7–8 novembre 2025: una Conferenza che ridisegna l’agenda nazionale su prevenzione, cura e responsabilità istituzionale
Il Centro Congressi dell’Auditorium della Tecnica ha ospitato, il 7 e 8 novembre, la Conferenza nazionale sulle dipendenze. Il Governo l’aveva definita un passaggio strategico per aggiornare la risposta pubblica e privata alle nuove forme di addiction: dalle droghe tradizionali alle dipendenze comportamentali, dal gaming all’iperconnessione digitale. Tutti i lavori sono stati trasmessi in streaming sul sito del Dipartimento, garantendo un’ampia partecipazione anche a distanza.
Una giornata inaugurale ad alta rappresentanza istituzionale
La sessione di apertura del 7 novembre, seguita dal Presidente della Repubblica, ha visto gli interventi del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dei Presidenti di Camera e Senato, del Sindaco di Roma, della Conferenza delle Regioni e, in collegamento, di Ghada Waly, direttrice esecutiva dell’UNODC. Una cornice istituzionale che ha segnalato la centralità del tema nel dibattito pubblico.
A margine della seduta, il Sottosegretario Alfredo Mantovano ha ricordato che la giustizia «non è una variabile indipendente» e che alcune sentenze appaiono «stupefacenti» quando, davanti a chili di sostanze, si intravede l’“uso personale”. Un monito rivolto a certe prassi giudiziarie che, anziché arginare il fenomeno, lo agevolano.
Le priorità emerse: integrazione dei servizi, salute mentale, prevenzione precoce
La plenaria della mattina ha messo in luce le criticità strutturali del settore. Clinici e dirigenti sanitari hanno insistito su una governance integrata, modelli di presa in carico continuativi, un collegamento più solido tra dipendenze e salute mentale, strumenti avanzati di monitoraggio epidemiologico e una prevenzione precoce capace di intercettare adolescenti sempre più esposti a poli-consumi e fragilità digitali.
Nel pomeriggio, cinque gruppi di lavoro paralleli hanno approfondito i nodi tecnici: sistema pubblico delle dipendenze, prevenzione giovanile, ricerca scientifica, gestione dei detenuti, dipendenze comportamentali. L’attenzione maggiore si è concentrata su gambling, gaming e dipendenze digitali, che crescono a un ritmo superiore alla capacità del sistema di contenerle.
Media e narrazione pubblica del fenomeno droga
La sessione dedicata ai media ha affrontato il nodo della rappresentazione giornalistica e televisiva della droga. Dirigenti editoriali e divulgatori hanno analizzato l’impatto dei linguaggi mediatici sulla percezione del rischio, soprattutto tra i giovani, dove ogni normalizzazione può trasformarsi in un invito al consumo. È emerso con chiarezza che titoli ambigui, format spettacolari e narrazioni che inseguono l’audience possono ridurre la soglia d’allarme, trasformando lo spaccio in “colore locale” e l’uso in un gesto quasi rituale. La scelta delle parole, l’insistenza su presunte “droghe leggere”, la glamourizzazione involontaria di certi stili di vita e l’uso superficiale dei social hanno un effetto cumulativo che indebolisce la percezione del pericolo. I media, è stato detto, possono diventare alleati della prevenzione solo se rinunciano all’estetica dello sballo e recuperano la responsabilità civile che li accompagna. In caso contrario, finiscono per essere parte del problema.
Seconda giornata: proposte tecniche e risposte politiche
L’8 novembre il confronto è diventato operativo. Otto proposte tecniche: dalla gestione dei detenuti con dipendenze alla prevenzione precoce, dalla ricerca ai servizi digitali sono state presentate ai ministri competenti.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha richiamato l’attenzione sui casi di Fentanyl nelle carceri: «pochi, ma da monitorare. Una sostanza che passa persino nei cerotti scambiati». Da qui la proposta della detenzione differenziata in comunità terapeutiche: «spacciatori di morte da un lato, malati da curare dall’altro».
Il governo ha ribadito una posizione univoca: «anche la droga leggera crea dipendenza», ha detto il vicepremier Tajani, mettendo in guardia dalle illusioni ideologiche. Prevenzione scolastica, sostegno psicologico e formazione dei docenti: il ministro Valditara ha evidenziato misure già finanziate. La ministra Bernini ha annunciato la nascita, nei corsi di Medicina, delle cliniche delle dipendenze.
Tajani ha partecipato alla sessione conclusiva. Nel momento in cui il sipario stava calando sulla due-giorni dedicata alle dipendenze, Mantovano ha preso la parola non solo per riassumere, ma per segnare una linea d’impegno che suona come monito e come chiamata all’azione. «L’autorità giudiziaria non è una variabile indipendente» ha tuonato, riferendosi a «sentenze davvero stupefacenti» che hanno considerato «uso personale» – con conseguenze drammatiche – il possesso di «qualche chilo di sostanza».
In un passaggio che sa di avvertimento, ha parlato di un «federalismo della giustizia» che rischia di generare disomogeneità, di far pendere la bilancia delle decisioni da un lato più della ragione dello Stato che da quella della coerenza normativa.
Con voce ferma ha quindi rivolto un appello alle Regioni: «Ora che ci sono risorse in più, vi prego, usiamole». Tradotto: non basta averle stanziate, occorre destinarle, gestirle, misurarle. L’efficacia della strategia non sarà nei proclami, ma nella concretezza della spesa, nell’omogeneità degli interventi, nella collaborazione tra Stato centrale e territori.
Linee-guida: rigore, prevenzione, rete
Mantovano non ha parlato solo di risorse e di magistrati: ha rilanciato i tre pilastri su cui il Governo vuole basare la lotta alle dipendenze – rigore, prevenzione e responsabilità istituzionale – mettendo al centro non solo la repressione, ma la cura, la riabilitazione, la presa in carico dei minori.
Ha richiamato quanto sia indispensabile che il fenomeno delle dipendenze — dalle sostanze tradizionali fino alle nuove forme comportamentali — venga trattato «in un’unica regia» nazionale, capace di coordinare, evitare duplicazioni, limitare le disuguaglianze territoriali.
Magistratura, decisioni e arena pubblica
Una parte del suo intervento, forte e non priva di polemica, è stata dedicata alla magistratura di sorveglianza. Mantovano ha sottolineato che certe scelte giudiziarie – un tribunale che ritiene uso personale ciò che altri considerano spaccio – non sono fatti isolati: «l’autorità giudiziaria non è una variabile indipendente». In altre parole: le decisioni della magistratura incidono sulla politica, sulla percezione sociale, sugli strumenti pubblici.
Ha richiamato al senso dello Stato: se la risposta giuridica non è coerente, la politica deve intervenire con chiarezza, definendo principi e parametri che evitino derive locali o disomogenee. Il richiamo è quindi forte: non si può lasciare che le differenze territoriali creino un mosaico di sistemi più o meno rigorosi, più o meno forti, più o meno capaci.
L’emergenza antropologica: dipendenze «nuove» e orizzonte civile
Mantovano ha infatti posizionato il tema delle dipendenze non solo come questione sanitaria o penale, ma come sfida «decisiva per il futuro della civiltà». Un richiamo che sa di richiamo morale: si tratta della libertà dell’individuo, della dignità, della vulnerabilità dell’umano di fronte a nuove forme di schiavitù comportamentale.
In questo senso la conferenza assume una dimensione culturale: abbattere il muro tra sostanze e dipendenze comportamentali, a indicare che non è più solo la droga «tradizionale», ma anche la digitalizzazione, il gaming, l’iperconnessione che diventano trappole. Mantovano ha voluto che la risposta fosse alta, coerente, strutturata.
Verso il territorio: dalla parola al fatto
Infine l’appello finale: alle Regioni, alle Prefetture, agli enti locali. Mantovano ha evidenziato il ruolo strategico dei «nuclei operativi territoriali delle Prefetture» per la raccolta dati e il coordinamento degli interventi: un richiamo alla necessità che lo Stato centrale e gli enti periferici parlino la stessa lingua, condividano informazioni, evitino isole autonome.
L’intento è chiarissimo: non basta delineare una strategia, occorre che questa venga applicata, che ogni Regione la interpreti alla luce del quadro nazionale, che non diventi occasione di gare tra territori o di dispersione di risorse. La vera prova sarà, come ha detto, «tradurre il lavoro emerso nei tavoli in interventi concreti».
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Un sistema che vuole fare rete: famiglie, scuole, istituzioni
La ministra Roccella ha richiamato il ruolo della famiglia come prima prevenzione. Il ministro Piantedosi ha sottolineato l’importanza dei nuclei operativi territoriali delle prefetture nel raccogliere dati e coordinare gli interventi. Il leitmotiv della Conferenza: «libertà dalla droga. Insieme si può» ha assunto la forma di una richiesta di responsabilità collettiva. È stato ribadito che nessuna strategia regge se la famiglia abdica al suo compito di vigilanza e orientamento: è in casa, prima ancora che a scuola o nei servizi, che si colgono i primi segnali di fragilità, isolamento, consumo episodico. Al tempo stesso, i Comuni e le prefetture devono garantire un monitoraggio puntuale del territorio, perché l’assenza di dati affidabili crea cieche e impedisce interventi tempestivi. In questo quadro, la cooperazione tra famiglie, scuole, servizi sanitari e istituzioni locali non è un optional ma l’unico argine realistico a un fenomeno che muta rapidamente e che nessun attore, da solo, può contenere.
Un sistema sotto pressione che chiede una regia centrale
La due giorni ha restituito un quadro netto: domanda di cura in aumento, età del primo contatto in calo, dipendenze digitali in crescita verticale, casi clinici più complessi. Da anni il settore chiedeva una regia centrale e una strategia coerente: nella Conferenza ha trovato una piattaforma di confronto finalmente solida. Il quadro emerso mostra un Paese dove le vecchie forme di consumo convivono con fenomeni nuovi e più insidiosi, perché silenziosi, domestici e spesso invisibili agli occhi degli adulti. La crescita costante delle richieste ai servizi territoriali indica una pressione che rischia di superare la capacità del sistema; il calo dell’età di accesso mostra un deterioramento del tessuto educativo; le dipendenze digitali rivelano un terreno ancora poco regolato e quasi del tutto privo di strumenti di contenimento.
Ora inizia la fase decisiva: trasformare analisi, proposte e moniti in interventi reali. Le istituzioni dovranno armonizzare norme, risorse e modelli organizzativi, rafforzare i SerD, finanziare la ricerca, garantire monitoraggi costanti e formare operatori capaci di affrontare casi che non somigliano più a quelli di vent’anni fa. Se l’Italia vuole liberarsi dalle dipendenze — quelle pesanti e quelle che si travestono da innocue — deve dotarsi di un sistema moderno, integrato e severo. Un sistema capace non solo di rincorrere il problema, ma di impedirgli di mettere radici, perché contro un fenomeno che muta così rapidamente non bastano slogan o buone intenzioni: servono decisioni chiare e un impegno stabile dello Stato.
Daniele Onori