Pubblichiamo una interrogazione di senatori di Sel, sulla necessità di finanziare le campagne Unar riguardanti le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale.
Interrogazioni con richiesta di risposta scritta
LO GIUDICE, ALBANO, CASSON, CASTALDI, CIRINNA’, D’ADDA, DIRINDIN, Elena FERRARA, GATTI, Rita GHEDINI, LAI, MANCONI, MASTRANGELI, ORELLANA, PAGLIARI, PEZZOPANE, RICCHIUTI, SOLLO – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali – Premesso che:
i trattati fondamentali affidano all’Unione europea un mandato centrale nelle politiche contro ogni forma di discriminazione e nella promozione della piena uguaglianza fra tutti i cittadini;
il Fondo sociale europeo (FSE), istituito nel 1957 nell’ambito del Trattato di Roma, fa parte dei fondi strutturali dell’Unione europea ed è lo strumento principale per la creazione di maggiori e migliori opportunità di lavoro in Europa;
il FSE cofinanzia progetti in un ampio ventaglio di aree correlate al miglioramento delle opportunità lavorative e dell’inclusione sociale, secondo le priorità stabilite dagli Stati membri;
l’art. 9 del regolamento (UE) n. 1303/2013 sui fondi strutturali pone l’obiettivo di “promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione”;
l’art. 3 del regolamento (UE) n. 1304/2013 relativo al FSE indica, fra le priorità di investimento relative all’obiettivo tematico “promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione”, la “lotta contro tutte le forme di discriminazione e la promozione delle pari opportunità”;
l’articolo 8 stabilisce che “Gli Stati membri e la Commissione promuovono pari opportunità per tutti, senza discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, mediante l’integrazione del principio di non discriminazione conformemente all’articolo 7 del regolamento (UE) n. 1303/2013. Attraverso l’FSE gli Stati membri e la Commissione sostengono altresì azioni specifiche nell’ambito delle priorità di investimento definite all’articolo 3 e, in particolare, al paragrafo 1, lettera b), punto iii), del presente regolamento. Tali azioni sono volte a lottare contro tutte le forme di discriminazione nonché a migliorare l’accessibilità per le persone con disabilità al fine di accrescere l’integrazione nell’occupazione, nell’istruzione e nella formazione, migliorando in tal modo l’inclusione sociale, riducendo le disuguaglianze in termini di livelli d’istruzione e di stato di salute e facilitando il passaggio da un’assistenza istituzionale a un’assistenza di tipo partecipativo, in particolare per quanti sono oggetto di discriminazioni multiple”;
all’art. 4 prevede che all’obiettivo tematico di combattere l’esclusione sociale e l’eliminazione “di tutti i tipi di discriminazione” sia dedicato almeno il 20 per cento del totale delle risorse finanziarie a disposizione;
il meccanismo dei fondi strutturali prevede che tra istituzioni UE e Paesi membri si approvi un accordo di programma: ciascuno Stato membro concorda infatti, insieme alla Commissione europea, uno o più programmi operativi per i finanziamenti del FSE durante il periodo di programmazione settennale;
i programmi operativi definiscono le priorità di intervento delle attività del FSE e i relativi obiettivi: solo dopo l’approvazione dell’accordo di programma lo Stato, attraverso i programmi operativi nazionali (PON), e le Regioni, attraverso i programmi operativi regionali (POR), possono cominciare a investire;
l’accordo di programma, usando una specifica previsione dei regolamenti che parlano di “concentrazione tematica” (articolo 18 del regolamento (UE) n. 1303/2013) consente agli Stati membri di individuare le priorità dei propri interventi, di fatto scegliendo tra i tanti obiettivi possibili quelli che meglio si adattano al raggiungimento degli obiettivi tematici;
considerato che:
l’Italia ha inviato all’esame dell’Unione europea una versione di accordo di programma che ha di fatto cancellato l’obiettivo tematico 9.iii) proposto dalle Regioni “Lotta contro tutte le forme di discriminazione e la promozione di pari opportunità”, non collegandovi nessun risultato atteso, mantenendo le pari opportunità solo all’obiettivo 9.i) con la formulazione “inclusione attiva, anche per promuovere le pari opportunità e la partecipazione attiva e migliorare l’occupabilità”;
dall’obiettivo 9 sono stati rimossi tutti i riferimenti espliciti alla lotta alla discriminazione, fatta salva una meritoria previsione di interventi per l’inclusione delle persone senza dimora e delle popolazioni rom, sinti e caminanti;
fra le conseguenze di questa decisione vi sarebbe un oggettivo indebolimento dell’azione del Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali-UNAR del medesimo Dipartimento;
questo avviene nel contesto di un attacco politico sistematico proveniente da più parti nei confronti dell’UNAR e della sua azione in tema di politiche antidiscriminatorie relative alla popolazione LGBT;
si aggiunga a ciò che, a seguito della formazione del Governo Renzi, le deleghe in materia di pari opportunità e lotta alle discriminazioni non sono state assegnate;
l’Unione europea ha recentemente rinviato l’accordo di partenariato 2014-2020 del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica che il Governo italiano aveva inviato al suo esame;
in nessuna parte del documento appare l’espressione “orientamento sessuale” nonostante le esplicite previsioni dell’art. 7 del regolamento (UE) n. 1303/2013;
il documento richiama, ovviamente, la lotta alle discriminazioni in più parti ma, oltre a non essere mai indicato come target quello delle persone a rischio di discriminazione per orientamento sessuale e identità di genere, le previsioni sono costruite in modo tale che le iniziative siano di fatto già stabilite;
il quadro appare ancora più chiaro al paragrafo 1.5.2 dell’allegato 1 che illustra l’applicazione dei principi orizzontali dei regolamenti, con particolare riferimento all’art. 7, e dove, tra le azioni considerate in linea con questo obiettivo, neanche una è esplicitamente riferita all’orientamento sessuale o all’identità di genere, mentre altri gruppi a rischio di discriminazione sono citati in modo esplicito;
l’assenza del richiamo esplicito alla priorità indicata dai regolamenti comunitari, l’utilizzo generico della dizione “non discriminazione” e la totale assenza anche solo per cenni ai lavori effettuati nel periodo relativo al passato settennio in questo ambito hanno come conseguenza prevedibile la decurtazione di interventi specifici;
va aggiunto che, per alcune Regioni, essendoci una riduzione dei fondi complessivi a disposizione ed essendo aumentate in modo esponenziale le necessità che si ritengono poter essere coperte dai fondi strutturali, i primi ambiti a patire il taglio delle risorse saranno proprio quelli che mancheranno di un’esplicita previsione nei documenti di programmazione,
si chiede di sapere:
se il Governo non ritenga che la lotta ad ogni forma di discriminazione debba essere uno degli obiettivi fondamentali nella programmazione delle politiche pubbliche e in particolare delle politiche sociali;
se non ritenga opportuno reinserire gli specifici risultati attesi accanto alla priorità di investimento FSE 9.iii) “Lotta contro tutte le forme di discriminazione e per la promozione di pari opportunità” nel nuovo testo che verrà inviato a Bruxelles;
se non ritenga di inserire esplicitamente nel testo l’orientamento sessuale e l’identità di genere tra le cause di potenziale discriminazione che invece la normativa europea e i trattati europei già prevedono;
se risulti con quali fondi si intendano perseguire gli obiettivi della “Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, predisposta e coordinata dall’UNAR e varata dal Dipartimento per le pari opportunità in applicazione del programma promosso dal Consiglio d’Europa “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, per l’attuazione e l’implementazione della raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa CM/REC(2010)5 adottata il 31 marzo 2010;
se non ritenga che, al fine di programmare e implementare le politiche antidiscriminatorie e di promozione delle pari opportunità, non sia utile assegnare a un Ministro le specifiche deleghe in materia.