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Oggi il Senato è chiamato a votare le mozioni riguardanti la riforma del MES. È un appuntamento sul quale si sono concentrate attese e tensioni, che rischiano di oscurare la sostanza: è uno di quel casi per i quali il dibattito mediatico non sembra far emergere piena comprensione delle questioni di natura tecnico-finanziaria a esso sottese nemmeno da parte di coloro che dovranno decidere. Secondo la vulgata, dalla riforma del MES dipenderebbero gli aiuti economico-finanziari europei da utilizzare per il contrasto alla pandemia da COVID19, e soprattutto per il rilancio socio-economico a essa conseguente. È proprio così?

1. Tanto per cominciare, il MES – l’acronimo originario inglese è ESM, European Stability Mechanism – non è propriamente uno strumento comunitario: esso è stato approvato dall’Eurogruppo, e quindi si applica solo all’Eurozona, cioè ai 19 Paesi dell’UE che hanno come moneta unica l’euro. Non ne fanno parte né la Polonia né l’Ungheria che, col veto posto all’approvazione del bilancio europeo 2021-2027 per aggirare le condizionalità sullo Stato di diritto (su cui https://www.centrostudilivatino.it/parlamento-ue-offensiva-per-imporre-lagenda-lgbt-e-abortista/), hanno creato l’attuale stallo alla operatività del Recovery Plan: la provvista finanziaria del Piano poggia proprio sul bilancio, che al momento appare destinato all’esercizio provvisorio, cioè alla possibilità di spendere mensilmente non più di 1/12 di quanto impiegato l’anno precedente.

È dunque da presumere che il rinnovato slancio di riforma del MES derivi della necessità di avere comunque una fonte di sostegno finanziario antipandemia, la cui urgenza non è certo propria soltanto dell’Italia: il Bundestag ha pochi giorni fa approvato l’emissione di 179,8 miliardi di Bund, i titoli di Stato tedeschi, con conseguente disavanzo del bilancio federale germanico 2021 per la prima volta dopo molti anni.

Dunque, si pone il problema di dove reperire le sostanze per avere il sottostante finanziario su cui basare l’emissione dei titoli a garanzia europea, in cui in buona sostanza consiste il Recovery Fund. A meno di non dare seguito a chi ipotizza che tutte le necessità finanziarie dell’Unione siano risolvibili trasformando la BCE– Banca Centrale Europea in istituto centrale che emetta moneta indefinitamente, magari anche solo ricorrendo al roll over, cioè di volta in volta al riacquisto dei titoli di Stato dei Paesi membri alla loro scadenza oltre che alla sottoscrizione di quelli di nuova emissione: ciò si porrebbe tuttavia in sostanziale contrasto con l’art. 123 TFUE -Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Perché proprio ora si prospetta come necessaria la riforma del meccanismo, di cui in realtà si parla sin dal 2017? E perché la stessa è stata concepita nei termini adottati all’ultimo Eurogruppo, il cui direttivo è composto dai 19 Ministri dell’Economia e Finanze dei Paesi euro, di fine novembre?

2. Il Meccanismo europeo di stabilità è stato istituito – trasformando il fondo privatistico con sede in Lussemburgo, la medesima dell’attuale MES, voluto nel 2008 dall’ECOFIN, il gruppo dei Ministri delle Finanze dei Paesi euro – per fronteggiare la crisi finanziaria successiva al fallimento della Lehman Brothers, mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della UE, nel 2012. La sua funzione è concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai Paesi membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, trovino temporanee difficoltà nel finanziarsi sul mercato.

La condizionalità varia a seconda della natura dello strumento utilizzato: per i prestiti assume la forma di un programma di aggiustamento macroeconomico, specificato in un apposito memorandum; è meno stringente nel caso delle linee di credito precauzionali, destinate a Paesi in condizioni economiche e finanziarie fondamentalmente sane, ma colpiti da shock avversi. Il Consiglio dei Governatori, composto dai 19 Ministri delle Finanze dell’area dell’euro, assume all’unanimità le principali decisioni, incluse quelle relative alla concessione di assistenza finanziaria e all’approvazione dei protocolli d’intesa con i paesi che la ricevono. Occorre invece la maggioranza qualificata del 85% del capitale qualora, in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’area euro, la Commissione europea e la BCE richiedano l’assunzione di decisioni urgenti in materia di assistenza finanziaria, in ciò determinandosi il raccordo fra lo strumento e le istituzioni dell’UE.

Il MES ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati; la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento: possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. Più precisamente, l’Italia detiene il 17,9137% la Germania il 27,1464%, la Francia il 20,3859%.

3. Il primo aspetto problematico della riforma oggi al vaglio del Senato è che essa prevede l’eliminazione dell’unanimità e l’abbassamento della maggioranza qualificata al 80%, e questo esclude l’Italia dal diritto di veto. Perché mai l’Italia si dovrebbe preoccupare di non poter più esercitare tale facoltà? Rileva qui l’altro aspetto della riforma, relativo al meccanismo di condizionalità: con la modifica dell’art. 3 del Trattato istitutivo del MES, esso prevede la necessità per lo Stato membro che faccia richiesta dell’aiuto finanziario (PCCL Precautionary Conditioned Credit Line – Linea di credito precauzionale condizionata) di non trovarsi sotto procedura d’infrazione e di vantare un deficit inferiore al 3% da almeno due anni, e un rapporto fra debito pubblico e PIL non superiore al 60%. Prevede, in caso contrario, di dover accettare la ristrutturazione del debito pubblico con manovre macroeconomiche imposte dalla Commissione europea, che è l’autorità prima istruttoria e poi vigilante per il MES stesso: esse devono essere adottate, e divenire efficaci – qui sta la novità ulteriore – prima ancora che il prestito venga erogato, diversamente da ora che ne è richiesto soltanto il consuntivo.

È bene ricordare che tale condizionalità non varrebbe in via preventiva per il c.d. MES sanitario, cioè il programma di aiuti finalizzati ai programmi di contrasto alla pandemia approvato dal Consiglio europeo la scorsa estate, per il quale l’Italia avrebbe diritto a 37 mld di prestito: e tuttavia il suo rimborso ricadrebbe comunque sotto la scure del controllo, qui successivo, dei medesimi organi del MES secondo le condizionalità macroeconomiche previste per i casi ordinari.

4. La direzione tedesca della riforma emerge con evidenza anche quanto all’ulteriore profilo della anticipazione del backstop al 2022, cioè il c.d. MES bancario: la possibilità di utilizzo dei fondi MES per il Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF). Esso garantisce l’intervento a favore delle banche di rilevanza sistemica nell’Eurozona che si trovino in crisi di liquidità, ovvero con insufficiente rapporto patrimoniale fra raccolta e impieghi al netto degli NPL-Not Performing Loans, i crediti di difficile esigibilità.

In un contesto in cui sia la Francia sia, soprattutto, la Germania si trovano alle prese con istituti di credito nazionali che versano in tali condizioni, anche tale aspetto della riforma va valutato: specie per un sistema-Italia al cui interno Jean Pierre Mustier, Amministratore delegato di UNICREDIT, ha appena rassegnato le dimissioni. UNICREDIT è la seconda banca italiana: le dimissioni di Mustier sono l’effetto del disaccordo con il CdA della banca, che invece di perseguire l’acquisto di Commerzbank, profittando della sua condizione di annosa e perdurante crisi, vorrebbe accogliere l’invito del Ministro Gualtieri alla fusione con la derelitta MPS -Monte dei Paschi di Siena: l’invito rivolto dallo stesso Ministro dell’Economia che ha già garantito l’accettazione della riforma del MES da parte dell’Italia!

Dunque, sarebbe così sicuro, come sostengono in molti, taluni anche dall’opposizione definita ‘responsabile’, che la riforma del MES non avrebbe alcuna ricaduta sull’Italia, e non ne accentuerebbe l’assoggettamento ai poteri ‘forti’ franco-tedeschi?

5. La riforma del MES oggetto dell’esame di oggi al Senato impone infine – ed è questo l’aspetto più inquietante in termini di scarsa chiarezza del dibattito – una ulteriore considerazione, che va oltre la funzionalità dello strumento: ed è il trasferimento di potere decisionale in materia economica dalla stessa Commissione europea all’interno di tale organismo, come ha sostenuto il – certamente non euroscettico – prof. Giampaolo Galli in occasione della recente audizione alle Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati, in una prospettiva che era ben evidenziata già nel novembre del 2019 dal Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, in una conferenza dall’eloquente titolo L’Unione economica e monetaria: è ora di superare lo stallo.

In quella circostanza il Governatore Visco dapprima richiamava Padoa Schioppa a proposito dell’adozione dell’euro: “l’Unione ha piena competenza microeconomica ma la sua capacità di politica macroeconomica è, salvo che per la moneta, embrionale e sbilanciata: può impedire il male (i deficit eccessivi) ma non può fare il bene (una politica di bilancio propria)”. Poi lamentava la differenza fra l’Eurozona e le federazioni vere  e proprie (come quelle degli USA o del Canada) e sdoganava egli stesso l’idea tremontiana degli eurobond: “sostituendo parzialmente i titoli di Stato dei singoli Paesi, uno strumento di debito europeo – che cosa altro è il Recovery Fund? – potrebbe contribuire a diversificare le esposizioni sovrane degli istituti finanziari”. Infine osservava: “In materia economica e finanziaria c’è stato un significativo trasferimento di sovranità, specialmente negli ultimi anni. E’ infatti illusorio credere che possiamo dirigere il corso dell’economia e della finanza, fenomeni palesemente globali, rimanendo all’interno dei ristretti confini dei singoli paesi europei. La costruzione, tuttavia, è incompleta e sbilanciata. Per la sua stessa sostenibilità è necessario che gli elementi mancanti siano integrati al più presto (…) Unione monetaria, unione bancaria, unione dei mercati dei capitali e anche la prospettiva di una politica di bilancio comune sono tutti obiettivi che, per essere concretamente raggiungibili, richiedono un salto di qualità. L’Europa deve rimanere un’ancora di stabilità in un mondo che appare sempre più instabile e imprevedibile dal punto di vista politico”!

Pretendere che tale “salto di qualità” vada discusso e deciso dagli organi rappresentativi della volontà dei popoli europei, e non nel chiuso delle riunioni degli eurocrati di Bruxelles è leso europeismo, o criptosovranismo, o una delle etichette idiote che vengono adoperate per demonizzare chi auspica soltanto un livello decoroso di democrazia?

Renato Veneruso

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