dei princìpi di bilancio e di tutela del risparmio, bensì gli artt. 38, in combinato disposto con l’art. 20, e 79, i quali affermano la sovranità del popolo tedesco attraverso i propri corpi elettivi rappresentativi della nazione.
Nel merito, la Corte federale non accerta direttamente la violazione del divieto alla BCE di sottoscrizione di debito pubblico a favore degli Stati nazionali ex art. 123 TFUE, mediante l’aggiramento di tale norma attraverso il programma di acquisto del QE; e anzi, curiosamente precisa a mo’ di excusatio non petita, che in ogni caso la pronuncia “non concerne alcuna misura di assistenza finanziaria nel contesto della attuale crisi per il coronavirus” [1]. Afferma però che la decisione preliminare della CJEU del 11 dicembre 2018, che aveva riconosciuto cha la BCE non avesse esondato dai suoi limiti istituzionali, “manifestamente non considera l’importanza e la finalità del principio di proporzionalità -che si applica alla divisione delle competenze tra la UE e gli Stati Membri- ed è semplicemente insostenibile in una prospettiva metodologica dato che essa completamente trascura i reali effetti di politica economica del programma”: tale omessa delibazione del rispetto o meno dei limiti del mandato di politica monetaria delle Banche Centrali alla BCE impedisce che “il principio di proporzionalità possa raggiungere la sua funzione correttiva allo scopo di salvaguardare le competenze degli Stati Membri, il che rende privo di senso il principio di attribuzione”.
2. Dunque, nonostante che l’art. 9 n° 3 lett. b) TUE preveda che ”La Corte di giustizia dell’Unione europea (…) assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati (…). La Corte di giustizia dell’Unione europea si pronuncia conformemente ai trattati, in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull’interpretazione del diritto dell’Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni”, la BCE con il QE avrebbe esorbitato dalle proprie competenze di politica solo monetaria, producendo effetti globali sulle economie dei Paesi membri, che la CJEU avrebbe colpevolmente omesso di considerare; da ciò il giudizio della Corte federale di sua pronuncia ultra vires: “perseguendo incondizionatamente l’obiettivo di politica monetaria del PSPP [2] contemporaneamente ignorando gli effetti di politica economica, la BCE manifestamente viola il principio di proporzionalità”.
Per questo, “la Corte Costituzionale Federale non è vincolata alla decisione della CJEU ma deve condurre il suo proprio giudizio per determinare se le decisioni dell’Eurosistema sull’adozione e l’implementazione del PSPP rimangano all’interno delle competenze conferite sotto la legge fondamentale dell’UE. Poiché queste decisioni sono carenti di sufficienti considerazioni di proporzionalità, esse esorbitano dalle competenze della BCE”.
È singolare che proprio dal Paese che di più ha promosso il rafforzamento del processo di unificazione attraverso la sostituzione del marco tedesco – di fatto assunto a riferimento valutario di cambio delle altre monete nazionali – con l’euro, oggi si pretenda di scindere l’attribuzione della politica monetaria alla UE dagli effetti economici di tale attribuzione sulle politiche economiche, che si vorrebbe legalisticamente mantenute agli Stati nazionali!
3. Invero, non può essere pretermessa la previsione, ex art. 119 TFUE, che “per gli scopi di cui all’art. 3 TUE, le attività degli Stati membri e dell’Unione includeranno, come previsto dai Trattati, l’adozione di un politica economica basata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (…) attività che, però, includeranno una singola moneta, l’euro, e la definizione e la condotta di una singola politica monetaria e di tassi di cambio, il primario obiettivo di entrambi i quali sarà mantenere la stabilità dei prezzi e, senza pregiudizio per questo obiettivo, supportare le politiche economiche generali nell’Unione, in accordo al principio di un economia di libero mercato con libera competizione”.
Del resto, l’art. 127 TFUE espressamente prevede che “l’Eurosistema supporterà le politiche economiche generali con un occhio al contributo per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione come previsti dall’art. 3 TUE”. Da qui, l’attribuzione di competenza alla BCE di politiche che sarebbe difficile considerare solo monetarie.
Non si potrà dare torto alle “toghe rosse” di Karlsruhe quando lamentano l’effetto di distorsione delle dinamiche del mercato finanziario dei titoli di Stato che il loro acquisto in dosi massicce e prolungate nel tempo da parte della BCE produce: specie in termini di rifinanziamento a tassi più convenienti altrimenti impediti dalle cattive condizioni di bilancio di alcuni di essi, per di più col trasferimento del rischio di loro insolvenza alle banche dei Paesi invece finanziariamente più stabili con finale possibile compromissione della tutela dei risparmiatori.
4. È esattamente tale valutazione di proporzionalità fra il programma di acquisto e i suoi effetti economici indotti che la BCE dovrebbe finalmente chiarire: i tre mesi concessi dalla Corte costituzionale tedesca al proprio Governo ed alla Bundesbank (non potendo indirizzarsi la Corte direttamente alla BCE) costituiscono il tempo affinché tale invito venga accolto. Il direttivo di Francoforte ha da subito rispedito al mittente la richiesta, vantando di doverne dare conto solo alla Commissione e al Parlamento europeo, come, peraltro, previsto dall’art. 15 del IV Protocollo sullo Statuto dell’Eurosistema allegato al TFUE, e non certo al singolo Stato membro. Solo all’esito sarà possibile stabilire “se il PSPP in sostanza è compatibile con l’art. 127 TFUE” e se “il Governo federale e la Bundesbank non siano realmente venuti meno alla loro responsabilità di attivamente invocare la chiusura del PSPP”: a volere altresì tacere – come rileva il Giudice delle Leggi tedesco – dell’aggiramento del divieto ex art. 123 TFUE, date per buone le insufficienti rassicurazioni della CJEU sulle clausole di salvaguardia della BCE.
Le conclusioni sono nette e non ammettono differente e “ortopedica” esegesi: “In ragione della responsabilità per l’integrazione europea, il Governo Federale ed il Parlamento tedesco hanno il compito di attivarsi contro il PSPP nella sua attuale forma (…) cercando di assicurare aderenza all’agenda di integrazione europea nel rispetto dei suoi limiti (…) ed assumere adeguate azioni per limitare l’impatto domestico di tali atti per quanto più possibile. Gli organi costituzionali tedeschi, le autorità amministrative e le corti non possono partecipare allo sviluppo né all’incremento messa in esecuzione ed operatività di atti in eccesso di potere (…) la Bundesbank non potrà pertanto più partecipare all’implementazione ed esecuzione delle decisioni della BCE in materia”. A domani per il seguito
Renato Veneruso
Avvocato
[1] Tutte le citazioni senza riferimento sono alla sentenza in commento
[2] È il QE.