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Dopo il “sì” al divorzio, dunque, giunto all’esito del referendum indetto nel 1995, e quello al matrimonio tra persone dello stesso sesso, di soli tre anni fa, l’Irlanda compie un nuovo, “attesissimo passo avanti”, nel cammino verso la “modernizzazione” in senso laicista delle sue istituzioni, epifenomeno chiaro di un cambiamento ben più profondo in atto nel Paese, rinviante ad un processo di secolarizzazione che sta investendo la cultura e il sentire morale di un popolo, anche grazie alle iniziative, considerevoli e ben note, messe in campo dall’attivismo lobbista internazionale che punta a delegittimare e sradicare definitivamente i fondamenti antropologico-giuridici e le istanze etico-politiche permeanti gli ordinamenti, legali e morali, dell’occidente cristiano, in vista della creazione di un nuovo ordine mondiale.

L’euforia collettiva e i toni trionfalistici che stanno in queste ore accompagnando l’esito della tornata, in Irlanda e nel mondo, stridono radicalmente con la capitale importanza dei temi realmente in ballo, quelli della vita umana nascente e della dignità ontologicamente personale che dovrebbe caratterizzarla fin dal concepimento: «Il problema dell’aborto non è un problema marginale, né un problema puramente tecnico, ma è il luogo critico di una cultura intera, di una visione del mondo […]. Se c’è una materia in cui dunque ci aspetteremmo e vorremmo intelligenza e serietà, difesa dei propri valori, ma comprensione di quelli avversi in un’aperta dialettica, essa è la materia dell’aborto: in cui già si accumulano troppe sofferenze e frustrazioni, e anche egoismi e superficialità, per aggiungervi altro squallore»[1].

Lo squallore, a detta di un intellettuale laico come Uberto Scarpelli –alle cui dichiarazioni, al tempo dell’approvazione della Legge 194, si sarebbero affiancate quelle di molti altri esponenti della cultura laica italiana, come Bobbio e Pasolini, per citarne solo due– è quello sotteso alla presa di posizione di quanti si sottraggono al grave onere del confronto con una serie di evidenze e problematiche –dalla questione relativa alla vita del nascituro, a quella del rispetto della sua dignità; dal tema della tutela della maternità e della salute materna, a quello demografico– che, collegandosi alla legalizzazione dell’aborto, avrebbero imposto ben altri toni, contegni, riflessioni.

L’Ottavo emendamento ha realizzato per decenni un’insolitamente saggia ed equilibrata ponderazione di interessi, un prudente bilanciamento di valori tutelando il diritto alla vita del non nato –a fronte dell’esigenza riconosciuta di garantire l’eguale diritto della madre– mediante la previsione programmatica di un impegno a rispettarlo, difenderlo e rivendicarlo, per quanto possibile[2]. Si tratta di una disposizione che, introdotta nel 1983 per via referendaria e già sottoposta, per ben 5 volte, a referendum abrogativo, ha positivizzato di fatto nell’ordinamento costituzionale irlandese gli assunti personalisti del giusnaturalismo cristiano, facendo sì che nel corso degli anni l’Irlanda sviluppasse politiche a favore della maternità tra le più efficienti al mondo, in grado cioè di tutelare al meglio la dignità materna delle donne, limitare al minimo il numero degli aborti praticati e garantire, al contempo, dei tassi di mortalità materna tra i più bassi in assoluto. Una legislazione, insomma, che realizzava effettivamente una sana politica di “salute riproduttiva”, assicurando cioè salubrità e vita tanto alla madre quanto al nascituro, contro i modelli culturali e comportamentali che la vulgata ideologica dell’antilingia sta di fatto semanticamente associando, specie in ambito ONU, a tale locuzione.

L’abrogazione dell’Ottavo emendamento, fortemente voluta dal premier irlandese, aprirà le porte ad una legislazione in materia di aborto che si preannuncia come tra le più permissive al mondo, come anticipato dal Ministro della salute Simon Harris in una proposta di legge formulata all’esito dei lavori svolti dalla Joint Committee on the Eighth Amendement to the Constitution[3]. Tra le raccomandazioni della Commissione, vi è infatti quella di garantire l’accesso all’aborto senza restrizioni, cioè praticamente on demand, fino alla dodicesima settimana, in ciò sopravanzando, in permissività, la legislazione vigente nella vicina e “moderna” Inghilterra, le cui norme consentono l’aborto fino alla ventiquattresima settimana, ma solo in presenza di circostanze ben definite e certificate: rischi per la vita della madre, ovvero per la salute fisica o psichica sua o di un altro membro della famiglia, o anomalie fisiche o psichiche diagnosticate al feto. Nel 2016, il 97% degli aborti praticati in Inghilterra e Galles dipendeva da cause relative ai probabili danni derivanti, dalla gravidanza, alla salute psico-fisica della madre[4]. La proposta di legge irlandese, però, va ben oltre, prevedendo la possibilità di abortire sia quando “il feto non ha raggiunto la viabilità”, facendo appello in questo caso all’esigenza di preservare l’integrità psico-fisica della gestante, sia quando “esiste una condizione che, interessando il feto, rende probabile la sua morte prima della sua nascita o subito dopo”, non essendo, in questo caso necessario, apportare alcuna giustificazione a sostegno della richiesta di interruzione della gravidanza. È vero infine che la sola legislazione britannica, non anche quella irlandese, contempla la possibilità di abortire feti affetti da disabilità anche non gravi, ma la salvaguardia dell’integrità psico-fisica della madre crediamo possa essere il rimedio esperibile per aggirare agevolmente tale lacuna legislativa[5].

Dunque, avremo a breve in Irlanda una legislazione in materia di aborto tra le più permissive e lassiste al mondo e questo porta con sé una serie di altre implicazioni che pare opportuno considerare qui. In primis, la vittoria del “sì”, in un Paese da sempre simbolo del cristianesimo e dei valori che esso incarna, rappresenta una conferma ulteriore ed inequivocabile della spinta secolarista che sta interessando quella società, a cui si accompagna il rinnegamento deciso non solo della cornice metaetica entro la quale essa ha esistito ed operato finora, ma anche il rifiuto degli insegnamenti del magistero cattolico su questi temi, specie da parte delle giovani generazioni (avrebbero votato “sì” circa il 90% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni). Poi, il trend normativo in atto, su scala globale, rinvia all’idea di una giuridificazione generalizzata dei desideri individuali, che cercano nelle possibilità aperte dalla tecnica l’oggetto delle loro pretese e nel diritto la forza per una loto effettiva concretizzazione. Lo stesso sta accadendo per l’aborto. Appare sempre più evidente, infatti, come anche la parvenza residua di una giustificazione obbligatoria, per quanto limitata ed opinabile, al ricorso a detta pratica stia lasciando il passo ad una concezione diffusa che vede in esso un nuovo diritto, ovvero una facoltà attivabile soggettivamente e tutelata per mezzo della forza, utile a rimuovere ogni ostacolo che si frapponga alla libera autodeterminazione della donna. Infine, la campagna mediatica arrembante condotta dai comitati per il “sì”, sostenuta da poteri finanziari forti, come quello di Soros, e da giganti hi-tech come Google e Facebook, che hanno messo in atto politiche censorie nei confronti delle associazioni pro-life degne delle migliori dittature mai esistite, prova come sia in atto una strategia globale volta sancire il trionfo di una serie di principi che, opponendosi ai valori su cui si strutturano da secoli le nostre società –quelli della sacralità della vita, della tutela dei più deboli, della centralità della persona, della solidarietà sociale, della sussidiarietà istituzionale– veicolano di fatto una serie di principi che puntano a destrutturare, atomizzare, polverizzare le nostre comunità, favorendo l’autodeterminazione del singolo ad ogni costo ed alimentando forme di individualismo irrelato e di relativismo etico idonee a fondare la prometeica ed utopica “società del sé”.

Assistiamo sempre più, e il referendum irlandese pare lo confermi, al triste spettacolo di un’umanità affetta da una disforia schizofrenica, divisa com’è tra un vitalismo edonista, sfrenato ed autoreferenziale, totalmente incapace di concepire limiti all’affermazione incondizionata del “sè” –si trattasse anche del limite rappresentato dalla vita altrui– e la paura del vivere o anche solo del sopportare una vita attraversata dalla vertigine del limite, del nascere o del morire, paura che alimenta e diffonde culture tanatofile, ancestrali, che si pensavano esaurite con l’avvento della modernità e che invece ripropongono l’improbabile formula di una società in cui continui a vigere hobbesianamente la legge del più forte. Una schizofrenia che nasce, a ben guardare, dall’adesione ad un virtualismo esistenziale che induce a concepirsi come essere disincarnati, irrelati, assolutamente autonomi perché equivocamemte autosufficienti, del tutto incapaci di cogliere l’esistenza reale dell’altro, o di sopportare i limiti di chi non ha iniziato ancora a, o semplicemente non è più capace di, bastare a se stesso.

Una mentalità questa che può trovare un antidoto efficace solo in un ritorno ad una realismo metafisico, che aiuti a trascendere l’immanenza di un io chiuso nell’orizzonte della propria esistenza e reintroduca nella concretezza di relazioni interpersonali che strutturano il nostro essere, lasciando intravedere nell’altro la potenzialità inesauribile di un universo personale che interpella ininterrottamente, che non cessa mai di divenire ciò che è e che conserva un diritto inviolabile a fare quanto ciascuno di noi è messo in condizione di fare dalla vita, ossia esprimere se stessi in pienezza, venendo lasciati nella possibilità di vivere la propria vita. Chi è colui che avrà la suprema arroganza di conculcare questo diritto e in nome di che cosa lo potrà mai fare? «Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo […]. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno. Quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi» (Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo).

Antonio Casciano

[1]   Scarpelli, U., Bioetica laica, (M. Mori a cura di), Baldini&Castoldi, Milano 1998, p. 100.

[2]   L’Ottavo Emendamento della Costituzione della Repubblica di Irlanda così recita: “The State acknowledges the right to life of the unborn and, with due regard to the equal right to life of the mother, guarantees in its laws to respect, and, as far as practicable, by its laws to defend and vindicate that right”.

[3]   Al seguente link, il contenuto integrale della proposta: http://health.gov.ie/wp-content/uploads/2018/03/General-Scheme-for-Publication.pdf.

[4]   Al seguente sito il report ufficiale: https://www.gov.uk/government/statistics/report-on-abortion-statistics-in-england-and-wales-for-2016.

[5]   Per un quadro esauriente delle statistiche sugli aborti praticati nel mondo, aggiornato al 6 maggio 2018, si veda: http://www.johnstonsarchive.net/policy/abortion/index.html.

 

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