1. Emergenza coronavirus: nulla è più legittimo della necessità [1]? Si è soliti dare per scontato che le aggregazioni umane, in primo luogo gli Stati, assumano a punto di riferimento alcuni fatti e alcuni valori accettati come veri e utili dalla grande maggioranza dei soggetti che compongono queste aggregazioni.
Personalmente considero più esatto parlare di “miti”, non di fatti o principi. Perché la parola “mito”, che ci viene dalla saggezza greca, ricorda che i valori sociali non sono mai compiutamente attuati, non si traspongono nella realtà con precisione matematica, ma sono soggetti a un difficile confronto con la realtà medesima, e a un complesso contemperamento con altri miti o principi che dir si voglia.
Questa mia convinzione ha ricevuto conferma in ciò che sta accadendo oggi nel sistema normativo italiano: ove le esigenze pratiche connesse a una epidemia che aggredisce uno dei diritti più avvertiti, quello alla salute e alla vita stessa, ha appannato altri principi (o piuttosto miti); modificando anche la nostra percezione e interpretazione delle norme costituzionali.
2. Il mito della conoscibilità del diritto
Il primo mito a venir colpito dall’emergenza è quello della “conoscibilità” del sistema normativo: un mito che è alla base di molti altri, quali la certezza del diritto, la tutela giudiziaria dei diritti, il diritto alla legalità della condotta della Pubblica Amministrazione. Per attivare e difendere i nostri diritti e per rispettare i nostri doveri è necessario, in primo luogo, che siamo messi in grado di conoscere le norme da cui derivano (e di interpellare un giudice, ma questo è un ulteriore e diverso problema); o quanto meno, che la normativa sia conoscibile dai professionisti che rendono effettivo il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost.
Nell’odierna realtà dell’ordinamento giuridico vi sono ampie plaghe pressoché sconosciute o scarsamente esplorate: fra esse si iscrive il corpus iuris della normativa elaborata “allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19”: nella Raccolta delle norme curata dalla Protezione civile tale normativa giunge solo fino al d.l. n. 18/2020, ed è composta di ben 295 pagine; il maxiemendamento approvato dal Senato col voto che ha assentito alla conversione in legge di detto d.l. è di 90 pagine. Sono rimaste fuori dalla raccolta i numerosi atti normativi – d.l. e d.P.C.M. – successivi al d.l. n. 18 (come d.l. siamo al n. 23), nonché svariati provvedimenti di grande peso come taluni decreti emessi dai capi degli uffici giudiziari.
Non si tratta poi di norme di piana e semplice lettura, in quanto rinviano ad altre disposizioni parimenti complesse ed ermetiche. Non solo, molte disposizioni sono state nel breve arco di un paio di mesi modificate, integrate – magari da circolari interpretative – o addirittura sostituite. Per questo ciascun operatore giuridico cerca di acquisire contezza di quello spicchio di normativa che interessa il suo cliente, anche se il continuo mutare dei parametri di riferimento rischia di vanificarne la fatica. Ma credo nessuno possa dire di aver contezza dell’intero complesso, ed è sconcertante constatare che una moderna democrazia non attui compiutamente quel diritto a ricevere ordini chiari e precisi che costituiva invece l’unico diritto riconosciuto ai sudditi dello Stato assoluto.
3. La babele delle fonti: svanisce il principio secondo cui il giusto processo è plasmato dalla legge?
A fronte di una normativa così articolata e complessa diviene fondamentale il ruolo svolto dai soggetti che debbono darvi attuazione: la conoscenza degli atti con cui questi soggetti plasmano, su incarico ricevuto da parte del legislatore o anche di loro iniziativa, il diritto dell’emergenza è per l’operatore pratico non meno importante del testo elaborato dai soggetti cui la Costituzione o una norma di legge conferiscono il potere normativo.
Almeno per quanto riguarda la giustizia ordinaria civile e penale (e quella tributaria) l’art. 83 del d.l. n. 18/2020 affida ai capi degli uffici la decisione di dare attuazione concreta dei nuovi riti “a distanza” e/o con contraddittorio scritto [2], con dispositivi decisi in camere di consiglio svolte tra persone lontane: è questa una riforma in teoria temporanea, ma che ha buone probabilità di accelerare un mutamento degli strumenti per la decisione dei processi.
Nell’ipotesi cui ho testè accennato è la legge che delega un proprio compito ai capi degli uffici; ma a comporre il diritto processuale della emergenza concorrono atti con cui i più svariati soggetti si sforzano di migliorare il funzionamento della giustizia, a cominciare dai capi degli uffici[3].
E così appare appannato il principio costituzionale secondo cui “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” (art. 111 Cost.)[4]. E la definizione di quale sia nei diversi casi il giusto processo appare gestita da una variegata pluralità di fonti; mutevoli da luogo a luogo, ma che l’avvocato deve conoscere per svolgere efficacemente la sua professione.
4.Il mito della giustiziabilità dei conflitti
In un moderno stato di diritto, quale vuole oggi essere il nostro, vige (o dovrebbe vigere) il principio (o meglio, ribadisco, il mito) della giustiziabilità di ogni conflitto di interessi: al cittadino viene quindi garantita la possibilità di contestare anche gli atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione davanti a un giudice terzo ed imparziale; che decide a conclusione di un processo in cui Amministrazione e privato operano (o dovrebbero operare) “in condizioni di parità” (artt. 24, 111 Cost.).
La giustiziabilità dei conflitti non dovrebbe esser soggetta, per sua natura, ad alcun filtro preventivo. Anche al litigante temerario è garantito il diritto al “giusto processo”; solo attraverso di esso vedrà accertata la temerarietà del suo operato con conseguente applicazione di misure punitive. Ma lo Stato non dovrebbe mai rispondere “hai torto e perciò ti nego il processo”, neppure nella materia tributaria, ove più a lungo sono sopravvissuti istituti di tutela degli interessi del pubblico Erario che di diritto o di fatto escludevano l’intervento del giudice.
In buona sostanza, chiunque si rivolga alla Giustizia ha diritto a una valutazione nel merito delle sue pretese. E, se è vero che nelle procedure di urgenza il soddisfacimento della richiesta della parte è subordinata al concorrere di circostanze ulteriori rispetto all’“aver ragione nel merito”, quali il “fumus boni juris” e il “periculum in mora”, è anche vero che la sconfitta nel procedimento cautelare può essere ribaltata nel giudizio di merito.
In linea di principio, non ci possono dunque essere momenti “vuoti”, tempi e circostanze in cui si possa rispondere a una parte, nel nostro caso al contribuente, che “non hai diritto ad un giudizio”: ancorché chiunque abbia esperienza di cose giudiziarie sappia che il concreto esercizio di quel diritto può essere rallentato in presenza di svariate circostanze e accidenti, tanto da divenire in qualche caso inutile, ed evidenziando la sua natura di “mito”.
Chi guarda gli eventi con un pizzico di realismo non si scandalizza (ma prende atto) della circostanza che il legislatore dell’emergenza ha disposto il rinvio in blocco di (quasi) tutte le udienze a ruolo dal 9 marzo all’11 maggio 2020; nonché di tutte (o quasi tutte) quelle programmate nel mese successivo, data le necessità di rispettare i termini dilatori previsti dagli artt. 32 e 47 del d. lgs. 546/1992[5]. Prende altresì atto che è consentito ai Capi degli uffici giudiziari il rinvio dei processi chiamati alle udienze fino al 30 giugno[6].
È vero che non tutte le controversie chiamate alle udienze dal 9 marzo all’11 maggio sono automaticamente rinviate: la legge individua certo numero di controversie “urgenti” che debbono essere ugualmente e necessariamente trattate[7].
Inoltre il co. 3 lett. a) dell’art. 83 del d.l. n. 18/2020 esclude dal rinvio “tutti i procedimenti [civili e tributari] la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti“, disponendo che “in quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile”.
Costituisce comunque un dato obiettivo che la richiesta di giustizia (rectius di giudizio) insita in ogni azione giudiziaria viene sottoposta a un filtro preventivo che in qualche misura sembra porre in ombra il diritto alla difesa di cui all’art. 24 della Costituzione. Questi interventi legislativi hanno determinato una sospensione – un buco – nel principio della giustiziabilità dei diritti[8]. Ancora una volta in nome del “nulla è più legittimo della necessità”.
Mario Cicala
presidente emerito di sezione della Corte Suprema di Cassazione
[1] Cesare Parodi nel suo commento al decreto legge n. 11/2020 pubblicato sul sito della rivista on line Il diritto vivente sottolinea come il richiamo alla nota espressione “Nulla è più legittimo della necessità” non deve suonare in questa sede come una formula retorica, ma come indicazione di un preciso limite a quelle che – normalmente- sono le possibilità di “scelta” tra varie opzioni. In questo caso, la scelta potrebbe non essere praticabile.
[2] Si parla pertanto di contraddittorio simultaneo da remoto; e contraddittorio differito
[3] Il Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria con sua lettera del 20 marzo 2020 indirizzata ai Presidenti delle Commissioni Tributarie Regionali ai Presidenti delle Commissioni Tributarie Provinciali ai Presidenti delle Commissioni di I e Il grado di Trento e Bolzano, in riferimento “ alle disposizioni contenute nel decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, ed in particolare a quelle relative all’articolo 83, nelle quali è prevista, dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 [ora 11 maggio], la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto del processo tributario, compresi quelli stabiliti per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione”, ha ritenuto “opportuno invitare i giudici componenti della propria Commissione Tributaria a sospendere l’attività di deposito dei provvedimenti in corso, per riavviarla a decorrere dal 16 aprile p.v. ovvero ad altra data eventualmente stabilita da una eventuale proroga di legge”; l’invito è accolto nel decreto 9 aprile 2020 n. 13 del Presidente della CTR della Lombardia, mentre ancor più drastico è stato il Presidente del Tribunale di Torino che con provvedimento 18 marzo 2020, ha affermato:
“A fronte delle presumibili ulteriori resistenze interpretative è bene chiarire: la sospensione deve essere intesa non come facoltà ma come obbligo sia per parti, difensori, professionisti di ogni tipologia (ed in primis avvocati) sia da parte dei Magistrati. Ipotizzare che la sospensione sia prevista quale mero strumento di “protezione” rispetto a pregiudizi processuali è un’interpretazione insensata sia rispetto alla ratio epidemiologica sia, nonostante le apparenze, rispetto all’efficienza del servizio Giustizia. Ed invero va osservato che qualunque attività di deposito sia interna che esterna comporta delle due l’una: o una conseguenziale attività di Cancelleria oppure un accumulo indiscriminato di arretrato. Nel primo caso – gestione della consequenziale attività di Cancelleria – si dovrebbe richiedere presenze in ufficio non programmabili e contrarie alle giuste disposizioni derogatorie ed eccezionali nei confronti del personale che consentono anzi impongono la mera creazioni di presidi (art 87 D.L. citato); oltretutto contraddicendo le draconiane disposizioni assunte a livello di accesso di esterni al Palazzo ed incentivando la necessità di accessi quotidiana di personale interno (Magistrati e personale) doppio o triplo contro ogni principio di precauzione e di massimo sforzo per il distanziamento sociale che è il vero scopo di tutte le normative assunte compresa quella sugli Uffici Giudiziari. Nel secondo caso — depositi senza accettazione – si andrebbe a cumulare disordinati arretrati massivi che renderebbero impossibile una ripartenza ordinata con effetti devastanti sulla efficienza”.
Un interessante quadro delle decisione assunte dai capi d’ufficio della giustizia ordinaria è pubblicato su Il Sole 24 ore del 6 aprile 2020; con un articolo di Valentina Maglione e Bianca Lucia Mazzei, Udienze, arriva un altro rinvio, Rischio ingorgo per la ripresa.
[4] Massimiliano Siddi nel suo saggio pubblicato sul sito della Fondazione Leoni, sottolinea come il nostro sovrano odierno, non si manifesti più come un organo monocratico, o comunque come un’istanza decisionale unitaria e coerente ma come un sovrano “diffuso”, disseminato in una pletora di istanze decisionali talora in aperto conflitto interpretativo tra loro, secondo la migliore e più avanzata espressione del “babelismo” postmoderno.
[5] Come sottolineato nel suo provvedimento del 6 aprile 2020 (in cui non tiene ancora conto del mutamento delle scadenze determinato dal d.l. 23 /2020), dal Presidente della CTP di Roma.
[6] Col suo provvedimento del 10 aprile 2020 il Primo Presidente della Corte di Cassazione ha disposto: per il settore civile (e tributario):1) tutte le cause fissate per la trattazione in udienza pubblica fino al 30 giugno 2020 sono rinviate a nuovo ruolo per data successiva, salvo quelle aventi ad oggetto le materie indicate nell’art. 83, comma 3, del D.L n. 18 del 2020, che, previa individuazione, saranno rifissate con priorità; 2) tutte le cause fissate in adunanza camerale fino al 31 maggio 2020 sono rinviate a nuovo ruolo, salvo quelle aventi ad oggetto le materie indicate nell’art. 83, comma 3, del D.L n. 18 del 2020, che, previa individuazione, saranno rifissate con priorità.
[7] Non mi pare di scorgere fra le pratiche civilistiche dichiarate espressamente urgenti dalla legge vi siano questioni che rientrino nelle competenze dei giudici tributari, se non forse i “procedimenti di cui agli articoli 283, 351 e 373 del codice di procedura civile”; cioè le procedure che possono condurre alla sospensione dell’efficacia esecutiva delle sentenze di primo e secondo grado.
[8] Maria Giuliana Civinini, La Giustizia in quarantena, in Questione Giustizia; Catia Summaria, All’origine del caos, in Il diritto vivente.