L’articolo di mons. Mario Delpini, pubblicato domenica 19 febbraio su Avvenire e gli appelli di Papa Francesco (con quello dell’udienza del 22.2.23 ben 111) richiedono una riflessione.
Dice l’Arcivescovo di Milano: “prima di tutto, basta morti! Basta bombe! Basta soldati all’attacco per uccidere e per morire!” e questo grido di pace è da ascoltare.
I nostri occhi, benché accecati dai luccichii dei molteplici spettacoli presenti sulla scena di questo mondo che sembrano viaggiare su binari morti, sono pieni di lacrime di dolore! Pensiamo alle immagini che ci arrivano dalla Turchia e dalla Siria luoghi antichi pieni di storia, drammaticamente provati.
Si impone così qualche domanda: da una parte la calamità naturale e dall’altra la calamità creata, sovente incrementata ‘a tavolino’, in quel meccanismo di azione reazione, ben noto e, non solo agli esperti, nei millenni.
Di fronte alla calamità naturale, con scosse che si moltiplicano, entrata prepotentemente nelle nostre case ci troviamo disperati, attoniti, ma impotenti. Viceversa rispetto all’altra calamità altrettanto tragica, abbiamo il bisogno di aggrapparci a qualunque tronco o relitto come un naufrago in alto mare, tutti gli uomini di buona volontà e ancor di più noi giuristi.
Come ha detto in un’intervista recentemente il prof. Mario Primicerio, già sindaco di Firenze e presidente della fondazione La Pira, testimone di storici viaggi di pace organizzati dal prof. Giorgio La Pira: “l’unica via d’uscita dalla tragedia ucraina è un cessate il fuoco immediato. Anche senza un ritiro preventivo delle truppe russe.”[1] Aggiunge il prof. Primicerio: “Proprio quello che Giorgio La Pira chiese a Ho Chi Minh quando nel novembre 1965 si recò ad Hanoi per favorire l’apertura di una trattativa che mettesse fine al conflitto vietnamita”.
La memoria deve essere rinfrescata anche per leggere l’oggi e come dice il vescovo Delpini “è necessario pregare che lo Spirito di Dio e le parole del Papa facciano sorgere, come capita ogni tanto nella storia, qualche personalità eminente, saggia, santa, autorevole, all’altezza del suo compito, che la gente possa riconoscere come operatore di pace”.
Come è noto Giorgio La Pira[2], professore di diritto romano, padre costituente, Sottosegretario al Ministero del lavoro, sindaco di Firenze, dichiarato Venerabile da Papa Francesco, tra i molteplici viaggi di pace intraprese quello storico per far finire la spaventosa guerra del Vietnam: era il novembre del 1965.
Tra le ricostruzioni della missione di La Pira ad Hanoi è rilevante la discussione presente negli Atti parlamentari relativi alla seduta del 14 gennaio 1966, con il commento di Malagodi sul professor La Pira: “è preso sul serio, stando almeno alle dichiarazioni del professore Primicerio, perfino da quel vecchio rivoluzionario ed uomo evidentemente di alta levatura che è il capo del Vietnam del nord, Ho Chi Minh, il quale avrebbe pianto ascoltando le parole dell’onorevole La Pira”.[3]
È, dunque, opportuno domandarci: “Cosa avrebbe fatto Giorgio La Pira, di fronte a questa drammatica guerra del Terzo Millennio che potrebbe sconfinare in una guerra mondiale?”
Certamente, secondo Primicerio, avrebbe chiesto “un cessate il fuoco Secondo l’autorevole testimone la lezione universale impartita dal professore di Diritto romano potrebbe essere fatta valere anche oggi in Ucraina. Primcerio aggiunge: “La Pira sbalordì Ho Chi Minh citando un interdictum dell’antico giurista romano Gaio che si concludeva con quel “vim fieri veto” (“proibisco che si prosegua nell’esercizio della violenza”) in cui si sottolineava la fondamentale precondizione di un cessate il fuoco immediato”. [4]
Dagli Atti parlamentari citati e in particolare dall’intervento di Fanfani, che in quel momento ricopriva cariche assai rilevanti e delicatissime,[5] emerge chiaramente che l’incontro di La Pira con Ho Chi Minh, tralasciando talune critiche, anche speciose, ebbe grande risonanza in molteplici ambienti politici e diplomatici e, peraltro, suscito un notevole coinvolgimento di diverse forze fino poi ad arrivare, con strettissimo riserbo, ad un testo di una lettera che Mario Primicerio consegnò, a New York, ad Amintore Fanfani, presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, che conteneva i risultati del colloquio.[6] Questa lettera di La Pira fu consegnata al presidente Johnson, con una lettera di accompagno dell’on. Fanfani: “Come presidente della ventesima Assemblea, come governante italiano, come sincero amico degli Stati Uniti e della sua persona – scrivevo al presidente Johnson – mi auguro che il contributo alla ricercata pacifica soluzione, sempre più urgente e necessaria, sia utile”.[7] Si tratta di un ‘documento diplomatico’ di grande rilievo: “Speranza più cauta di così, credo sia difficile ritrovarla in un documento diplomatico” aggiunge Fanfani[8].
Dopo la condizione pregiudiziale posta da La Pira della ‘cessazione del fuoco immediato’, si precisava il contenuto del negoziato che sinteticamente viene qui indicato: “Ho Chi Minh espose quattro condizioni: che gli Stati Uniti 1) interrompessero i bombardamenti sul Vietnam del nord; 2) cessassero di introdurre truppe e materiale bellico nel Vietnam del sud; 3) riconoscessero come interlocutore il Fronte di liberazione del Vietnam del sud; 4) fossero disposti al ritorno alla sostanza degli accordi di Ginevra del 1954 cioè l’unificazione del paese attraverso una consultazione elettorale (che i vietnamiti cominciavano a pensare di vincere e gli americani cominciavano a pensare di perdere)”.[9] Un’altra condizione a suggello fu che tutto questo dovesse rimanere riservato.
Il resto è storia, anche tristemente conosciuta[10]. La missione di La Pira, come è noto, fallì; la guerra durò ancora otto anni e gli Stati Uniti furono sconfitti. L’accordo, firmato a Parigi il 2 marzo del 1973 dal segretario di Stato americano Henry Kissinger e dal rappresentante vietnamita Le Duc To, conteneva le stesse clausole concordate nel novembre del 1965 da Giorgio La Pira e Ho Chi Minh.[11]
Questa missione di pace in Vietnam sebbene sia stata un “insuccesso”,[12] tuttavia ci lascia una grande testimonianza e un esempio che, se seguito, ancora oggi potrebbe avere frutti, anche perché la storia ha dato ragione a La Pira.
Come rilevato da Primicerio, nella fase storica attuale i leader politici sono molto attenti a percepire gli orientamenti dell’opinione pubblica. Ma la maggioranza dell’opinione pubblica oggi è contraria a mandare armi.[13] Tuttavia è necessario evidenziare quanto il popolo (i popoli) abbia connaturato questo bisogno di pace.
Ecco che allora tornano alla mente le parole del Santo Padre: “stiamo facendo tutto il possibile perché le armi tacciano?”.
L’Italia e Roma potrebbero svolgere proprio un ruolo importantissimo, perché “patria del diritto” e per l’idea della pace portata avanti nei secoli da giuristi, Imperatori e Papi: la via romana è quella della pace.[14] Sotto l’Imperatore Augusto per tre volte fu chiuso il tempio di Giano e fu eretta e consacrata a Roma l’Ara pacis. [15]
A differenza di eirēnē, il latino pax ha un contenuto concreto: è il patto. Il giurista romano Ulpiano ci offre l’etimologia di pactum e pax nel Digesto, parlando di ‘equità naturale’ e di cosa sia conveniente alla fede umana e alla convivenza precisa: si dice pactum, dalla parola pactio, donde viene il nome di pax.[16]
La concezione universalista del diritto si è sviluppata con la teoria dell’Impero e della pax Romana, da Augusto ad Antonino Magno a Giustiniano I.[17] Essa si contrappone agli esclusivismi degli Stati nazionali, così come ai razzismi[18] e contrasta con le teorie moderne e contemporanee secondo cui lo stato naturale (o “primitivo”) delle relazioni tra i popoli sarebbe la guerra.[19]
A proposito della pace, in particolare, vale il monito di San Giovanni Paolo Magno ai giuristi: «[…] è destinato ad ampliarsi il ruolo del diritto nel mantenimento della pace. Si sapeva già quanto largamente, in ogni stato, la promozione della giustizia e il rispetto dei diritti dell’uomo beneficiassero del lavoro dei giuristi. Ma il ruolo di costoro non è minore quando si tratta di ricercare i medesimi obiettivi sul piano internazionale, e di perfezionare, a questo livello, gli strumenti giuridici che costruiscono la pace e la mantengono». [20]
Ancora Primicerio ha sottolineato che “la pace è un processo, e il primo passo deve essere volto a limitare l’intensità del conflitto fino a una cessazione delle ostilità”. D’altronde, come ha recentemente scritto Habermas, “le armi devono tacere e lasciare il posto alla diplomazia”.[21] Scriveva Giorgio La Pira che “la guerra come si concepiva nell’età preatomica è “estinta”: è una res nova, ora: perché, se avvenisse, distruggerebbe il pianeta”. La Pira assegna un ruolo centrale alla Chiesa e, in particolar modo, al papato nella costruzione della pace globale, nel contesto della guerra impossibile, creatosi nell’era atomica in cui l’umanità è entrata il 6 agosto 1945 con la tragedia di Hiroshima: la pace è intesa come “l’unità fra i popoli di tutta la terra”.[22]
Può essere bello concludere questa riflessione con un ricordo, proprio della missione di pace di La Pira sopra ricordata. A Ho Chi Minh che lo aveva chiamato ‘profeta’ rispose, con garbo e dolcezza, e io suppongo con il suo candido sorriso: “Non chiamarmi profeta per favore, chiamami cristiano siciliano”.[23]
Maria Pia Baccari
Docente di Diritto romano
[1] P.A. Carnemolla, Un cristiano siciliano. Rassegna degli studi su Giorgio La Pira (1978-1998), Studi del Centro A. Cammarata, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1999, pp.77-86; Id., Un laico cristiano: Giorgio La Pira, Firenze, Polistampa, 2021.
[1] Intervista al prof. Primicerio, di R. Michelucci: La pace e quella lezione di La Pira. Porre fine alle sofferenze dell’Ucraina, in Avvenire, 12 febbraio 2023, p. 7.
[2] ‘Personalità monolitica’ «che ha il suo fulcro in una profonda carica mistico-religiosa […] La Pira sindaco non rientra nei normali schemi amministrativi; egli stesso dichiara che la legge in virtù della quale amministra è quella del Vangelo e del diritto romano»: così scriveva nel 1963 G. Grosso, voce La Pira Giorgio,in Novissimo Digesto Italiano, IX, Torino 1963, p. 450; B. Albanese, Giorgio La Pira (1904-1977), in Iura 28, 1977, pp. 315 s.: «Si trattad’una vita che seppe fondere in un solo impulso prospettive scientifiche, prospettivepolitiche e prospettive religiose».
[3] Così Malagodi, in Atti parlamentari della IV Legislatura – Discussioni – 20105 — Camera dei Deputati, Seduta del 14 gennaio 1966, 411, 20117, interessantissima la lettura di tutta la discussione.
[4] Sull’interdetto uti possidetis vedi P. Ciapessoni, Appunti sul testo edittale degli interdetti uti possidetis e utrubi, in Studi in memoria di A. Albertoni, II, Padova 1934, pp. 46 ss.; G. Falcone, Ricerche sull’origine dell’interdetto uti possidetis, in AUPA, XLIV, 1996, pp. 11 ss.; C. Simmler, Das uti possidetis-Prinzip: zur Grenzziehung zwischen neu entstandenen Staaten, Berlin 1999.
[5] Nel 1965 l’on. Amintore Fanfani è ministro degli Esteri nel secondo governo Moro, carica che ricopre anche dal 1966 al 1968 nel terzo governo Moro. Venne eletto presidente alla 20ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per il periodo 1965-1966: è l’unico italiano ad avere ricoperto tale carica.
[6] Atti cit., p. 20142, l’on. Fanfani spiegava il proprio comportamento: “Se ho sbagliato, non ho sbagliato per violare l’impegno istituzionale di informare il Governo. Ho sbagliato, semmai, perché si potesse offrire l’occasione di dimostrare che la Costituzione italiana è seria quando dice che l’Italia rinunzia alla guerra come strumento di politica estera. (Vivi applausi al centro, a sinistra e all’estrema sinistra). Ma credo di non avere sbagliato. Non ho tempo da perdere per fare ricerche di archivio e dimostrare quante centinaia di volte, in situazioni analoghe, i ministri degli esteri di tutto il mondo si sono comportati così”.
[7] Atti, cit., p. 20143.
[8] Atti, cit., p. 20143.
[9] S. Lepri, L’uomo dei sogni che si avverano. Testimonianze, https://www.sergiolepri.it/lepri_testimonianze/
[10] Si riporta quanto attestato da Lepri, cit.,che in quegli anni lavorò accanto a Fanfani: “Il 6 dicembre il segretario di Stato americano Dean Rusk scrisse a Fanfani che la quarta condizione posta da Hanoi non poteva essere accettata e Fanfani inviò subito una lettera a Ho Chi Minh per un ultimo tentativo. Il 15 dicembre l’aviazione americana riprese i bombardamenti sul Vietnam del nord; era il rigetto della prima condizione. Il 17 dicembre un quotidiano del Missouri, il Saint Louis Post and Dispatch, rese di pubblico dominio l’intero affare; era il rigetto della richiesta di Ho Chi Minh della segretezza dell’operazione, necessaria per procedere senza l’assenso di Pechino e di Mosca”.
[11] Incredibile fu il numero di morti vedi. S. Lepri, cit.: “In quegli otto anni, secondo calcoli americani, il numero dei civili morti o feriti nel Vietnam era stato di un milione 350 mila. Dal gennaio 1961 al 6 gennaio 1973 gli Stati Uniti ebbero 45.931 morti in combattimento, altri 10.296 morti per cause diverse, 303.605 feriti, 1.216 dispersi”.
[12] Come evidenziato da Catalano, a tal proposito “Usando questa parola ricordo, a me e ai colleghi universitari, un’altra annotazione di Giorgio La Pira nel Digesto: “23.10.30 La prima grande vittoria: l’insuccesso del concorso”, in P. Catalano, La Pira ‘personalità monolitica’. Le note nel Digesto, in Il Veltro. Rivista della civiltà italiana, a.41, 5-6 (settembre-dicembre 1997), p. 350.
[13] Ad esempio, vedi i dati presentati nell’articolo L’invio di armi a Kiev divide l’Italia, in Famiglia Cristiana del 23 febbraio 2023 https://www.famigliacristiana.it/articolo/sondaggio-demopolis-la-maggorenza-degli-italiani-contraria-all-invio-di-armi.aspx.
[14] È la via che indicano all’Europa i Pontefici romani, già dall’Enciclica di Benedetto XV Pacem Dei munus pulcherrimum (1920). È la via ripresa con forza nell’Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris (1963), che sembra riflettere la teoria (del romanista Giorgio La Pira) della “guerra impossibile”»: P. Catalano, “Europa e universalismo romano”, in «Nova Historica», 14, 2005, pp. 105 ss.; M. P. Baccari, Dal tribuno Canuleio a Giustiniano: all’origine della sinfonia di Sacerdotium e Imperium, in Armata sapientia. Scritti in onore di Francesco Paolo Casavola in occasione dei suoi novant’anni a cura di Lorenzo Franchini,Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, pp. 21 ss. Nel XXI secolo Giovanni Paolo Magno e Benedetto XVI hanno offerto strumenti per percorrere tale via e Papa Francesco dolorosamente ogni giorno ne parla. Come è noto, per i Romani la “Pax, non semplice entità ideale, ma nel sentire religioso romano divina e concreta personificazione … viene congiunta al nome di Augusto” e “la Pace, la Salute e la Concordia non rappresentavano la personificazione di concetti astratti, ma ben definite divinità dalle quali si attendevano i benefici indicati dai loro nomi” (così M.A. Levi, Il tempo di Augusto, Firenze 1951, pp. 267 s.) in generale vedi, E. Bianchi, Augusto e l’utilizzazione carismatica delle tradizioni religiose. Una contestualizzazione frammentaria, in Studi su Augusto, in occasione del XX centenario della morte (a cura di G. Negri, A. Valvo) Giappichelli, Torino 2016, pp. 6 ss.
[15] Si tratta di un evento epocale, poiché, in tutta la precedente storia di Roma, si erano registrate due sole altre chiusure: v. Res gestae, 13. Il vincolo tra l’antica Roma e Cristo è indicato da Giorgio La Pira in riferimento all’Ara Pacis, in occasione dell’Anno Santo 1975. «Quando gli Angeli, a Betlemme, cantarono “…pace in terra agli uomini buona volontà” (Lc. 2, 14) l’ara pacis era già eretta e consacrata a Roma»: G. La Pira, Cristo è risorto, Alleluja, in Il Focolare, n. 9-10, 2-16 maggio 1976, pp. 1 ss. (riedito in G. La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, a cura di C. Alpigiano Lamioni e P. Andreoli, con “Prefazione” di G. Dossetti, pp. 288; 292 ss., partic. 308 s., AVE, Roma 1992). Cfr. P. Catalano, Da Roma a Betlemme. A proposito della “strategia romana” di Cristo e degli Apostoli secondo Giorgio la Pira,in Studium, 2, anno 97°, 2, marzo-aprile 2001, pp. 215 ss. Il riferimento all’Ara Pacis e all’età di Augusto è costante negli scritti di Giorgio La Pira. Al riguardo v., in generale, M.P. Baccari, “All’origine della sinfonia di Sacerdotium e Imperium: da Costantino a Giustiniano”, in La laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità religiosa, in Diritto @ Storia, X, 2012.
[16] D. 2,14,1,1-2: «Huius edicti aequitas naturalis est. quid enim tam congruum fidei humanae, quam ea quae inter eos placuerunt servare? Pactum autem a pactione dicitur ( inde etiam pacis nomen appellatum est»).
[17] P. Catalano, Pace Parte giuridica – Principi e sistema, in Enciclopedia di Bioetica e Scienza Giuridica (a cura di E. Sgreccia-A. Tarantino), X, ESI, Napoli 2016, pp. 1114 ss., a proposito della concezione universalista del diritto e dei “concetti di orbis terrarum e di ius Romanum nella costituzione Deo auctore”.
[18] L’universalismo giuridico si sviluppa nelle teorie dello ius gentium e dello ius naturale di Ulpiano, Ermogeniano, Fiorentino, Marciano e quindi nella codificazione di Giustiniano (D. 1, 1, 4 e 5; 1, 5, 4, 1; 40, 11, 2; 1. 1, 2). Né la guerra, né la schiavitù, né la proprietà privata sono istituti di ius naturale: v. al riguardo W. Waldstein, Ins Herz geschrieben: Das Naturrecht als Fundament einer menschlichen Gesellschaft, Augsburg 2010, tr. it. (a cura di F. Vari) Scritto nel cuore. Il diritto naturale come fondamento di una società umana, Giappichelli, Torino 2014, pp. IX ss.
[19] Nel secondo dopoguerra, la teoria (di origine inglese e tedesca, consolidata da Theodor Mommsen) della “ostilità naturale” dei popoli è stata vigorosamente contrastata in Italia da Francesco De Martino; cfr. la relazione su “L’idea della pace a Roma dalla età arcaica all’Impero”, letta in Campidoglio durante l’inaugurazione dell’VIII Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, il 21 aprile 1988, in occasione del Natale di Roma, pubblicata in Roma Comune, a. XII, n. 45, aprile-maggio 1988, pp. 86 ss.; vedi anche Id., Storia della costituzione romana, seconda edizione, II, Napoli 1973, pp. 17 ss.
[20] La pace nella parola di Giovanni Paolo II 1978-1982 (Magistero 76), Figlie di San Paolo, Roma 1982, pp. 129 ss. Cfr. nei Digesta di Giustiniano il noto “vim vi repellere licet”, ma anche il fatto che Cassio riporta alla “natura” tale diritto alla legittima difesa: D. 43.16.1.27.
[21] Europa tra guerra e pace, in La Repubblica, 19 febbraio 2023.
[22] G. La Pira, Unità, disarmo e pace, Firenze 1971, p. 90 ss. (gennaio 1967). Sulla inevitabilità dei negoziati e della pace vedi anche G. La Pira, Scritti editi, s.d., vol. XIX, p. 270. Cfr. P. Catalano, “Guerra impossibile” e “pace impossibile all’uomo”: evoluzione della dottrina cattolica secondo Giorgio La Pira e Mario Castelli, in Saggi storici in onore di Romain H. Rainero, a cura di M. Antonioli e A. Moioli, Milano 2005, pp. 83 ss.
[23] P.A. Carnemolla, Un cristiano siciliano. Rassegna degli studi su Giorgio La Pira (1978-1998), Studi del Centro A. Cammarata, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1999, pp.77-86; Id., Un laico cristiano: Giorgio La Pira, Firenze, Polistampa, 2021.