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Intervista di Ermes Dovigo ad Alfredo Mantovano, pubblicata il 19 aprile 2019 su La nuova Bussola Quotidiana.

Da droga a “droga leggera” a “non-droga”, il passo è piuttosto breve, giusto il tempo di una ben studiata propaganda che si protrae da anni e va progressivamente conquistando giovani e meno giovani, spesso ignari dei rischi. Chi attraversa in questi giorni le vie di Milano può imbattersi in grandi striscioni che raffigurano il noto simbolo della cannabis accanto questa scritta: «Io non sono una droga». Stesso messaggio e stesso simbolo a campeggiare nell’immagine che ha il Duomo come sfondo: Maria Santissima non si vede, vediamo invece la foglia di marijuana. Non servono altri commenti.

Questi striscioni e questi loghi sono alcuni dei mezzi con cui si sta promuovendo il prossimo International Cannabis Expo, che si terrà a Milano dal 3 al 5 maggio, una vera e propria fiera internazionale della canapa in uno spazio di 8.000 metri quadrati, con 150 espositori e un gran numero di relatori che parleranno dei suoi usi industriali, cosmetici, alimentari, tessili, ornamentali e medici (termine che non equivale a “terapeutici”, come si legge invece sul sito ufficiale della fiera), nonché della furbescamente detta “cannabis light”, la cui espressione risponde a logiche di business e si inserisce nel solco della campagna per arrivare alla totale legalizzazione della sostanza da fumare. Tra i relatori ci sono pure pannelliani, come la presidente dei Radicali Italiani, Barbara Bonvicini, collaboratrice del consigliere regionale Michele Usuelli, eletto con +Europa, che è colui che ha proposto la delibera, approvata all’unanimità, sulla creazione in Lombardia di un polo per la produzione di cannabis “terapeutica”. Un espediente, come accennato.

Non per nulla l’evento milanese è anche detto 4.20 Hemp Fest, dove “hemp” è il termine inglese per canapa e i numeri “4.20” sono un omaggio alla storia che il sito della fiera riporta testualmente così: «Nell’autunno del 1971 cinque ragazzi della San Rafael High School, in California vengono a sapere dell’esistenza di una piantagione di Marijuana abbandonata nelle vicinanze di Point Reyes, a un’ora di macchina dalla scuola. I ragazzi alle 4.20, partono alla ricerca della piantagione con una Chevrolet Impala. La ricerca, però fu un buco nell’acqua, ma i ragazzi continuarono a incontrarsi ogni giorno alle 4.20 e il numero divenne il loro codice, che pian piano si diffuse tra i compagni di scuola e per tutta San Rafael. Questa è solo una delle tante leggende che ruotano attorno al numero 4.20. Negli Stati Uniti il 20 Aprile è diventata la giornata nazionale della Cannabis con feste e raduni immersi nel verde».

I cinque ragazzi in cerca della marijuana abbandonata e i raduni “immersi nel verde” sono proprio alta poesia… Del resto, nel caso qualcuno avesse ancora dubbi sull’obiettivo più pericoloso che si cela dietro un evento del genere, questo festival è divenuto di portata mondiale nel 2018, ma si è tenuto, in forma minore e sempre a Milano, già nel 2016 e 2017, con il titolo di European Psychedelic Hemp Fest. Esatto, psychedelic. Prima definizione di psichedelico nello Zingarelli: «Detto specialmente di droghe che provocano dilatazione della coscienza, allucinazioni, fenomeni di evasione dalla realtà». Insomma, mescolando abilmente usi leciti e usi illeciti, è chiaro che chi ha pianificato questo festival vuole la marijuana libera. Lo slogan «Io non sono una droga» con accanto la cannabis è quindi altamente ingannevole.

Come spiega alla Nuova Bussola il magistrato Alfredo Mantovano: «È evidente che si gioca sull’equivoco, nel senso che nel programma di questa tre-giorni c’è di tutto. Facciamo un’analogia: chi vende prodotti contraffatti, se è un professionista della contraffazione, non venderà mai solo capi contraffatti, venderà anche capi autentici e poi ogni tanto ne infilerà qualcuno contraffatto perché così riesce meglio l’inganno del prossimo».

Il cavallo di Troia, per arrivare alla legalizzazione tout court, è oggi rappresentato dagli usi medici della cannabis come palliativo (peraltro una seconda scelta, come ha spiegato il neuroscienziato Giovanni Serpelloni su questo quotidiano e come conferma pure un recente studio pubblicato dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze), al cui riguardo Mantovano fa quest’altra osservazione: «È chiaro che i derivati della cannabis vengono utilizzati non da pochi giorni bensì da anni nella pratica medica, ma anche gli oppiacei vengono adoperati nella pratica medica – basti pensare alle anestesie – eppure nessuno ha mai fatto una manifestazione pubblica per dire “oppio libero per tutti”. Qui il messaggio che passa è che la cannabis non faccia male e lo sviluppo logico è arrivare a dire addirittura che faccia bene». Cosa che non è, come ci ricordano una quantità di dati sui danni fisici e in particolare cerebrali, di cui si sono accorti perfino quotidiani liberal come il New York Times e il Wall Street Journal.

Secondo Mantovano, il messaggio contenuto negli striscioni dell’evento gioca sull’ambiguità permessa da un contesto culturale in cui è diminuita la percezione del rischio e da un quadro normativo indebolito nel tempo, «a motivo di una legislazione folle. Nel frattempo sono stati fatti aprire tanti negozi [di cannabis light, ndr] e il parlamento ha incardinato delle proposte di legalizzazione, come se non bastasse già la modifica intervenuta 5 anni fa», con l’indebolimento del testo unico sulla droga, il Dpr 309/1990.

Quindi, l’ex parlamentare, oggi consigliere alla Corte di Cassazione, ritiene che la migliore risposta a un evento come quello di Milano sia «una campagna informativa sui danni della cannabis, fermo restando che se durante il festival dovesse succedere qualche reato è giusto che si intervenga. Ma intanto mi aspetto una campagna istituzionale che metta in guardia, con tutti gli strumenti a disposizione, sui rischi dell’assunzione dei derivati della cannabis. Dal governo dipende per esempio il Dipartimento Antidroga, che fa capo alla Presidenza del Consiglio: è un ottimo dipartimento fatto di professionisti che elaborano continuamente analisi utili e potrebbe essere la base per un’iniziativa nazionale in cui gli addetti ai lavori spieghino le ragioni per cui la cannabis fa male».

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