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Il Ministero della Salute, con un decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, ha revocato la sospensione del decreto del primo ottobre 2020, che inseriva le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (cbd) ottenuto da estratti di cannabis” nella tabella dei medicinali allegata al testo unico sugli stupefacenti. La sospensione è stata disposta in considerazione della necessità di ulteriori approfondimenti di natura tecnico-scientifica richiesti all’Istituto superiore di sanità e al Consiglio superiore di sanità. Il CBD resta comunque un medicinale a tutti gli effetti, e quindi si potrà acquistare in farmacia, ma solo su prescrizione medica e per determinate patologie.


Con un decreto[1]  il ministero della Salute ha revocato la sospensione del decreto del primo ottobre 2020, che inseriva le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (cbd) ottenuto da estratti di cannabis” nella tabella dei medicinali allegata al testo unico sugli stupefacenti.

Nel 2020 il decreto emanato il primo ottobre era stato successivamente sospeso il 28 ottobre. 

Ora, con l’eliminazione della sospensione, entrerà definitivamente in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e siccome la pubblicazione è avvenuta il 21 agosto, sarà effettivo dal 20 settembre.

CBD: le ultime evoluzioni a livello europeo

Nel frattempo, a livello internazionale, c’è stata la sentenza della Corte di giustizia europea [2]che in Francia, dopo un processo ad un commerciante che aveva importato ricariche al CBD per le sigarette elettroniche, ha stabilito che il CBD prodotto in uno stato membro europeo deve poter circolare anche negli altri paesi e che i prodotti a base di CBD non devono essere considerati come stupefacenti. 

Nella sentenza, la Corte dichiara che “il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, osta a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale”.

Nella sentenza la Corte esclude l’applicabilità dei regolamenti relativi alla politica agricola comune (PAC), perché il CBD non può essere considerato come un prodotto agricolo. Non solo, perché osserva che le disposizioni relative alla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione (articoli 34 e 36 TFUE) sono applicabili, poiché il CBD di cui al procedimento principale “non può essere considerato come uno stupefacente”.

Per giungere a tale conclusione, la Corte ricorda, innanzitutto, che “i soggetti che commercializzano stupefacenti non possono avvalersi dell’applicazione delle libertà di circolazione poiché tale commercializzazione è vietata in tutti gli Stati membri, ad eccezione di un commercio rigorosamente controllato in vista dell’uso per scopi medici e scientifici”.

Insomma, “Il divieto di commercializzazione del CBD costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative delle importazioni, vietata dall’articolo 34 TFUE”. La Corte precisa, tuttavia, “che una normativa siffatta può essere giustificata da uno dei motivi di interesse generale indicati nell’articolo 36 TFUE, quale l’obiettivo di tutela della salute pubblica invocato dalla Francia, a condizione che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo suddetto e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento. Benché quest’ultima valutazione spetti al giudice nazionale”.

Secondo la Corte il giudice nazionale deve valutare i dati scientifici disponibili al fine di assicurarsi che l’asserito rischio reale per la salute non risulti fondato su considerazioni puramente ipotetiche. Infatti, un divieto di commercializzazione del CBD, che costituisce, del resto, l’ostacolo più restrittivo agli scambi aventi ad oggetto prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, può essere adottato soltanto qualora tale rischio risulti sufficientemente dimostrato.

Poi c’è da ricordare che in Europa è in corso la valutazione dei cibi contenenti CBD all’interno dei Novel Food, un processo che giustamente si è arenato con la Commissione che ha chiesto nuovi studi.

Secondo l’EFSA, [3] servono nuovi studi perché le ricerche attualmente disponibili degli effetti del CBD sul fegato, sul tratto gastrointestinale, sul sistema endocrino, sul sistema nervoso e sul benessere psicologico “sono insufficienti”.

Mentre il processo è stato completato in UK, con i primi prodotti arrivati sul mercato, e anche in Francia, dove è stata emanata una legge provvisoria che autorizza la commercializzazione di preparati con CBD fino al 20% considerandoli come integratori.

Cosa succederà in Italia?

Ora bisognerà vedere cosa accadrà in Italia tenendo presente che attualmente nei negozi come i canapa shop, erboristerie e tabaccai viene venduto l’olio di CBD come prodotto ad uso tecnico.

Mentre nelle farmacie sono presenti almeno 4 tipologie di prodotti che lo contengono: gli estratti galenici prodotti in farmacia, gli estratti industriali prodotti da 3 diverse aziende, l’Epidiolex e il CBD sintetico.

Se le cose rimarranno così spariranno dunque gli oli di CBD in libera vendita, a meno che non siano preparati con CBD sintetico, che non rientra nel provvedimento.

Non solo: in teoria anche gli oli ad uso cosmetico – in questo caso, sempre in teoria, anche naturali – dovrebbero poter essere venduti senza problemi, perché il decreto riguarda solo le preparazioni ad uso orale. 

Altro tema che rimane aperto è quello della cannabis light, che, com’è noto, contiene alte percentuali del CBD.

L’idea che sorregge il decreto è che, se davvero il cannabidiolo è utile ed efficace contro alcuni disturbi come l’epilessia, come è stato dimostrato da diverse prove scientifiche, allora è giusto che sia trattato come un farmaco e la sua vendita non avvenga libera da controlli e autorizzazioni nei canapa shop, nelle erboristerie o presso i tabaccai.

Chi volesse acquistare l’olio a base di CBD e altri prodotti con la stessa composizione, dovrà prima di tutto rivolgersi al proprio medico, richiederne la prescrizione e poi recarsi in farmacia.

Al momento il decreto mira a regolamentare solamente i prodotti da ingerire a base di cannabidiolo e non quelli destinati al consumo attraverso la combustione.

È chiaro però che quello appena compiuto dal Ministero della Salute è il primo passo verso lo stop totale della vendita di questi prodotti.

Ricordiamo che nell’aprile 2018 il Consiglio superiore di sanità ha espresso un parere sfavorevole alla libera commercializzazione di questi prodotti, ritenendo che non se ne possa escludere la pericolosità[4].

Le ragioni addotte dagli esperti consultati dal Ministero sono diverse:

  • nonostante la bassa concentrazione di THC nella cannabis light, esistono molti fattori che ne rendono variabile l’assorbimento e la quota finale circolante nel sangue;
  • lo stesso THC e altre sostanze contenute nella cannabis light possono facilmente accumularsi nei tessuti dell’organismo, in particolare nel grasso e nel cervello, raggiungendo concentrazioni molto superiori a quelle rilevate nel sangue;
  • il consumo avviene al di fuori di ogni controllo, per cui non è possibile verificare quanto prodotto effettivamente sia assunto, compensando con la quantità la scarsa concentrazione di THC;
  • non sono stati considerati i possibili rischi del consumo in condizioni particolari, come la gravidanza o l’allattamento, né gli effetti in presenza di malattie, in associazione a farmaci o le conseguenze sull’attenzione, per esempio alla guida.

Si aggiungano inoltre la conseguenza più grave  a livello sociale, cioè quello di sdoganare la cannabis nell’immaginario collettivo.

Ed è questo, al di là del business in sé della cannabis light, la funzione dei negozi che la vendono con tanto di vetrine e di insegne.

Il messaggio è in sostanza un’apertura all’uso ricreativo di sostanze che dovrebbero essere vendute solo sotto stretto controllo medico, come appunto la cannabis terapeutica.

Il decreto è il primo atto per un’inversione di tendenza rispetto alla pressione per la legalizzazione della cannabis che viene esercitata da qualche decennio dai setoli radicali e della sinistra italiana.

 Daniele Onori


[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/08/21/23A04729/SG

[2] https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2020-11/cp200141it.pdf

[3] https://www.efsa.europa.eu/en/efsajournal/pub/7322

[4] https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2761

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