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Il Giurì della pubblicità dichiara conforme al Codice di Autodisciplina il manifesto di Generazione Famiglia e di CitizenGo Italia sul “Bus della Libertà”

Negli ultimi giorni dello scorso settembre, Generazione Famiglia e CitizenGo Italia hanno affisso in vari punti di Roma il seguente manifesto, finalizzato al lancio del tour del “Bus della Libertà”:

Dopo qualche giorno – precisamente il 4 ottobre – le promotrici si sono viste recapitare un’ingiunzione di desistenza del Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), con cui veniva ordinata la cessazione immediata della diffusione del manifesto in quanto asseritamente contrario agli artt. 10, 11 e 46 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.

Giova precisare che la campagna pubblicitaria in esame rientrava nella giurisdizione dello IAP[1] in quanto: i) Generazione Famiglia e CitizenGo Italia avevano utilizzato gli spazi di affissione gestiti da una società aderente al sistema di autodisciplina pubblicitaria; ii) la competenza dello IAP non è limitata alla comunicazione pubblicitaria di carattere commerciale ma, ai sensi dell’art. 46 del Codice di Autodisciplina, si estende anche agli “appelli al pubblico” e alle campagne di promozione sociale.

Con specifico riferimento al messaggio pubblicitario di Generazione Famiglia e di CitizenGo, il Comitato di Controllo dello IAP contestava:

  • l’utilizzo asseritamente fuorviante dell’espressione “violenza di genere”, che sarebbe comunemente riferita allo specifico fenomeno della violenza sulle donne e che qui, invece, sarebbe stato utilizzato in un contesto e con un significato del tutto diverso;
  • la violazione dell’art. 10 (“Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona”)[2], in quanto, secondo il Comitato di Controllo, la “perentorietà” delle immagini e del messaggio avrebbe veicolato “un contenuto offensivo per la dignità della persona (…) ovvero per tutti coloro che non si riconoscono nell’impostazione rigidamente escludente assunta dai promotori (basata sulla rigida distinzione di estrazione biologica), che seppur lecitamente esprimibile non ha ragione di ledere la libertà di veicolare altre e diverse idee e deve comunque essere veicolata come opinione di una parte”;
  • la violazione dell’art. 11 (“Bambini e Adolescenti”)[3], in quanto “un pubblico di adolescenti, personalità ancora in formazione, per esempio potrebbe risultare turbato dalla carica traumatica delle parole e delle immagini, che definiscono peraltro come “libertà” unicamente quella di proclamare l’identità sessuale come maschio o come femmina. (…) La comunicazione colpisce infatti anche quei minori non ancora pronti ad una corretta elaborazione critica del messaggio, potendo creare non solo disordine nell’immaginario, ma soprattutto la possibilità di banalizzazione di condizioni personali spesso molto delicate e anche dolorose”;
  • la violazione dell’art. 46 (“Appelli al pubblico”)[4], in quanto il messaggio sarebbe stato presentato come fatto accertato e non come opinione di parte.

Con due memorie difensive, Generazione Famiglia e CitizenGo hanno proposto opposizione dinanzi al Giurì, evidenziando puntualmente le numerose criticità che affliggevano il provvedimento.

Ebbene, a seguito dell’udienza tenutasi il 10 novembre 2017, il Giurì ha ritenuto di condividere complessivamente le difese dei promotori della campagna: pertanto, ribaltando il giudizio del Comitato di Controllo, ha dichiarato il manifesto in esame conforme al Codice di Autodisciplina Pubblicitaria.

Rinviando un commento più approfondito al momento in cui verrà pubblicato il testo integrale della decisione, vale la pena di sottolineare fin d’ora la grande importanza di questa pronuncia. Da oggi, infatti, deve ritenersi accertato che chiamare “violenza di genere” quella che si compie nelle scuole ai danni dei bambini sottoposti ad iniziative pro-gender, nonché ribadire esplicitamente che “I bambini sono maschi e le bambine sono femmine”, non soltanto è lecito ma è anche corretto dal punto di vista della deontologia pubblicitaria.

[1] Lo IAP è un’associazione costituitasi nel 1966. Il suo scopo è quello di sottoporre le imprese ad essa aderenti alle norme del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, un sistema di autoregolamentazione volto a garantire che il fenomeno pubblicitario sia onesto, veritiero e corretto (art. 1, Codice di Autodisciplina Pubblicitaria). Quando un messaggio pubblicitario creato da un soggetto aderente allo IAP viene considerato contrario al Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, lo stesso non può essere più diffuso in nessuno dei mezzi “di comunicazione commerciale che direttamente o tramite le proprie Associazioni hanno accettato il Codice di Autodisciplina, ancorché non siano stati parte nel procedimento avanti al Giurì” (art. 40).

[2] Art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona.
La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose.
Essa deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discrimina-zione, compresa quella di genere.

[3] Art. 11 (Bambini e Adolescenti)
Una cura particolare deve essere posta nei messaggi che si rivolgono ai bambini, intesi come minori fino a 12 anni, e agli adolescenti o che possono essere da loro ricevuti. Questi messaggi non devono contenere nulla che possa danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente e non devono inoltre abusare della loro naturale credulità o mancanza di esperienza, o del loro senso di lealtà.
In particolare questa comunicazione commerciale non deve indurre a:

  • violare norme di comportamento sociale generalmente accettate;
  • compiere azioni o esporsi a situazioni pericolose;
  • ritenere che il mancato possesso del prodotto oggetto della comunicazione significhi inferiorità, oppure mancato assolvimento dei loro compiti da parte dei genitori;
  • sminuire il ruolo dei genitori e di altri educatori nel fornire valide indicazioni dietetiche;
  • adottare l’abitudine a comportamenti alimentari non equilibrati, o trascurare l’esigenza di seguire uno stile di vita sano;
  • sollecitare altre persone all’acquisto del prodotto oggetto della comunicazione.

L’impiego di bambini e adolescenti nella comunicazione deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani.
Sono vietate rappresentazioni di comportamenti o di atteggiamenti improntati alla sessualizzazione dei bambini, o dei soggetti che appaiano tali.

[4] Art. 46 (Appelli al pubblico)
È soggetto alle norme del presente Codice qualunque messaggio volto a sensibilizzare il pubblico su temi di interesse sociale, anche specifici, o che sollecita, direttamente o indi-rettamente, il volontario apporto di contribuzioni di qualsiasi natura, finalizzate al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale.
Tali messaggi devono riportare l’identità dell’autore e del beneficiario della richiesta, nonché l’obiettivo sociale che si intende raggiungere.
I promotori di detti messaggi possono esprimere liberamente le proprie opinioni sul tema trattato, ma deve risultare chiaramente che trattasi di opinioni dei medesimi promotori e non di fatti accertati.
Per contro i messaggi non devono:

  1. sfruttare indebitamente la miseria umana nuocendo alla dignità della persona, né ricorrere a richiami scioccanti tali da ingenerare ingiustificatamente allarmismi, sentimenti di paura o di grave turbamento;
  2. colpevolizzare o addossare responsabilità a coloro che non intendano aderire all’appello;
  3. presentare in modo esagerato il grado o la natura del problema sociale per il quale l’appello viene rivolto;
  4. sovrastimare lo specifico o potenziale valore del contri-buto all’iniziativa;
  5. sollecitare i minori ad offerte di denaro.

Le presenti disposizioni si applicano anche alla comunicazione commerciale che contenga riferimenti a cause sociali.

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