Ricordiamo ed onoriamo la figura del Beato Rosario Livatino all’interno di un incontro sui “Testimoni di Speranza”, tema che si innesta su quello, “Pellegrini della Speranza”, al quale Papa Francesco ha dedicato il Giubileo del 2025, in considerazione del tempestoso, complicato tempo che stiamo vivendo. Eppure, alla fine dello scorso secolo Francis Fukuyama aveva teorizzato l’impossibilità di «immaginare un mondo sostanzialmente diverso dal nostro» e di «considerare la possibilità che la stessa storia sia giunta alla fine». 

La storia non è finita. Il futuro è più indecifrabile che mai. I caratteri tradizionali della società sono stati erosi da molti fattori. Tra gli altri, dallacombinazione della c.d. new economy e dello sviluppo tecnologico, esploso con l’intelligenza artificiale, che ha messo in crisi i fondamenti delle democrazie sedimentatisi in secoli di storia e favorito un controllo, su tutto e su tutti,concentrato nella mani di poche big-tech; è causa di angoscia per il rischio di marginalizzazione dell’uomo rispetto alle macchine; ha alimentato una concezione dell’uomo quale soggetto di soli bisogni, cui unico fine è il benessere individuale, che sta trasformando i cittadini in meri consumatori, monadi isolate, disposti a sacrificare, sull’altare dell’interesse personale, valori, legami umani e vincoli sociali.

La crisi di una società che cambia ha investito anche la giustizia, per ragioni dalle radici profonde, complicatesi in un mondo in cui, assegnato un posto d’onore al “mito dell’io”, dato un valore economico ad ogni bene della vita, si è inverata la logica “ogni desiderio un diritto”. Una logica che rende difficile distinguere il desiderio dal diritto – anche per l’indeterminatezza di alcuni valori in cui quest’ultimo si radica –, rende arduo stabilire a chi spetti decidere se e quando un diritto esiste. Si pensi, a titolo di esempio, alle questioni del diritto alla p.m.a. e del diritto all’eutanasia. 

I problemi sono enormi. Il solo modo di affrontarli è farlo attraverso la Speranza che – ha scritto Papa Francesco –, «è un dono di Dio e un compito per i cristiani» – aggiungerei, non solo per loro –; è «la virtù che ci mette in cammino». La speranza, perché “compito”, è fare, esige un comportamento attivo e perciò richiede di volgere lo sguardo ai “Testimoni di Speranza”, che con la loro vita e le loro opere ci indicano il cammino da seguire.

2. Testimone di Speranza” è il Beato Livatino che, con la sua vita e per il modo di essere magistrato, ci ha indicato che la ‘pratica del dovere’ è la pietra d’angolo di una società equa e giusta, essenziale anche per dare risposta alla “questione giustizia”.

Stiamo vivendo una sorta di «crepuscolo dei doveri», in cui si annidano molti dei rischi ai quali ho accennato, avvertiti da Norberto Bobbio, che, dopo avere indicato nell’età dei diritti il «signum prognosticum del progresso morale dell’umanità» scrisse: «se avessi ancora qualche anno di vita […], sarei tentato di scrivere “L’età dei doveri”». Molti, in seguito, hanno convincentemente «critica[to] i diritti “insaziabili”, il “lato oscuro” di essi, la “tirannia” dei diritti fondamentali e l’“età delle pretese”, stigmatizzando la “retorica” dei diritti, mostrando gli eccessi del “monoteismo del sé”» (L. Nazzicone).

E’ giunto il tempo di una rinnovata attenzione ai doveri. Ce lo impone la Costituzione. Non possiamo invocarla in modo strabico: enfatizzarla per i diritti, trascurarla per i doveri. Occorre ricordare che la Costituzione nell’art. 2 contempla insieme ai diritti i doveri. Il richiamo dei doveri, nel corso dei lavori della Costituente, fu chiarito osservando che, «poiché l’uomo è “animale sociale” e non può essere giuridicamente considerato se non in quanto tale, ai diritti naturali fanno riscontro […] i correlativi doveri, senza il rispetto dei quali non è possibile l’umana convivenza». I doveri, anche quelli degli articoli successivi al secondo, «sono doveri naturali, al pari dei diritti (rispetto della vita altrui, della libertà di movimento altrui, dell’onore altrui, ecc., ecc.)».

Sono i doveri che calano la persona in una trama di relazioni con le altre persone e con le istituzioni; costituiscono strumenti di solidarietà, coesione sociale e convivenza civile essenziali a fondare l’etica pubblica. I doveri sono l’argine ad una concezione edonistica ed individualistica che mina il primato della dignità umana e della dimensione politica. Non si tratta certo di rinunciare ai diritti, ma di comprendere che questi sono anche conseguenza dei doveri adempiuti, che la garanzia dei diritti esige l’osservanza dei doveri.

3. Dal cammino del Beato Livatino emerge la centralità dei doveri quale regola fondamentale che si impone al magistrato.

Egli ha scritto: non si può pensare di «sopprimere nell’uomo-giudice la possibilità di formarsi una propria coscienza politica, di avere un proprio convincimento su quelli che sono i temi fondamentali della nostra convivenza sociale», «essenziale è però che la decisione» non appaia «come in tutto od in parte dipendente da quella collocazione». Essenziale è, inoltre, un rapporto con la norma «scevro da quelle estranee influenze che così spesso oggi ne alterano l’applicazione disorientando il cittadino». Il magistrato – sono sue parole – «oltre che essere deve anche apparire indipendente»; «accanto ad un problema di sostanza, certo preminente, ve n’è un altro, ineliminabile, di forma». «L’indipendenza del giudice» è anche «nella sua credibilità» «valore essenziale in uno Stato democratico» e non si può pensare che «il giudice della propria vita privata possa fare, al pari di ogni altro cittadino, quello che vuole». Decidere è scegliere, compito difficile, che tuttavia è «tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione».

Sono parole che si radicano nella Costituzione. La funzione del magistrato coinvolge valori costituzionali che impongono un bilanciamento e che, come sottolineato dalla Corte costituzionale e dal CSM, ma anche, in più vasto ambito, dalla Corte di Strasburgo e da atti internazionali, giustificano una compressione di alcune libertà del magistrato, anche di manifestazione del pensiero. La funzione impone l’osservanza delle regole disciplinari e deontologiche, le uniche rilevanti nel mondo giuridico e presidiate da sanzioni, eppure ciò non basta. Occorre infatti anche osservare i precetti etici che garantiscono il ‘saper essere e fare’ il magistrato, sprovvisti di sanzione, ma connaturati all’esercizio di un potere terribile,che il magistrato ha il dovere di praticare.

Riserbo e capacità di ascolto; rifiuto dell’autoreferenzialità; consapevolezza dell’essenzialità della funzione e della necessità di esercitarla con umiltà, senza improprie finalità di redenzione sociale; consapevolezza che l’interpretazione della disposizione è funzione dichiarativa, mai direttamente creativa, implica il potere-dovere di scegliere tra diverse possibili risposte, ma la scelta presuppone un quadro di diritto positivo, caratterizzato dal primato della Costituzione e dalla rilevanza delle norme esterne, che il giudice deve leggere nel miglior modo e che sempre preesiste alla sua decisione. Sono questi alcuni dei fondamentali doveri che si impongono al magistrato, per fare giustizia e per realizzare l’equilibrio istituzionale stabilito dalla Costituzione.

Il Beato Livatino è stato fulgido esempio del ‘saper essere fare’ il magistrato. Il suo cammino è stato ispirato alla consapevolezza della centralità dei doveri, vivificata dall’affidamento riposto negli insegnamenti del suo credo, dal convincimento che, nel contesto cristiano, i doveri della giustizia si riferiscono anche alle responsabilità morali ed etiche verso gli altri, che precondizione dell’esercizio di dette funzioni è l’umilità, da lui praticata al livello più alto grazie anche al sentimento religioso. Il Beato ha felicemente combinato funzioni civili e missione cristiana, dimostrando che questa è compatibile con la neutralità ed imparzialità che si impongono al magistrato, rendendolo – ha detto Papa Francesco – «esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge».

4. Sarebbe tuttavia riduttivo ritenere il Beato Livatino “Testimone di Speranza” solo per i magistrati e per gli operatori del diritto. 

Il dovere di avere doveri, stella polare del suo cammino, si impone a tutti i cittadini. Della legalità sono garanti le istituzioni dello Stato, ma insieme a queste, forse prima, dobbiamo esserlo tutti noi, perché tutti noi siamo lo Stato. Il contrasto della violenza sulle donne, la tutela delle persone, dell’ambiente, di tutti i beni, la sicurezza sul lavoro non possono essere affidati soltanto alle politiche legislative ed all’azione della magistratura e delle Forze di polizia, ma richiedono il quotidiano impegno di tutti i cittadini. 

Il dovere di avere doveri si impone a coloro che rappresentano le Istituzioni, tenuti ad agire nel rispetto della Rule of law, cardine dello Stato di diritto, garanzia della pari dignità di ogni persona e dei diritti fondamentali. Una funzione, per quanto alta, mai pone chi l’esercita al di sopra della legge e degli altri e, quindi, si impongono: il dovere di rispettare anzitutto e sempre la Costituzione, che può essere cambiata, ma nei modi ed entro i limiti da questa stabiliti, e le Carte internazionali; il dovere di esercitare la funzione con “onore”: è l’art. 54, che richiama una dimensione anche etica; il dovere di garantire l’equilibrio tra i poteri stabilito dalla Carta, che vuol dire reciproco riconoscimento, senza denunciare inesistenti contraffazioni o compiere azioni che possano sgretolarli. 

Avviandomi alla conclusione, sono convinto che in un tempo complicato e difficile qual è il nostro ognuno di noi, nessuno escluso, ha il dovere di agire e di farlo osservando l’insegnamento dei “Testimoni della Speranza” e, quindi, del Beato Livatino. E’ il solo modo per uscire dal buio che avanza e per realizzare la speranza di un mondo e di una società equi e giusti.

                                                              Luigi Salvato

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